venerdì 19 aprile 2013

Siamo topi o commissari?

Il 34% di share è comunque un ottimo risultato. Fatto poi da un prodotto di qualità non è affatto un male per la televisione italiana, soprattutto quella pubblica. Nel triste panorama di fiction agiografiche se non proprio apologetiche, sentimentaloidi e nazional-popolari, Il commissario Montalbano spicca senza dubbio. Ammetto di essere forse poco imparziale: le storie di Andrea Camilleri mi piacciono, Luca Zingaretti ha saputo calarsi bene nella parte dell'eroe di Vigàta (mi permetto di accentare la "a" perché così riporta la denominazione ufficiale del comune di Porto Empedocle che dal 2003 al 2009 ha aggiunto al suo nome quello della località fittizia di Camilleri, ndr) e poi soprattutto è sempre un bel piacere, condito a saudade mediterranea, vedere i miei luoghi così belli e scenografici a far da sfondo alle vicende di Montalbano. Il 34% di share è quanto ha fatto segnare il primo episodio della nuova serie, "Il sorriso di Angelica", andato in onda su Rai 1 lunedì 15 aprile. Eppure non sono l'unico a dire che qualcosa non mi ha convinto. Anche i più accreditati critici televisivi hanno espresso perplessità. Non ho le stesse competenze, ma avendo letto il libro omonimo ed essendo affezionato a quelle storie, ammetto che non mi ha fatto impazzire. Il finale ha perso qualcosa rispetto all'originale e alcuni particolari della storia sono scomparsi. Per carità, non è così assurdo che nella riduzione cinematografica-televisiva di un libro qualcosa possa cambiare – e perdersi.
Non si accenna alle stranezze architettoniche della via in cui abita l'ariostesca Angelica Cosulich (in tv era Margareth Madè, su questo non mi permetto di criticare...): casa sua è a forma di cono gelato, me lo ricordo bene dal romanzo. La lettera anonima mandata al questore viene inoltrata anche alla redazione di Televigata, la concorrente della Retelibera dell'amico di Salvo, Nicolò Zito. Ma queste sono pedanterie anche un po' sciocche. Altre trasposizioni sono state persino peggiori.
Però una lacuna mi ha colpito molto, anche perché rende il finale un po' zoppicante. Tra le documentazioni nella cassaforte del suicida Pirrera, che attesterebbero la sua attività di strozzino, nella fiction non si fa parola – e non capisco ancora se sia una scelta voluta o casuale – di «due filmini in super otto. E alcune fotografie. Quando le sue vittime non avevano più soldi, esigeva pagamenti in natura. I filmini lo mostrano in azione con due bambine, una di sette e l'altra di nove anni» (cito testualmente, pag. 248 del romanzo). L'argomento è serio e scabroso, ma altre volte è stato accennato in episodi e storie di Montalbano.
L'ho notato subito, ma soprattutto questa cosa mi ha fatto riflettere perché curiosamente, negli stessi giorni, nelle edicole il commissario Montalbano si stava proprio rivolgendo a un pubblico verosimilmente più giovane. Dico verosimilmente perché in realtà pure io mi sono fiondato in edicola a comprare il numero 2994 di... Topolino! E così Montalbano è diventato Topalbano, nella storia "La promessa del gatto" ambientata a Vigatta, con Topolino che, in vacanza in Sicilia, incontra lo scontroso commissario in versione topesca. Posso dirlo? La storia su Topolino mi è piaciuta di più della fiction.
Certo, anche qui massima attenzione: sia Topolino e Minnie che Tobalbano e Lidia dormono in stanze separate... E il boss Sinatra è a capo della "malavita locale", non si parla di mafia.
Ho cominciato a leggere Topolino nell'estate 1987 (ricordo che una storia parlava di buco dell'ozono) e la mia infanzia è stata accompagnata dalla lettura delle storie Disney. Anche se io preferisco i paperi (quelli maldestri). Ma un bell'esperimento come quello di Topalbano va davvero oltre la mia parzialità.
Per la prima volta Camilleri ha ceduto alle proposte di trasporre Montalbano su fumetto. Lo scrittore fa anche un cameo: un personaggio del racconto, il proprietario della pensione Patò (citazione camilleriana), è disegnato pensando proprio a lui. Una storia-evento, con tanto di interviste a Camilleri, a Zingaretti, a sceneggiatori e disegnatori. E lì sta il trucco, il segreto, il perché di tanta qualità, anche su fumetto: i disegni sono del grandissimo Giorgio Cavazzano, che ha saputo restituire sulla carta un'atmosfera da noir, quasi cinematografica davvero. I colori, i toni, le luci, i volti. Tutto perfetto, anche i dialoghi con azzeccate incursioni nel dialetto. E i nomi dei personaggi valgono da soli la spesa: Catarella è Quaquarella!!! A dimostrazione che si tratta di un prodotto "serio", i mafiosetti Facciesantu e Prorunasu portano i nomi dei briganti della commedia "Rinaldo in campo": nel 1961 si chiamarono così in scena Franco Franchi e Ciccio Ingrassia.
Nun babbiate e arristati cà unni siti! (Topolino, pag. 48)

