martedì 19 luglio 2011

C'era un giudice a Palermo

Cinquantasette giorni non sono neanche due mesi. Tra Capaci e via D'Amelio, tra il 23 maggio e il 19 luglio, tra la morte di Falcone e quella dell'amico Paolo Borsellino, passano meno di due mesi. Un assedio breve in una guerra troppo lunga. La strage in cui morirono Borsellino e i suoi agenti di scorta la ricordo un po' meno di quella di Capaci, forse perché si era in estate e nel pieno di un trasloco. Però col tempo l'ho "riscoperta", forse anche grazie a un generale interesse crescente per la grande figura di Paolo Borsellino. Come ogni attentato di mafia, è l'ennesima storia di sangue, violenza, misteri, falsità, depistaggi. Non dico nulla di nuovo rispetto a quello che si ripete puntualmente da diciannove anni. Né intendo parlarne.
Mariano D'Amelio,
casualmente, era un giudice
(1871-1943)
Ragiono però sul dolore e su un aspetto che mi ha sempre colpito, sin da quel 19 luglio 1992. Non è una frase scontata, ma penso alle famiglie. La strage di via D'Amelio mi fa sempre riflettere sulla famiglia. Di Borsellino, della sua famiglia, forse ormai sappiamo quasi tutto. I fratelli: Salvatore con le Agende Rosse (in ricordo della famosa rubrica su cui Paolo segnava tutto e che scomparve appena dopo la strage), Rita, effimero simbolo di speranza per la politica siciliana (ma ora "parcheggiata" a Strasburgo); i figli: la bravissima Lucia, dirigente regionale della sanità, Manfredi a capo del commissariato di polizia di Cefalù, e Fiammetta che il giorno della strage era in vacanza in Thailandia. Ma in quel tragico pomeriggio Borsellino, dopo aver pranzato con moglie e figli, stava andando a trovare la madre che viveva proprio in via D'Amelio. E famiglie avevano anche i cinque agenti della scorta morti con il giudice. Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Eddie Walter Max Cosina, Claudio Traina e soprattutto Emanuela Loi.
Emanuela Loi, sarda, neanche 25 anni, prossima alle nozze, la prima donna in Polizia a morire in servizio. La famiglia di Emanuela seppe che era morta dal telegiornale. La sorella Claudia: «Almeno questa sconcezza lo Stato poteva evitarcela». Ma lo Stato ha scarsissima memoria: presente il 19 luglio, assente gli altri 364 giorni dell'anno. La regione Sardegna non garantisce l'assunzione ai familiari di "vittime del dovere", a differenza della Sicilia.
Catalano lasciò due figli; Cosina, triestino nato in Australia, si era fatto trasferire a Palermo dopo la strage di Capaci; Traina lasciò la moglie e un figlio piccolo; Li Muli, il più giovane di tutti, aveva 22 anni e lasciò genitori e fratelli. Anche loro, tra di loro, erano una famiglia: Cosina, prima di morire, chiese in ambulanza «come stanno i miei colleghi?».
C'è però un'immagine che davvero mi fa rabbrividire e piangere quando penso a via D'Amelio ed è con questa che devo chiudere questo post. In realtà non ce la faccio neanche a spiegarla...
Antonino Caponnetto, "inventore" del pool antimafia, maestro di Falcone e Borsellino. Che per lui, però, erano come dei figli.

3 commenti:

  1. Il tuo post o meglio, il tuo ricordo è bellissimo e anche il tuo blog. Grazie per avermelo segnalato. Ciaooooo, a presto.

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  2. Bellissimo post. C'é un Italia che non dimentica.

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