mercoledì 18 luglio 2012

Caro Paolo ti scrivo...

Ciao Paolo,

anche se non ci conosciamo personalmente, spero non sia un problema se ti do del tu. "Dottor Borsellino" mi suona un po' troppo distaccato.
Hai visto cosa sta succedendo? Io non so se vent'anni fa la parola "default" fosse così tanto utilizzata, ma di fallimento si parlava eccome. E dire che tu, Giovanni Falcone e tutti gli altri l'avevate detto: con le collusioni e il clientelismo, la nostra Sicilia non ha speranze di crescita e sviluppo. Voi lo dicevate in un contesto particolare, quello della magistratura, dei processi, del diritto. Ma in fondo il messaggio rimane quello: la Sicilia soffoca sotto l'oppressione della mafia e delle degenerazioni della vita politica e sociale.
Quando voi parlavate di queste cose, magari eravate marchiati con l'etichetta di "professionisti dell'antimafia". Invece ora siamo in mano ai dilettanti o a ben altro tipo di professionisti... Sono passati vent'anni e la situazione è peggiorata, la Sicilia è sull'orlo del fallimento. E non ci sono più "professionisti" come te e Giovanni. Tutto cambia per non cambiare niente, oppure non cambia nulla per far cambiare tutto. Insomma, lo sai meglio di tanti altri com'è fatta la Sicilia.
Vent'anni dopo siamo ancora qui, a chiederci cos'è successo in via D'Amelio, o meglio perché, o meglio ancora chi. Il tempo è passato ma i nomi son rimasti sempre gli stessi. C'è chi ha fatto carriera e chi semplicemente ha continuato a vivere. Alla seconda categoria appartiene la tua famiglia. Ad Agnese, tua moglie, attribuiscono una demenza senile, perché soltanto adesso dice di ricordarsi di certi dettagli di allora. Il garantismo della memoria, evidentemente, vale solo per il senatore Mancino. Tua sorella Rita un po' di carriera, a dire il vero, l'ha fatta: è stata una speranza effimera, ma si sa che in democrazia ha ragione la maggioranza. E alla maggioranza dei siciliani andava bene Cuffaro. Questa è storia, non un'opinione. Ora è a Strasburgo, Rita, nel limbo dove non si dà fastidio. Salvatore è il tuo fratello battagliero. L'hai visto in giro con le sue agende rosse, cioè le tue? A lui e a Rita, pensa un po', rimproverano di utilizzare il tuo cognome per la propria visibilità. La loro colpa, sai, è di essere di sinistra. Tu sei di destra, continuano a ripetere. Pensavo che foste semplicemente una famiglia antimafia, non una campagna elettorale.
Poi ci sono i tuoi figli. Lucia è una bravissima dirigente regionale della sanità. Manfredi è commissario di polizia. Fiammetta, che vent'anni fa era in Thailandia, è rimasta un po' defilata e infatti ricorda che "spesso le commemorazioni si tramutano in passerelle". Passerelle per gli ipocriti che forse neanche ti sopportavano. E invece alla tua famiglia si rimprovera addirittura la voglia di conoscere la verità. Solo a loro, pensaci, viene richiesto un rigoroso rispetto delle istituzioni.
Poi c'è la politica, ci sono i commentatori, gli opinionisti, i venditori di verità assortite e di dubbi perentori. C'è una magistratura delegittimata dalla politica e a volte da se stessa. A molti la carriera e la visibilità non dispiacciono affatto.
E infine ci sono io – e tutti gli altri come me. Gli anonimi, "dilettanti", eravamo bambini vent'anni fa e siamo cresciuti. Forse un po' in fretta, in un certo senso. E dopo due decenni ci fermiamo ancora a riflettere su quel giorno, a pensare a quell'estate troppo calda. Penso anche a chi era troppo piccolo o non c'era ancora, e magari ti ha conosciuto nel volto e nei baffi di qualche attore che ti ha portato sullo schermo.
Il vero "default", il vero fallimento della Sicilia, è questa lunga agonia. Che forse finirà, come diceva Giovanni, perché tutte le cose umane finiscono. Ma tu, Giovanni e i veri Eroi non finirete mai. Altrimenti per quei bambini "dilettanti" sarà davvero difficile crescere.