mercoledì 10 aprile 2013

Via Crucettis

Chissà come ci starebbe anche la bandiera siciliana...
Finalmente anche la Sicilia ha i suoi tre delegati per l'elezione del presidente della Repubblica. Di solito a votare per il capo del Quirinale vanno il presidente della Regione, il presidente dell'Ars (il parlamentino siciliano) e un esponente dell'opposizione. Non sempre è così, comunque: nel 2006, ad esempio, andarono il deputato regionale di Forza Italia Giuseppe Catania (si disse che era un risarcimento per la mancata ricandidatura alle regionali...), il presidente dell'Ars Guido Lo Porto (Alleanza Nazionale) e l'allora capogruppo dei Ds Calogero "Lillo" Speziale, compaesano di Crocetta.
In Sicilia, quando c'è di mezzo la politica, le cose non sono mai troppo scontate. Così, la nomina del governatore Rosario Crocetta e del capo di Palazzo dei Normanni Giovanni Ardizzone è dovuta passare dal voto dell'aula. Sì, sono stati effettivamente scelti, come era previsto, ma il sistema di voto segreto ha garantito qualche sorpresa e forse fatto emergere alcune crepe nella maggioranza.
Sembrava che la partita si dovesse giocare tutta sulla nomina dell'esponente di opposizione. E la lotta era tra il centrodestra e il Movimento 5 Stelle, due modi diversi di fare opposizione (però tutti e due hanno votato provvedimenti della maggioranza di Crocetta). Alla fine l'ha spuntata Francesco Cascio del Pdl, ex presidente dell'Ars. Nel voto segreto a doppia preferenza ha avuto il sostegno di tutto il centrodestra ma anche quello trasversale di alcuni franchi tiratori della maggioranza. Cascio ha superato il grillino Salvatore Siragusa, che però a sua volta ha preso soltanto quattro voti in meno di Crocetta.
Ecco il problema. Ardizzone ha fatto en plein, mentre Crocetta ha dovuto fare i conti con 12 franchi tiratori del centrosinistra. In un momento in cui i malumori della maggioranza si fanno sentire, soprattutto per alcune nomine dirigenziali (non ultima quella pensata per Ingroia) e per le prossime alleanze alle amministrative. Naturalmente tutti i partiti della coalizione di Crocetta, Udc compresa, rivendicano la correttezza delle loro azioni e ribadiscono di aver votato il presidente. Sarà, ma intanto quei dodici voti mancanti sono finiti a Siragusa del M5S.
Dunque ai parlamentari in seduta congiunta per scegliere il prossimo inquilino del Quirinale si aggiungeranno: uno di (centro)sinistra, un centrista ma coalizzato con il Pd e uno del Pdl. Ah, naturalmente i grillini parlano di inciucio. E lo chiamavano "modello Sicilia"...

