lunedì 29 dicembre 2014

La quirinabile

Flashback #1
«Faremo come Temistocle che decide di affrontare per mare l'armata persiana anziché aspettarne l'arrivo dietro le spesse mura di Atene». Il 21 aprile 2007 io c'ero, al Mandela Forum di Firenze, ultimo congresso dei Democratici di Sinistra prima dello scioglimento nel futuro Pd. Queste parole introducevano il secondo discorso più applaudito. Il primo era stato quello di Fabio Mussi, che disse "basta, io scendo qui". Ricordo benissimo la standing ovation, sincera ed emozionata. Titolare di quelle parole auliche era invece Anna Finocchiaro. Sembrava proprio un discorso da leader in pectore. Lei era emozionata, ogni tanto la voce tremò in quel discorso. Il piglio comunque ce l'ha, la signora, una bellissima signora, nata quasi 60 anni fa a Modica. L'anno prima, nel 2006, dopo la prima elezione di Napolitano al Quirinale, ebbe a dire: «Un uomo con il mio curriculum l'avrebbero già fatto presidente». Ecco, diciamo che forse Anna Maria Paola Luigia Finocchiaro in Fidelbo ci ha creduto davvero di salire al Colle. E può sperare ancora, in realtà. Piace anche a parte della destra, che tutto sommato subisce il fascino di certi dalemiani. Infatti si dice che lei stessa abbia sondato la disponibilità di Berlusconi a votarla...
Lei, che era inizialmente contraria alla svolta della Bolognina.
Flashback #2
Un anno dopo l'evocazione di Temistocle, l'11 aprile 2008, Anna Finocchiaro era davanti al mio vecchio liceo e al Teatro Garibaldi, a Modica. Scelse quella parte del centralissimo corso Umberto I come piazza, piccola, raccolta e intima, per la chiusura della campagna elettorale per le elezioni regionali in Sicilia. Lei era la candidata che il centrosinistra opponeva a Raffaele Lombardo. Perse, e pure malissimo, ma non se ne fece cruccio perché intanto aveva già pronto il paracadute senatoriale (eletta in Emilia-Romagna). Terza arrivò Sonia Alfano, per la cronaca. Ma io me la ricordo quella sera lì, Anna. Emozionata ancora, nella sua città natale, insieme a tanti amici e compagni d'avventura politica. C'era molta sinistra e lei salutò con affetto sincero il Crocetta comunista sindaco di Gela e persino quelli che non aderirono al Pd restando nell'effimera Sinistra democratica. Presentava la serata un roboante Luca Zingaretti, alias Montalbano. Illusione completa. Era candidata in un sostanziale ticket con Rita Borsellino. Diceva di volersi «prendere cura della Sicilia come farebbe una madre». Testuale.
Il suo nome torna ora nella lista dei "quirinabili". Se davvero Renzi vorrà puntare su una donna, lei sarebbe accreditata (al di là della solita candidatura di bandiera di Emma Bonino). Ma si tratterebbe di una scelta molto "politica", anche in senso negativo. Potrebbe farcela, cioè, se la politica decidesse di fare un favore solo a se stessa e ignorare il sentire comune. Sarebbe cinico soprassedere sulle grane giudiziarie del marito e sulla squallida vicenda della scorta all'Ikea. Della serie: il diavolo fa le padelle ma non i coperchi.

