giovedì 30 agosto 2012

«Ho conosciuto Ettore Majorana» / 2

Cristiano Ceroni, Gli mancava il più comune buonsenso (omaggio a Ettore Majorana)
2007, olio su tela (dittico), cm 50 x 85
Leggi la prima parte: «Ho conosciuto Ettore Majorana» / 1

Sembrava un barbone, l'Ettore Majorana sulla strada provinciale 37 per Caltagirone, ma forse non lo era davvero. Indossava sempre un cappotto e un berretto militare, si portava dietro un grosso sacco di tela. Nei primi tempi dormiva fuori, appoggiandosi allo zaino, poi gli operai dell'Anas gli concessero di stare nella casa cantoniera. Strana la sua vita tra quelle mura rosse, con i vestiti stesi ad asciugare sopra i fichi d'India. «Una volta eravamo lì e a un certo punto si è messo a piovere», ricorda Ernesto Scibona, «noi siamo entrati in auto, lui invece è rimasto fermo al lato della strada, voltando le spalle al temporale». Per quattro anni è stato in quella casa, ma soltanto nei mesi primaverili. Nella casina rossa Scibona ha preso gli "effetti personali" del presunto Majorana, da cui si potrebbero ricavare tracce di Dna: reti per materassi, ombrelli, cinghie, penne, un pettine, uno specchio triangolare, un piatto, scarpe. «Purtroppo ho trovato solo un pezzetto di carta dentro a un nido di topi, sopra c'erano formule matematiche». Una volta il Major/Majorana aveva chiesto al padre di Scibona un quaderno con una matita: «Speravo di trovarlo», si rammarica ora Ernesto, «ma lui distruggeva tutto nel fuoco». E per questo le pareti della casa cantoniera sono annerite. Come in un'altra casa al bivio della statale Caltagirone-Gela, dove si diceva vivesse sempre quello strano personaggio.
Cosa sperava di trovare in quel quaderno? Le prove che quel barbone gentile e acculturato («Mio padre diceva che parlava sei lingue, invece mia sorella mi ha detto che mischiava parole italiane e straniere») fosse davvero lui, quell'Ettore Majorana avvistato un po' ovunque, ancora oggi al centro di misteri e ipotesi fantasiose. E non sarà un caso se quell'uomo col cappotto leggeva romanzi gialli e di spionaggio della collana "Segretissimo" di Mondadori... «Secondo me era un ex prigioniero di guerra, un internato, magari in Russia, dove forse era stato utilizzato come scienziato», azzarda Scibona. «A mio padre aveva detto di sapere tante cose, alcune segretissime che nessuno avrebbe dovuto sapere, per il bene di tutti».
Segreti militari, spionaggio, scienza al servizio della guerra (anche di quella "fredda"): queste le affascinanti ipotesi che però sembra impossibile confermare o smentire. Di certo c'è che «si comportava da morto vivente e la testa sicuramente "non era a posto"». Voleva mantenere un segreto e c'è riuscito, anche perché il padre di Ernesto ha tenuto fede alla promessa e non ha mai rivelato di cosa parlassero. E pensare che nei primi tempi Scibona senior si era convinto di aver capito cosa turbava quell'uomo: «Lo sapevo, c'entra una donna!».
«Sono sicuro che è stato in Germania e poi l'hanno preso i russi», insiste Ernesto Scibona. A quell'adolescente di Mirabella, una delle poche volte che gli rivolse la parola, lo strano signore regalò una volta una moneta d'argento del Terzo Reich, datata 1936. Il "vero" Majorana in Germania c'era stato sicuramente nel 1933.
«L'ultima volta che l'ho visto sarà stato nel 1974, stavo andando a Caltagirone», conclude il suo racconto Scibona. «Era in un campo di frumento in una strana posizione e non si capiva bene cosa stesse facendo». L'ennesimo mistero di questa storia? No, in realtà. «Stava facendo i bisogni!».

mercoledì 29 agosto 2012

«Ho conosciuto Ettore Majorana» / 1

«Un viso marcato e ben definito, caratteristico, con zigomi accentuati». Un identikit preciso, anche a decenni di distanza. Evidentemente certi volti, certi particolari, non si dimenticano. Ernesto Scibona non lo vede da 40 anni, quel viso, eppure è sicuro: è lui, l'ha riconosciuto. Il "lui" è – o meglio sarebbe – Ettore Majorana. Proprio lui, lo scienziato catanese scomparso nel nulla nel 1938 e avvistato un po' ovunque, in giro per il mondo. Ernesto Scibona è di Mirabella Imbàccari, paesino dell'entroterra catanese, ma ormai vive da tanti anni a Ragusa. E dalle parti di Mirabella ricorda di averlo visto, uno che assomigliava tanto a Majorana. Con quegli zigomi pronunciati e il viso marcato, «decisamente brutto». Un avvistamento che risale alla fine degli anni Sessanta, quando Scibona era ancora adolescente e in una casa cantoniera dell'Anas andava ogni tanto con il padre a trovare questo strano personaggio.
Parlava poco, quell'uomo sulla sessantina che sembrava un barbone pur essendo distinto. Un po' pelato senza barba, «aveva un aspetto burbero, ma l'animo gentile». Ricorda ora Scibona che «sembrava sempre assente, borbottava tra sé e sé, come se facesse dei conti». Viveva in una casina rossa sulla provinciale tra Caltagirone e Mirabella, in mezzo a copertoni, metalli e oggetti raccolti qua e là. Si confidava solo con il padre di Scibona: forse, ricorda oggi Ernesto, parlavano della guerra. Che fosse davvero Majorana o no, in quel periodo le campagne siciliane erano piene di militari sbandati e disadattati dopo la guerra.
Ma era davvero Majorana? A Ernesto Scibona questo dubbio, quasi un'ossessione, è venuto quattro anni fa, quando a Chi l'ha visto? si parlava della scomparsa del fisico, con l'oramai solita e vasta gamma di ipotesi: rifugiato in Sudamerica, barbone in Sicilia o al soldo della Germania nazista. «Sono saltato sulla sedia quando ho visto la sua fotografia». E da lì è cominciata un'inesauribile e affannosa ricerca sulle tracce di quel finto barbone della casina rossa dell'Anas. «Ho contattato la trasmissione di Rai3, ma non mi hanno creduto, volevano una foto», racconta ora Scibona. «Ma chi ce l'aveva a quei tempi una macchina fotografica?». E poi, che senso aveva andare in giro a fotografare un barbone? Così Scibona ha provato pure a chiedere ai carabinieri, a Mirabella, a Ragusa e persino a Roma, ma con scarsa fortuna. E anche «i parenti non ne vogliono sapere, per loro la storia è chiusa».
Mirabella Imbàccari
L'unico con cui parlava era il padre di Ernesto. Gli avrebbe detto di chiamarsi Ettore Major e di provenire da una buona famiglia di Catania. «Ne ho parlato con mia madre», spiega Scibona, «lei mi disse che mio padre aveva capito male e che quel signore disse "mi chiamo Ettore, Ettore Majorana"». La famiglia Scibona passava spesso da lì, per andare in campagna, e ogni tanto si fermava a parlare con lui, gli portava da mangiare. Una volta addirittura Scibona senior lo invitò ad andare con loro in campagna, ma quell'uomo così educato e schivo rifiutò. Così come rifiutava tutte le offerte di soldi.

Leggi la seconda parte - «Ho conosciuto Ettore Majorana» / 2