martedì 10 luglio 2012

Arancina meccanica

A differenza di molti miei conterranei che ne hanno fatto una questione di principio quasi "ideologica", io gli aerei della discussa WindJet li ho presi diverse volte in passato. Essendo stato dunque un cliente della compagnia, ricevo ogni tanto email con offerte e notizie. Come tutte le altre di analogo tenore, finiscono spesso nel cestino. Ieri no, però. Ieri ne ho ricevuto una davvero particolare. E l'ho conservata.
L'inconfondibile profilo siculo
di zù Arancinu
Si tratta di una curiosa campagna di comunicazione, promossa da WindJet Mobile e dal portale Twittering Tube. Iù sugnu sicilianu!!, "lezioni semiserie di lingua siciliana e sicilianità". Con un professore d'eccezione, zù Arancinu. Ventiquattro lezioni gratuite fino al 30 giugno 2013. Un anno con proverbi, miniminagghi (indovinelli), situazioni, modi di dire, piatti e dolci tipici. Naturalmente non sto facendo pubblicità a questa iniziativa, mica Pulvirenti ha bisogno di me.
Siccome si tratta di una cosa semiseria, allora mi adeguo anche io. Anzi , o meglio ìu. Oppure ? No, non è una filastrocca. Semplicemente una constatazione linguistica. non è siciliano, è catanese. Dalle mie parti invece si dice ìu. E è messinese. E mi sono limitato alla Sicilia orientale. Questo per dire che le lezioni – appunto semiserie – non sono di siciliano ma di catanese! Infatti gli esempi riportati nel messaggio pubblicitario sono decisamente caratterizzati da un umorismo made in Etna. C'è il proverbio Cu di n'sceccu ni fa n'mulu, u primu cauciu è do so' (riporto la grafia così com'è nel messaggio): se tratti qualcuno (l'asino) come un mulo (animale di maggior valore), quindi con più rispetto, sarai ricambiato con un calcio. Saggezza molto siciliana, senza dubbio, ma credo che chiunque in Trinacria sia in grado di collocare geograficamente l'espressione "do so'". E anche chi, nella "situazione" proposta, chiede una granita con panna e si lamenta del fatto che "d'a panna ci misi sulu u ciauru" (c'è solo l'odore della panna), sembra uscito da una di quelle barzellette in dialetto che imperversano sulle tv catanesi. Ma va bene, anzi benissimo. Meglio se lezioni così le fa chi sa non prendersi sul serio.
Chi pensa che la mia sia inutile pedanteria o pignoleria (non pignolata, quella è messinese), avrà pure ragione. Ma almeno un particolare tutti i siciliani dovrebbero notarlo. L'insegnante esclusivo è zù Arancinu. Zio Arancino. Un nome che se non è catanese, perlomeno va dallo Stretto a Capo Passero. Di sicuro a Palermo non si affiderebbero mai a uno così. Lì non esistono arancini. Quella delizia che altrove tentano con inutili e spesso osceni risultati di imitare, inserita nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali (Pat) riconosciuti dal ministero dell'Agricoltura, nel capoluogo si chiama "arancina", al femminile. Si dice perché prende il nome dall'arancia, di cui replica la forma. Eppure anche a est il riferimento è il frutto simbolo dell'Isola. Solo che qui è maschile, come l'albero. E peraltro la forma è a cono. Insomma, la questione a suo modo è seria e irrisolta. Una disputa vecchissima e forse non solo campanilistica. Intanto il Traina, uno dei dizionari siciliani più importanti, già nel 1860 riporta "arancinu". Edito a Palermo, peraltro. Per Andrea Camilleri, agrigentino, quelli di Montalbano sono gli arancini, non le arancine. E lui di cibo se ne intende...
Già 1.700 persone si sono iscritte a questo corso atipico di siciliano(-catanese) via mail. Tutti aspirano a diventare siciliani "cca scorcia". Con la corteccia o con la scorza, cioè. Che poi potrebbe essere proprio la scorza d'arancia. Non d'arancina, casomai di arancino, giusto ?