domenica 28 dicembre 2014

Il quirinabile

Flashback #1
Il 18 aprile 2013, il presidente della Regione Siciliana, Rosario Crocetta, svela il mistero: è stato lui a votare l'unica scheda con il nome di Pietro Grasso, presidente del Senato, per il Quirinale. «Una persona che può rompere gli schemi, un nome di ampie convergenze nella società civile», diceva Crocetta. Il resto è storia. Ma ora che Napolitano dovrebbe lasciare definitivamente, nella partita del toto-nomi quello di Grasso, seconda carica dello Stato, non è affatto fuori dai giochi.
I bookmakers inglesi non lo danno tra i più quotati, ma lui c'è. Il metodo pure. Grasso ha commesso diversi errori a Palazzo Madama, ma il pregio, paradossalmente, è stato quello di aver scontentato quasi tutti. Ha pagato la scarsa esperienza politica, certo. Ma la decina di voti che prese dai senatori del Movimento 5 Stelle, indignati all'idea di non poter bloccare la scalata di Schifani per i veti via blog, dimostra che potrebbe far breccia anche fuori dalla maggioranza. Una soluzione di garanzia, si direbbe. Lo so, ai grillini duri e puri, ai travagliani, ai movimentisti dell'antimafia, Grasso non piace troppo. Solita questione di potere e di diverse idee su come si debbano fare magistratura e lotta alla criminalità. Intanto però, lui, che ha fatto pure il maxiprocesso, annovera tra i successi suoi (e dell'antimafia) la condanna di Cuffaro. Ottenuta con realismo e senza troppi voli pindarici. Con meno clamore di un concorso esterno, ma con la maggiore concretezza di un favoreggiamento. Anche questo è metodo. Oltre al fatto, tutt'altro che secondario, che lui la magistratura l'ha lasciata definitivamente per dedicarsi alla politica. Una scelta al di là delle aspettative.
Flashback #2
Un presidente della Repubblica deve essere anche popolare, cosa che in verità Napolitano è stato pochissimo, così preso tra la sua aristocrazia politica e la seriosità del ruolo di "produttore di moniti". Una quarantina di anni fa Grasso giocò invece a calcio, nella palermitana Bacigalupo, "creatura" nientemeno che di Marcello Dell'Utri. Squadra allenata anche da Zeman (che guarda caso, prima di incantare Foggia, avrebbe cominciato negli anni '80 la scalata italiana con tre belle stagioni nell'agrigentina Licata, paese natale di Grasso). Pietro giocava da mediano.
Oggi si scatena sui social network. Dalla ricerca TweetPolitics risulta il primo politico non leader di partito per il ritmo di crescita dei suoi followers. Su Twitter tifa Palermo, parla di temi sociali, ricorda il fascino che emanava Virna Lisi, pubblica foto, polemizza con i senatori 5 Stelle. Lui, ex procuratore, quindi uomo d'attacco per professione, con i suoi critici più severi gioca sempre di difesa, in contropiede e passa al contrattacco, da buon mediano di spinta, appunto. Dando del "tu" ai vari Morra, Bottici, Lezzi. Alcune sue uscite naïf in Aula lo rendono persino simpatico.
Il primo giorno della legislatura presentò la sua proposta di legge anticorruzione. Il secondo è stato eletto presidente del Senato. A capodanno compirà 70 anni. Portati comunque bene. Grasso è la dimostrazione di cosa potrebbe fare Zeman se curasse meglio la fase difensiva.

lunedì 15 dicembre 2014

La Vittoria della mafia

Esattamente quattro anni fa, in uno dei primissimi post pubblicati su questo blog, si parlava di un omicidio avvenuto a Vittoria, nel Ragusano. Inizialmente si pensò a un delitto di mafia, poi si scoprì che così non era. Ma Vittoria è una città in cui la mafia ha purtroppo operato e prosperato, e pure ucciso.
Ieri, quattro anni dopo quel post, è stato ammazzato in pieno centro, in una domenica pre-natalizia, un 53enne calabrese, Michele Brandimarte, di Oppido Mamertina (il paese delle processioni sotto casa dei boss) ma da tempo residente a Gioia Tauro (la città del porto dei grossi traffici illeciti). Risposta semplice e veloce alla domanda prevedibile e comunque legittima: un calabrese con precedenti gravi, per di più legato alla cosca Piromalli-Molè, potrebbe trovarsi a Vittoria non per caso. La città ipparina (si chiama anche così) è un grosso centro in cui da decenni convergono interessi di tipo mafioso, tanto di Cosa Nostra quanto della locale stidda. E la 'ndrangheta? C'entra perché Vittoria è uno dei vertici del triangolo della "frutta sporca": sul mercato ortofrutticolo di Fanello ha messo le mani la criminalità siciliana, quello laziale di Fondi è regno dei casalesi e all'ortomercato di Milano comanda proprio la 'ndrangheta (ah, la mafia al nord...). Quel paesone dell'estremo sud di Sicilia, Italia ed Europa è luogo di saldatura di interessi e malaffare tra le grandi mafie italiane, che collaborano tra loro più di quanto non si voglia credere. Negli anni scorsi esponenti del clan dei casalesi sono stati arrestati proprio a Fanello, guarda caso.
Vittoria è in provincia di Ragusa, quella che per lunghissimo tempo è stata considerata "babba", stupida, ingenua, a bassissima se non nulla densità mafiosa. Così non è, e non era neanche in passato, a dirla tutta. Ma anche ammettendo per astrazione che il Ragusano fosse più o meno immune dalla mafia, Vittoria avrebbe in ogni caso rappresentato una clamorosa eccezione, tra contrabbando, traffico di droga, racket, centinaia di affiliati e faide stragiste. Proprio 4 anni fa, ma era luglio, pubblicai uno dei primi lavori a mia firma: era un mini-saggio per Diacronie, rivista di storia contemporanea. Provai a tracciare una storia parziale della mafia a Ragusa. La tesi, ovvio, è che una mafia ci sia pure in terra iblea. Come ha sempre detto Carlo Ruta. Noto solo che quasi contemporaneamente al mio articolo, l'allora presidente della commissione regionale Antimafia, Lillo Speziale del Pd, di Gela ma avversario di Crocetta, aveva detto, in visita proprio a Vittoria: «La provincia di Ragusa costituisce un'autentica isola felice, nel panorama siciliano, per quanto concerne il preoccupante fenomeno dell'illegalità». Testuale. C'erano appena stati episodi di racket e minacce, tanto per dire. Scrissi a Speziale, ma ovviamente non rispose mai. Chissà cosa ne penserà adesso...