Questi i risultati dettagliati:
Giovanni Ardizzone (Udc) 46
Francesco Cascio (Pdl) 33
Rosario Crocetta (lista Crocetta - Il Megafono) 29
Salvatore Siragusa (M5S) 25
Gianina Ciancio (M5S) 16
Marco Falcone (Pdl) 2
Nello Musumeci (La Destra, lista Musumeci) 2
Salvatore Cascio (Pid - Cantiere Popolare) 2
Valeria Sudano (Pid - Cantiere Popolare) 1
Antonio Malafarina (lista Crocetta - Il Megafono) 1
Antonino D’Asero (Pdl) 1
Toto Cordaro (Pid - Cantiere Popolare) 1
Roberto Clemente (Pid - Cantiere Popolare) 1
Antonio Venturino (M5S) 1
Raffaele Nicotra (Udc) 1
Vincenzo Fontana (Pdl) 1
Nino Germanà (Pdl) 1
Una scheda nulla perché c'erano scritti tre nomi, anziché due. Chissà chi era l'intruso.

martedì 9 aprile 2013

Totò, Antonino e il null'Aosta

Una volta gli ho stretto la mano. Però, contravvenendo alla tradizionale fama che lo precede, nessun bacio. Alcuni anni fa Totò Cuffaro, ancora potente presidente della Regione Sicilia, venne a Modica per l'inaugurazione della mostra personale di una sua amica pittrice. Mi trovavo anche io lì e dunque lo incontrai. Io che non l'avevo votato e mai l'avrei votato, anzi avrei fatto qualche tempo dopo anche campagna elettorale contro. Ho ripensato spesso a quell'incontro e mi è venuto in mente in questi giorni, quando ho scoperto che il libro scritto da Cuffaro in carcere è tra i 26 ammessi alla LXVII edizione del Premio Strega (presentato dagli "Amici della domenica" Gianpiero Gamaleri e Marco Staderini).
Ci ho pensato perché da un po' mi era presa la curiosità di leggere le sue memorie dal carcere, dove si trova per favoreggiamento alla mafia. Potrei anche decidere di fare questo passo strano ed effettuare il secondo incontro della mia vita con Cuffaro, anche se indiretto e mediato dalla carta di un libro. Anche se la copertina del suo Il candore delle cornacchie è oggettivamente brutta e mi inibisce la prefazione di monsignor Rino Fisichella – quello delle "bestemmie da contestualizzare" di Berlusconi.
[Aggiornamento del 16 aprile 2013. Cuffaro è fuori dalla lista dei 12 finalisti dello Strega. Tra i favoriti c'è Aldo Busi]
C'è un altro libro che devo ancora leggere e mi fa pensare a Cuffaro. Ce l'ho sul comodino, in attesa del suo turno, ed è Antonio Ingroia. Io so, il libro di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza che raccoglie il racconto del pm-leader politico-giornalista pubblicista palermitano sulla trattativa Stato-mafia e sul ventennio berlusconiano. Mafia, politica, libri. Punti di vista diversissimi (si può dire opposti?) da quelli di Cuffaro. Se mi viene in mente un improbabile confronto tra i due libri è soprattutto perché penso che la condanna di Cuffaro è il grande successo dell'acerrimo nemico di Ingroia, quel Pietro Grasso che da procuratore nazionale antimafia preferì l'imputazione per favoreggiamento al più complesso e indefinito concorso esterno e che adesso da neo-presidente del Senato si è ritrovato sotto il fuoco delle accuse di chi invece sta dalla parte di Ingroia e di una diversa gestione delle inchieste su mafia e politica. Intanto Cuffaro è in carcere, molti degli accusati di concorso da Ingroia no. Ma inutile andare oltre, mica ho la pretesa di competere con Travaglio sul piano dialettico e documentale. E Grasso non mi ha chiesto di difenderlo.
Tutto questo per riflettere sulla politica, sulla mafia e sull'antimafia, sulla saggistica, sul fatto che in fondo una seconda opportunità non la si nega a nessuno. Totò Vasa Vasa, dietro le sbarre di Rebibbia, si è rimesso a studiare e ora scrive il suo libro di memorie.
Ingroia diventa famoso anche in politica, ma la sua Rivoluzione Civile non ha superato lo sbarramento della satira di Maurizio Crozza.