venerdì 16 novembre 2012

Il ballo del quaquaraquà

"Agghiaccianti"
Se ne sono dette di tutti i colori soprattutto una combinazione di bianconero e nerazzurro. Si chiamano tutti e due Antonio. Uno è barese, l'altro è leccese. Vista così, la polemica tra Cassano e Conte è un bel miscuglio di rivalità calcistiche e campanilismi. Ma c'è qualcosa che va oltre la Puglia e oltre la serie A. Oltre i soldatini, i professionisti e le supposte moralità. E oltre la "simpatia" degli interpreti di questa farsa. Tra le altre cose, infatti, i due contendenti si sono reciprocamente accusati di essere quaquaraquà.
Un termine bellissimo, nella sua cruda e inequivocabile efficacia. Cosa c'è di meglio di quaquaraquà per descrivere uno che parla tanto, anzi troppo, e alle parole non fa seguire i fatti?
Cito testualmente la definizione che ne dà il dizionario enciclopedico Treccani:
Quacquaraqua (o quaquaraquà) s. m. e f. [voce fonosimbolica, che ricorda il verso delle oche: v. qua1 e cfr. quacquarare]. – Voce sicil., ma diffusa anche altrove, con cui si allude genericam. a chi parla troppo, quindi chiacchierone (e, nel gergo della mafia, delatore), o anche a persona alla cui loquacità non corrispondono capacità effettive, e perciò scarsamente affidabile.
Fonosimbolica, cioè onomatopeica. "Qua qua qua": sequenza di suoni e versi rumorosi ma inconcludenti, dunque. La definizione è chiara, da parte dei due Antonio. Parli troppo, e sai fare solo quello. La parola in questione è siciliana, ma ormai la utilizzano in tanti, soprattutto nel resto del sud Italia. Una parola che ha avuto successo. Chissà, può darsi che Conte, da buon salentino, la utilizzi anche perché il suo è un dialetto della lingua siciliana...
Ma della diffusione di quaquaraquà è "responsabile" sicuramente un siciliano. Leonardo Sciascia. Se ormai questa parola è entrata nel linguaggio comune, il merito è del suo capolavoro Il giorno della civetta. La definizione della Treccani si conclude in effetti con uno stralcio del passo più celebre e citato di quel libro del 1961, la frase di don Mariano Arena, il boss del paese. Una tassonomia, una classificazione del mondo che vale la pena rileggere per intero.
«Io [...] ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l’umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà… Pochissimi gli uomini; i mezz’uomini pochi, ché mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini… E invece no, scende ancor più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi… E ancora più giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito… E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, chè la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre… Lei, anche se mi inchioderà su queste carte come un Cristo, lei è un uomo…»
Prima ancora che leggessi Il giorno della civetta, molti anni fa, quella parola e quel dialogo con il capitano Bellodi mi erano già noti. Sapevo già cosa volesse dire quaquaraquà e conoscevo la divisione dell'umanità secondo il verbo romanzesco di Sciascia. Una classificazione parziale, però, per come mi veniva citata. Mancavano quelli che vanno catalogati con rispetto parlando. C'erano gli uomini, gli ominicchi e i quaquaraquà, ogni tanto anche i mezz'uomini. Ché poi è la suddivisione attribuita pure a Totò, in cui gli uomenicchi non fanno certo una bella figura.
Dunque, tornando alle lezioni di moralità, non sentivo parlare della quarta categoria. Poi ho letto il libro. E poi ho visto anche il film di Damiano Damiani del 1968, con Franco Nero e una stupenda Claudia Cardinale. Don Mariano era Lee J. Cobb: nella sceneggiatura di Damiani e di Ugo Pirro, al momento topico, quello del dialogo con Bellodi, il boss dice schifato "i ruffiani" anziché "i (con rispetto parlando) pigliainculo". La smorfia di Cobb-Arena è impagabile, anche se dice un'altra cosa...
Avrà reagito con una smorfia anche lo stesso Sciascia, immagino, quando nel 1987, dopo il suo famoso e abusato e strumentalizzato articolo sui "professionisti dell'antimafia", si sentì apostrofare come quaquaraquà dal Coordinamento Antimafia di Palermo. Che addirittura lo accusò di star dalla parte di Vito Ciancimino e non di Leoluca Orlando. Il comunicato lo scrisse Francesco Petruzzella, che oggi lavora nel volontariato e non ha fatto carriera con l'antimafia.
A Sciascia non dispiaceva questa "filologia". Lo dimostra l'omonimo racconto in cui un boss e il suo picciotto discutono dell'origine del termine "mafia" (Filologia, in Il mare colore del vino, 1973). Dubito però che Cassano e Conte si siano fermati a ragionare sull'etimologia del loro reciproco insulto. Avrebbero fatto meglio a dirsi "brufoloso" e "parrucchino".

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