domenica 14 dicembre 2014

Condimento molto salato

Il sommo Dante sosteneva che il cibo più buono al mondo fosse l'uovo sodo. E il condimento perfetto era il sale. Insomma, piatti e ingredienti semplicissimi e genuini. Non mi azzardo a parafrasare l'Alighieri, ma – soprattutto se mi trovo in Sicilia – potrei dire senza dubbi che poche cose sono più buone del pane condito, o meglio u' pani cunsatu. E naturalmente, per essere precisi, il condimento migliore, a completare olio e sale e pane fragrante, è l'origano. Mi perdonerà dunque il Vate fiorentino: il sale sta all'uovo sodo come l'origano al pani cunsatu (e a mille altre cose, in realtà: io lo metterei quasi ovunque...). Quell'erba aromatica ha per me, siciliano rustico mediterraneo, quasi un effetto proustiano.
Quindi mi ha colpito la vicenda dell'emendamento alla legge di Stabilità (banalmente, alla manovra finanziaria) proposto dalle senatrici Pd Leana Pignedoli, emiliana, e Venerina Padua, siciliana di Scicli, sull'aliquota Iva dell'origano in vendita "a rametti o sgranato". I numeri: a differenza di basilico, menta, rosmarino e salvia che godono dell'Iva agevolata al 4%, l'origano è in pratica l'unica erba aromatica su cui si applica la canonica e pesantissima aliquota del 22%. Ecco cosa dice l'Agenzia delle Entrate: «L’origano, da un punto di vista tecnico/merceologico appartiene alla stessa voce doganale del basilico, rosmarino e salvia ma, a differenza di questi ultimi prodotti, non è letteralmente menzionato dal legislatore fiscale al citato n. 12-bis) della Tabella A, parte II del D.P.R. n. 633 del 1972 ai fini dell’applicazione dell’aliquota IVA ridotta del 4 per cento». Mannaggia. E pensare che esiste anche un'Iva al 10%, per le miscele di spezie...
Le senatrici Pignedoli e Padua, dunque, hanno proposto di abbassare l'aliquota, ma hanno "condito" il tutto con una bella gaffe: parlano di un'Iva al 6%, che in Italia non esiste (ma c'è in Svezia, Belgio, Portogallo e Lussemburgo). Prima di loro, a essere precisi, a gennaio avevano preso a cuore la questione anche i deputati siculi, di Nuovo Centrodestra, Alessandro Pagano e Nino Minardo. Erano stati sollecitati, pare, dai produttori concentrati in particolare nella provincia di Ragusa. Per fortuna che io, quando posso, l'origano vado a raccogliermelo direttamente nei campi. In greco vuol dire "splendore di montagna".
Per una volta, allora, facciamo di tutta un'erba un fascio.

