sabato 29 giugno 2013

Fango Unchained

Buongiorno Fabrizio Miccoli,

volevo solo dirle qualche parola, giusto per non sottrarmi ai miei doveri di siciliano incazzato.
Mi chiedevo una cosa: ma in questi giorni ha avuto modo di parlare con il suo amico Mauro Lauricella? Da una settimana ho un pensiero. Lei mi sta sembrando il classico ragazzo buono e sfigato che però vuole apparire "figo" e per questo si fa le sopracciglia strane, si riempie di tatuaggi e soprattutto cerca di emulare l'amico furbo, scaltro, un po' bulletto. Non so perché, ma mi immagino la scena di lei che per non sfigurare davanti all'amico (l'amicizia è un valore importante e credo che lei voglia davvero bene a Lauricella) si ritrova a comportarsi come un aspirante bullo di periferia. E insulta Giovanni Falcone.
Non è per offenderla, anzi io sono uno di quelli che ha sempre apprezzato il Fabrizio Miccoli calciatore e non solo. Ho creduto che lei fosse diverso dagli altri, ho applaudito le sue giocate e i suoi comportamenti. La dedica agli operai di Termini Imerese dopo il gol alla Juve, l'ammirazione per Che Guevara, le lacrime quando segna contro il "suo" Lecce.
Ecco, le lacrime. Il problema, Miccoli, è che quando lei era nel San Donato in Salento e in procinto di finire nelle giovanili del Milan, cioè nel 1992, io ero un po' più piccolo di lei (tifavo già Milan) e le lacrime me le sono portate dietro, sin da allora e per vent'anni e passa, perché ammazzarono quel Falcone che lei, forse per compiacere le sue amicizie palermitane, ha imparato a offendere e insultare. E pensi che Falcone era uno sportivo, credeva nei valori di lealtà e formativi dello sport, prima palestra per imparare il rispetto delle regole. Immagino pure che simpatizzasse per il Palermo, lui che era nato alla Kalsa, lo stesso quartiere del suo amico Lauricella.
Guardi, non sono un pm, né un giudice, né un inquisitore. Sono garantista, non tocca a me condannarla. Dico solo che mi dispiace per la sua stupidità: non è un alibi, è la sua aggravante piuttosto. Come non è un'attenuante il suo stupido datore di lavoro.
Lei chiede scusa a tutti, a cominciare dalla sua famiglia. Ha due figli, di nove e cinque anni, e dice di volerli far crescere nella legalità. Io avevo nove anni quando morì Falcone: vivevo già nel valore della legalità. Spero che non sia stata questa sua pessima figura a farle scoprire l'esigenza di dare un insegnamento importante a Swami e Diego. Ha anche mandato a Repubblica un messaggio idealmente indirizzato a Falcone. Complimenti per la stupidità da "10" (senza lode).
Poi magari abbiamo frainteso le intercettazioni e invece di "fango" lei diceva qualcosa di più esotico, in linea con il suo estro: chessò, mango, tango, Django. Oppure il suo era solo un consiglio per un tour alla riscoperta del patrimonio vegetale della città: prima l'albero di Falcone, poi le palme, i ficus dell'Orto botanico, il parco della Favorita, le erbacce sui ruderi dei quartieri abbandonati, la malapianta. No scusi, quest'ultima non è una specie vegetale, è quell'erba cattiva che si chiama mafia. Che prospera tanto nel fango, peraltro.
Una volta vedeva sugli spalti striscioni contro il 41-bis, ora sente i tifosi che cantano "chi non salta un mafioso è". Non se l'aspettava, eh? Fa parte della natura umana. Succede. Professionisti della mafia e dilettanti dell'antimafia, più gli improvvisati (mafiosi e anti-mafiosi) della domenica pomeriggio. Salvo anticipi e posticipi, naturalmente.
Scelga lei da che parte stare. Tanto si parlerà ancora delle sue lacrime, del "fango", delle intercettazioni e del suo pentimento. Lei ci ha distorto e poi estorto la realtà – e non solo quella. Ma noi siciliani siamo fatti così, ci facciamo conquistare da chiunque. Greci, romani, arabi, normanni, spagnoli, francesi, piemontesi e americani. Ci mancava solo uno stupido salentino. Adesso anche lei è cosa nostra.

Voglia gradire la mia più sincera e profonda delusione. Addio.

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