giovedì 14 aprile 2011

La guerra e/o la battaglia

A una settimana dal ritrovamento del corpo di Davide Romano, a Palermo - e non solo - ci si interroga su un possibile ritorno delle guerre di mafia che hanno insanguinato il capoluogo e tutta la Sicilia. La mafia uccide ma fa anche affari silenziosi, alza la voce ma manovra anche e soprattutto nell'ombra. Insomma, si muove in più modi, a seconda dell'opportunità. Se c'è da sparare, spara. Se c'è da riciclare denaro, accende la lavatrice. Se c'è da sbloccare gli appalti, muove voti. E allora perché un singolo omicidio dovrebbe rievocare una storia ormai superata e inquietare Palermo e i palermitani, clan compresi? Romano è stato ucciso secondo modalità quasi rituali, di quelle che sembrano marchi di fabbrica, antichi simboli, firme inconfondibili. Anche recentemente le pistole sono sempre state fumanti, piccole faide sono state risolte con le armi, ma mai come negli anni Ottanta con delitti alla vecchia maniera. Romano è scomparso per qualche giorno, si è parlato di "lupara bianca", ma in realtà il proiettile 7,65 alla nuca e l'incaprettamento racconterebbero altro. Far ritrovare un cadavere così è il classico messaggio: la tregua è finita, ricomincia la guerra.
Naturalmente tocca a polizia e magistratura dire se è davvero così. Davide Romano era il figlio di Giovan Battista, boss di Borgo Vecchio ucciso nel 1995 con altri riti (strangolato e disciolto nell'acido da Leoluca Bagarella e Vittorio Mangano, lo "stalliere-eroe di Arcore"), accusato dal "tribunale della mafia" di essere stato un confidente di Giovanni Falcone. Anche il giovane Davide aveva una discreta fedina penale, però non tale da giustificare probabilmente una guerra di mafia. Reati di droga e poco più.
Può anche darsi che ci sia una ripresa della conflittualità tra le famiglie palermitane per il controllo della leadership. Questa sarebbe la lettura più logica, almeno secondo il procuratore Ignazio De Francisci. I dubbi ce li hanno comunque gli stessi inquirenti. I regolamenti di conti di solito si risolvono con tre colpi di pistola per strada e via, ma Romano, appena uscito dal carcere, avrà magari dato fastidio a qualcuno e disturbato i nuovi assetti. Forse il suo omicidio è stato "solo" un segnale, sicuramente espressivo, ma non è detto che sia il preludio alla guerra di mafia del Ventunesimo secolo. Qualcuno sta provando a occupare gli spazi del comando lasciati liberi dopo le ultime operazioni di polizia. Se altri cadranno dopo Romano, forse la battaglia sempre in corso diventerà davvero una guerra. Il problema è che non sono mai stato convinto che qualcuno abbia dichiarato il cessate il fuoco. In guerra i capi e i governanti trovano magari accordi sottobanco, mentre la manovalanza e i poveri cristi continuano a scannarsi.
Gesualdo Bufalino ha dato una definizione calzante della mafia: è una «variante perversa della liturgia scenica», che «fra le sue mille maschere, possiede anche questa: di alleanza simbolica e fraternità rituale, nutrita di tenebra e nello stesso tempo inetta a sopravvivere senza le luci del palcoscenico». Battaglia o guerra che sia, la mafia si nutre delle due dimensioni che Bufalino riassume in un titolo: la luce e il lutto. Rumore e silenzio.

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