venerdì 12 dicembre 2014

Tutti i nodi ferroviari vengono al pettine

Tra le peggiori linee d’Italia è sicuramente la linea Siracusa-Gela che collega due Province importanti, lunga 181 km, ma ancora non elettrificata e a binario unico e che vede, soprattutto, un solo treno diretto collegare le due città. Il numero di pendolari che frequentano questi treni inevitabilmente continua a calare, sono circa 500 al giorno di cui il 95% si muove da Modica-Pozzallo a Siracusa e viceversa. Solo nell’ultimo biennio i treni soppressi sulla linea sono stati 14. Lo stato dei treni è mediocre mentre i servizi igienici nelle stazioni sono stati chiusi, salvo qualche rara eccezione dove il servizio è gestito dal Comune in collaborazione con il bar di stazione come nel Comune di Vittoria. Le biglietterie nelle stazioni sono del tutto scomparse se si fa eccezione per le stazioni di Siracusa e Gela, con l’ultima recente chiusura di quella di Modica. Infine è da rilevare come gli attuali tempi di percorrenza dei treni in questa linea, siano addirittura superiori a quelli di 20 anni fa malgrado siano pochissimi i treni che la percorrano e siano stati realizzati interventi di miglioramento dell'infrastruttura. In più i treni circolanti tra Modica e Gela molte volte sono sostituiti interamente o parzialmente (solo per un tratto intermedio) da bus, quindi le coppie circolanti che dovrebbero essere 4 (minimo storico) per gran parte dell'anno si sono ridotte a 3.
Rapporto "Pendolaria 2014" di Legambiente. Le peggiori dieci linee ferroviarie per pendolari d'Italia. Al numero 4, così come testualmente qui sopra, c'è la Siracusa-Ragusa-Gela. Non c'è molto da dire, purtroppo. Le cose stanno come le spiega Legambiente. Io dico solo che su quella linea, nel tratto ragusano, ho viaggiato un paio di volte, ai tempi della scuola, per qualche piacevole gitarella. Perché il grande pregio di quella tratta è che attraversa paesaggi suggestivi e in alcuni punti, tra Modica e Ragusa soprattutto, è un gioiello di ingegneria, tra gallerie, avvitamenti, dislivelli arditi. Bella davvero.
A proposito di servizi igienici: alla stazione di Ragusa fotografai una ventina d'anni fa la triplice insegna all'ingresso della toilette. C'era quella ufficiale, asettica, blu, con le sagome e su scritto "wc". Poi una meno recente, "bagni". E soprattutto la più bella, vagamente liberty, da primo Novecento: "cessi". Ecco, mi pare che le condizioni generali della ferrovia iblea vadano indietro, proprio come i wc che tornano a essere cessi.
Peccato. Su quella linea si erano riposte parecchie speranze, anche in chiave turistica (nell'attesa, peraltro, di vedere ancora completata pure l'autostrada Siracusa-Gela). I rimpalli di responsabilità tra Ferrovie dello Stato e Regione Siciliana hanno fatto sì che sostanzialmente si avviasse verso il fallimento quella bella iniziativa che era il "Treno Barocco", un viaggio slow in mezzo alle terre dell'Unesco. Iniziativa selezionata anche nell'ambito di Maratonarte nel 2008: il testimonial era Luca Zingaretti e dal 2 marzo al 28 settembre di quell'anno si poté viaggiare gratis da turisti su quella linea. Costo del progetto: 354mila euro.
Quando ero piccolo mi colpì una frase letta su un catalogo Lego: ogni città che si rispetti ha la sua stazione dei treni. Avendo visto in che stato versa(va)no le ferrovie dalle mie parti, ed essendo un patito dei mattoncini, mi vennero molti dubbi... E pensare che se non ci fosse stata la stazione a Modica, non potrei vantarmi di essere compaesano di Salvatore Quasimodo. Nato a Modica solo per caso, figlio del capostazione Gaetano, siracusano.


P.S. Siccome piove sempre sul bagnato, appena qualche giorno dopo il rapporto di Legambiente risulta che per sei mesi, fino al giugno 2015, i collegamenti ferroviari tra Modica e Caltanissetta, via Gela, saranno sospesi e sostituiti da pullman, "per lavori programmati di manutenzione". Ci vogliono 4 ore di autobus da Caltanissetta a Modica...
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giovedì 11 dicembre 2014

La verità adulterata

La storiaccia del piccolo Loris nel Ragusano è davvero triste, brutta, sconfortante. Non è uno di quegli argomenti che cattura troppo la mia attenzione, se non naturalmente entro i normali limiti dell'umana pietà. Però ieri sera al telegiornale ho sentito una cosa che mi ha davvero infastidito, urtato, intristito. Insomma, scegliete uno stato d'animo negativo e quello l'ho provato ieri sera. Il padre di Loris, Davide, a un certo punto, per negare risolutamente le voci che in paese mettevano in dubbio la fedeltà della moglie, la Veronica oggi in carcere, ha detto una cosa tipo "può anche essere l'assassina di mio figlio, ma escludo che possa avermi tradito". Semplifico, ma fidatevi, il senso è quello. Dunque Veronica Panarello è una brava moglie, pure una brava mamma, come qualche giorno prima aveva detto lo stesso Davide.
Ho avuto un sussulto, una reazione immediata, che mi ha fatto capire che in realtà non sempre il grottesco fa ridere. Sì, perché le parole del signor Stival sono praticamente le stesse che mesi fa mi capitò di sentire in una replica a tarda sera di Made in Italy, film a episodi del 1965 di Nanni Loy. Nell'episodio Usi e costumi c'è infatti un sicilianissimo Lando Buzzanca, alias Giulio, innamorato della sua Rosalia, che però non si lascia mai baciare. Allora Giulio, per vederci chiaro, chiede informazioni a un amico carabiniere. In breve, Rosalia è autrice di mille nefandezze: ladra, rapinatrice, manesca, violenta. Ma a lui non interessa: è sollevato quando sa che Rosalia non è venuta meno alle sue virtù di donna. L'importante è che sia illibata.
Tornando a Santa Croce Camerina, Davide Stival, già nel contesto di una storia di plausibile squallore familiare, ha suscitato in me questo grande fastidio. Mi ha fatto male, anzi schifo, sentire parole e concetti che non mi sono mai appartenuti, che personalmente ho sempre collocato nella sfera del grottesco, della macchietta, dello stereotipo buono per le risate da cinema. Mi hanno fatto schifo quelle parole, perché raccontano di una Sicilia e di siciliani che io non conosco, dis-conosco. Io non c'entro con la Sicilia del presunto onore maschile, maritale, virile, e quella Sicilia non c'entra con me. La mia Sicilia è quella del rispetto tra uomo e donna, non quella che sembra ignorare il nuovo diritto di famiglia (nuovissimo: così come inizialmente riformato nel 1975, direi...). Non quella in cui un uomo, un marito, un padre, un lavoratore, ribalta la morale e si preoccupa delle sue corna più del sangue del suo sangue sparso sulla nuda terra in una contrada desolata.
Mi spiace per questa storia tragica e sconfortante. Povero Loris, povera famiglia, povero paese. Ma mi spiace anche per questo messaggio di Sicilia sciascianamente "irredimibile", come se l'Isola fosse rimasta la terra arcaica e tribale che decenni di commedia di serie B hanno raccontato tra sghignazzi, occhiolini e  gomitate di complicità. Mi sono rotto, vorrei far uscire immediatamente dal mio vocabolario la parola "onore". Basta. Hanno ammazzato un bimbo, cazzo. Tenete alto l'onore, mi raccomando.

sabato 6 dicembre 2014

Little oranges

C'è una storiella ebraica molto carina, raccontata da Moni Ovadia nel suo libro-spettacolo Perché no? L'ebreo corrosivo (1996). Un nuovo rabbino, giovane, arriva in una comunità. A un certo punto della liturgia, la prima volta che parla ai fedeli in sinagoga, succede una cosa strana: metà platea si alza in piedi, l'altra metà resta seduta. E iniziano tutti a litigare, accusandosi reciprocamente di eresia e analoghe nefandezze religiose. Il giovane rabbino resta interdetto e non sa che fare né come riportare alla calma tutti quanti. Alla fine, le opposte fazioni propongono la soluzione: c'è il vecchissimo rabbino, ultracentenario, che vive isolato a godersi in meditazione gli ultimi anni della sua lunga e religiosissima vita, lui sicuramente saprà dare una risposta e dire chi ha ragione. Così il rabbino parte con una delegazione degli "in-piedi" e una dei "seduti". Arrivati dal vecchio saggio, gli chiede come deve procedere la liturgia a quel punto particolare. E cominciano le urla: "si sta in piedi", "no, si resta seduti", e giù insulti, "eretici", "blasfemi", "sacrileghi". Poi si fa silenzio, dopo una lunga riflessione il vecchio rabbi risponde: "Arrivati a quel punto della liturgia... una parte della comunità resta seduta, l'altra metà si mette in piedi. E cominciano tutti a litigare!".
La foto è la stessa con cui il Boston Globe ha illustrato la notizia
Ecco, quella comunità immaginata da Moni Ovadia mi torna spesso in mente quando sento della infinita e irrisolta (irrisolvibile?) querelle tutta siciliana sul corretto nome di quella delizia della gastronomia che sono gli arancini, o le arancine. Nel senso che, alla fine, ognuno ha la sua ragione: i palermitani continueranno a rivendicarne la femminilità, i catanesi e il resto della Sicilia orientale parleranno unicamente di arancini (peraltro a forma di cono e non di palla). La questione è semiseria, più o meno come la lite tra gli "in-piedi" e i "seduti" di Ovadia. Io continuerò a chiamarli arancini (anche se nel Ragusano, che sempre ama distinguersi, c'è chi lo dice al femminile: a Modica si trovano salomonicamente entrambe le diciture, ma forse è solo un caso...), gli amici palermitani e della Sicilia occidentale diranno arancine. Tant'è. Non ci metteremo mai d'accordo, perché un accordo non bisogna trovarlo. Purché non diventi una guerra di religione!
Però, c'è un però. Se già i dizionari di lingua siciliana parlano perlopiù di arancini masculi, è notizia di questi giorni che anche gli Oxford Dictionaries, la versione più moderna dei prestigiosi vocabolari editi dall'università di Oxford, hanno introdotto nella lingua inglese (britannica e americana) la parola "arancini". Al maschile, plurale. La definizione è "An Italian dish consisting of small balls of rice stuffed with a savoury filling, coated in breadcrumbs, and fried". Un piatto italiano che consiste in polpette di riso con un ripieno saporito, coperte di pangrattato, e fritte.
Oltre agli arancini, entrano nei dizionari Oxford anche i cappellacci, le trofie, il guanciale, e parm, un termine americano informale per indicare piatti a base di parmigiano. Insomma, la gastronomia italiana trionfa non solo sulle tavole ma anche nelle culture di altre nazioni.
Io, a questo punto, seguirei il consiglio degli studiosi di Oxford e mangerei volentieri un arancino. Tanto si può mangiarlo/a sia in piedi che seduti. Almeno su una cosa non litighiamo...

martedì 2 dicembre 2014

Saro Tommasi

Non ricordo bene, era il 2005 oppure il 2006. A Firenze, nel polo scientifico universitario di Santa Marta, vidi per la prima volta Rosario Crocetta. Era ancora sindaco di Gela e in quell'occasione parlava, in un'auletta poco affollata ma con un pubblico giovane e molto interessato, di mafia e antimafia. L'incontro era organizzato con la Fondazione Caponnetto e c'era anche Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell'Associazione familiari vittime della strage di via dei Georgofili. Io andai con mia sorella. Eravamo in pochi, in effetti.
A un certo punto, un ragazzo chiese a Crocetta quanto fosse difficile vivere sotto scorta, e soprattutto quanto questo influisse sulla sua vita familiare. Insomma, Crocetta, ma non si rende conto che con le sue battaglie mette in difficoltà anche i suoi cari? Sì, Crocetta ne era e ne è profondamente consapevole. Saro parlò però di sua mamma, i suoi affetti erano lei. Lo sapevamo benissimo tutti che Crocetta è omosessuale, io sinceramente non mi aspettavo che dicesse qualcosa tipo "eh sì, mi spiace per il mio fidanzato". No, non lo disse. E non dovrebbe dirlo, in un mondo normale. Fatti suoi.
Ecco, ho sempre trovato viscido e squallido che si facesse ricorso alle scelte private di Crocetta per screditarne l'azione politica e sociale. Di difetti l'uomo ne ha tanti, politicamente parlando, a partire da una certa voglia di esercitare e mantenere il potere nonostante tutto. E a me – che non l'ho votato – interessa questo, casomai.
Invece vedo che ultimamente l'orientamento sessuale di Crocetta è entrato di diritto nel novero dei motivi per cui criticarlo. Ricordo solo Beppe Grillo che l'ha definito «uno che ormai non si sa cosa sia, da tutti i punti di vista». Chissà quali punti di vista stesse esaurendo Grillo nella sua veloce disamina... E poi ci sono le ultime esternazioni mediatiche. Prima quella dell'assessore all'Urbanistica della Regione Lombardia, Viviana Beccalossi di Fratelli d'Italia. «Frocetta, prendi del Valium! Ma vuoi stare zitto? Hai queste crisi isteriche un po' femminili». Non c'è peggior maschilista di certe donne. La signora Beccalossi, poi, alle cronache politiche è nota perché nel 2003, in campagna elettorale a Brescia, il suo allora leader Silvio Berlusconi disse «Forza Viviana! Fagliela vedere». Lei disse di non essersene accorta "lì per lì".
Ma al di là del sessismo omofobico di una donna di destra tutta d'un pezzo, ieri si è fatta segnalare un'altra perla. L'autrice – perché anche in questo caso si tratta di una donna, guarda un po' – è Sara Tommasi. Purtroppo sì. Ecco la lezioncina di una donna che ha avuto qualche problema anche con la sua sessualità:
Eh vabbè, le cose dunque stanno così. C'era più coerenza nel sentirsi rappresentati da presidenti di Regione indagati o condannati per reati di mafia? Nulla contro Sara Tommasi – che pure ha continuato a ribadire che stava solo scherzando e non c'è nulla di male a dire certe cose. Semplicemente mi diverte, paradossalmente, la bassezza del livello dialettico, retorico e propagandistico cui siamo arrivati. Soprattutto mi fa sorridere amaramente che la ragazza di Terni è la naturale evoluzione di un pensiero lungo secoli, da D. H. Lawrence agli altri scrittori del Grand Tour, da Vitaliano Brancati a Lando Buzzanca, dalla commedia sexy al delitto d'onore, dall'omofobia di paese agli stereotipi sessuali di una bassissima antropologia d'accatto, dall'alta letteratura alle battute da terza elementare. Povera Sara, povero Saro. Poveri noi.

giovedì 27 novembre 2014

Il paradiso pantesco

Certo, fa sorridere che quanto di più concreto, "terreno" e materiale possa esserci, come l'agricoltura, finisca per meritarsi un riconoscimento come "patrimonio immateriale dell'Umanità"... Però è andata così, e dunque l'Unesco, che oltre a tutte le bellezze artistiche, ambientali e storiche, inscrive nelle sue liste anche beni "immateriali", ha inserito per la prima volta una tecnica di coltivazione. Riconoscendo dunque all'agricoltura la dignità che le spetta. E non lo dico per retorica. Ricordo una delle cose più belle che mi siano mai state dette, sarà stato 25 anni fa: un capoufficio di mio padre mi disse «Ti chiami Giorgio, sai cosa vuol dire in greco? È il mestiere più nobile che esista: il contadino». Avendo due nonni contadini, e uno si chiamava Giorgio, tutto quadrava.
E quindi adesso trovo bello che l'Unesco, all'unanimità, abbia riconosciuto, dopo quattro anni di lavoro, La pratica agricola tradizionale della coltivazione della “vite ad alberello” della comunità di Pantelleria, lo Zibibbo, come meritevole di entrare nella lista (andandosi ad aggiungere alla dieta mediterranea e all'opera dei Pupi, per esempio). La vite, l'uva, la vigna, la coltivazione, anzi l'allevamento, come si dice in viticultura: non il vino, non il passito, non il meraviglioso prodotto enologico dell'isoletta che in arabo vuol dire "figlia del vento". No, proprio la tecnica, il modo di coltivare in quegli spazi angusti, pre-desertici, una grande materia prima, il vitigno che tecnicamente si chiama Moscato d'Alessandria. Si creano buchette profonde una ventina di centimetri e il vigneto prende forma di piccoli alberelli all'interno di queste conche, un modo per sfruttare al meglio le scarse risorse idriche di Pantelleria e reagire al clima tunisino. La vite dunque come simbolo dell'identità pantesca, insieme ai terrazzamenti, ai capperi, ai giardini arabi di agrumi, ai dammùsi di pietra scura. La terra e l'agricoltura, anzi, agri-cultura. La terra è cultura, insomma.
La cultura la spiegano le motivazioni dell'Unesco: la trasmissione orale delle competenze, di famiglia in famiglia, perlopiù in dialetto, in un'isola in cui 5mila persone (su 7.600 abitanti) hanno almeno un pezzetto di terreno coltivato a vite usando metodi sostenibili. Questa viticoltura è, per gli esperti di Parigi, una "pratica sociale".
Complimenti a tutta Pantelleria, a tutta la Sicilia patrimonio Unesco, al ministero dell'Agricoltura, all'Italia e al professor Pier Luigi Petrillo, docente di Diritto pubblico alla Sapienza di Roma e di Teoria e tecniche del Lobbying alla Luiss. È lui l'autore del dossier di candidatura, suo il merito di aver fatto inscrivere nelle liste Unesco anche la dieta mediterranea e i paesaggi vitivinicoli delle colline piemontesi. Brindo alla loro salute. Con un bicchiere di Zibibbo.

venerdì 21 novembre 2014

Da qui all'Eternit

Prescrizione vuol dire far passare il tempo. La Sicilia c'ha messo 21 (VENTUNO) anni ad adeguare la legislazione regionale alle regole nazionali che avevano messo fuorilegge l'Eternit®. Un'altra faccia di quella medaglia che ci ha fatti giustamente indignare l'altro giorno per la prescrizione, appunto, della condanna nel processo Eternit a Torino.
L'amianto è ovunque, in Sicilia: sui tetti, nei vecchi serbatoi per l'acqua, nelle tubature. Dal 1955 anche l'Isola ha avuto il suo bello stabilimento di produzione di fibrocemento, l'Eternit Siciliana tra Priolo e Augusta (perché il petrolio, lì, evidentemente non bastava...), chiusa solo nel 1993, un anno dopo la messa al bando del materiale. Considerando che il mesotelioma pleurico, il grave cancro provocato dalla fibra (oltre ad altre malattie come l'asbestosi), ha un periodo di incubazione di 30 anni, ecco perché la prescrizione è un ignobile insulto al tempo. Soprattutto a quello, poco, che rimane.
Oltre a Priolo e Augusta, spiccano in Sicilia almeno altri due Sin, siti di interesse nazionale per le bonifiche, cioè Milazzo e Biancavilla. Queste sono peraltro le località dell'isola già ampiamente classificate, insieme a Gela, tra quelle a più alto rischio tumori in Italia. A Milazzo, altro luogo che già sconta la presenza del polo petrolchimico, l'incidenza del tumore alla tiroide è del 24% superiore alla media per gli uomini, addirittura del 40% per le donne. Mentre a Biancavilla si registrano eccessi di mesoteliomi e tumori della pleura.
Biancavilla mi ha sempre colpito. Storicamente ha fatto parte di quello che è stato chiamato "triangolo della morte", insieme agli altri comuni catanesi di Adrano e Paternò. Solo che in quel caso la morte era quella che arrivava col piombo (in forma di proiettile), nella faida di mafia che ha insanguinato quell'area dagli anni Ottanta. Eppure a Biancavilla, 24mila abitanti, si muore anche di amianto. Ed è atrocemente ironico il nome del paese, perché di bianco lì ci sono soprattutto le polveri velenose e mortali dell'asbesto. Il paradosso è che non ci sono fabbriche, non c'è una produzione industriale. Lì l'amianto – pazzesco – è naturale. Solo intorno a Biancavilla esiste una fibra minerale, la fluoro-edenite, di origine vulcanica (siamo alle pendici dell'Etna), che ha azione carcinogena. Le case e le strade costruite dagli anni Cinquanta in poi a Biancavilla, con i materiali estratti dalle vicine cave del monte Calvario (sic), ne erano piene. A metà degli anni Novanta si sono riscontrati aumenti di tumori, dal '98 sono partite le bonifiche.
Nello stesso giorno in cui l'Eternit andava giudiziariamente in prescrizione, l'International Agency for Research on Cancer (Iarc), agenzia intergovernativa dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), confermava con assoluta e scientifica certezza che la fluoro-edenite è cancerogena. La morte, soprattutto quella per amianto, purtroppo non si prescrive.

giovedì 20 novembre 2014

Che roba, Contessa...

Donna Gaetana era un'anticonformista. Con il sangue molto blu, certo, ma un personaggio da romanzo, di quelli anche un po' scandalosi (sposò pure un ex prete gesuita). Doña María del Rosario Cayetana Paloma Alfonsa Victoria Eugenia Fernanda Teresa Francisca de Paula Lourdes Antonia Josefa Fausta Rita Castor Dorotea Santa Esperanza Fitz-James Stuart, Silva, Falcó y Gurtubay, nome lungo, da vera aristocratica, aveva una cinquantina di titoli nobiliari, un record assoluto da Guinness. Il più importante era quello di duchessa di Alba, oltre che quello di regina del gossip, naturalmente.
Oggi, a 88 anni, la nobildonna spagnola Cayetana Fitz-James Stuart è morta. Doña Cayetana era anche, tra le tante altre cose, l'ultima a fregiarsi del titolo di conte(ssa) di Modica. Credevo che non ne esistessero più e invece le vie dell'aristocrazia sono infinite. Lei era infatti dal 1955 il ventunesimo conte, in linea di discendenza diretta da Carlos Miguel Fitz-James Stuart, ultimo conte effettivo fino al 1816 (anno della soppressione della Contea inglobata dai Borbone).
Credo che la duchessa-contessa in vita non sia mai passata da Modica. Peccato. Ora il titolo dovrebbe passare al figlio primogenito, Carlos Fitz-James Stuart, duca di Huéscar e legittimo erede della casa d'Alba. Nonché testimone di matrimonio della madre alle sue terze nozze del 2011 (sic). Di due anni più vecchio dell'ultimo marito della mamma, peraltro. Ecco, è anche per cose del genere che ci mancherà la duchessa, pardon contessa.
Chissà se il sindaco di Modica, prodigo di rifacimenti della toponomastica cittadina, ora le dedicherà una strada...

martedì 18 novembre 2014

Il fattore Q

Per più di 250 anni, dall'827 al 1091, la Sicilia è stata ufficialmente sotto il dominio arabo. E in realtà prima della conquista di Mazara, i musulmani si erano già ampiamente affacciati, con attacchi militari respinti dai bizantini. Intorno al 700 avevano già occupato Pantelleria.
La nostra isola dunque si chiamava Ṣiqilliyya, in quei tempi. La dominazione terminò con la caduta di Noto nel 1091 e lì cominciò il tempo normanno. Che comunque fu caratterizzato, sotto Ruggero II, da una grande tolleranza: il grande geografo arabo Idrisi, per esempio, si stabilì per una ventina d'anni presso la corte rogeriana. Dunque la storia araba e musulmana della Sicilia è lunga e profonda, testimoniata da retaggi culturali, linguistici, architettonici, artistici, direi anche "fisici" (guardate la mia faccia: la genetica non mente...). Noi eravamo arabi ben prima del 1178, quando, secondo il presidente turco Erdogan, marinai musulmani sarebbero arrivati nella futura America.
Ecco, io non riesco davvero a stupirmi delle notizie che riguardano una nuova "invasione" araba della Sicilia. Eh no, attenzione, non sto parlando dell'immigrazione, dei barconi, dei disperati che solcano il Canale di Sicilia. Proprio no. Mi riferisco ad altro. I giornali si riempiono spesso di notizie, non sempre vere o verificate, di favolosi investitori arabi, ancorché misteriosi (anzi, sono favolosi perché misteriosi), pronti a svuotarsi le tasche di qualche petrodollaro per progetti faranoici in Sicilia. E allora il sultano dell'Oman avvistato nella "capitale", una manciata di emiri affascinati dall'economia sicula, dal Palermo Calcio ai villaggi turistici alle infrastrutture ai centri commerciali alle trivelle di petrolio. Leoluca Orlando, per portarsi avanti, ha promesso la costruzione di una moschea a Palermo. Oman, Emirati Arabi, Qatar, Barhein: saranno i nuovi padroni della Sicilia?
Il presidente della Regione Crocetta è appena tornato da Doha, capitale di quel Qatar simbolo del cinico pragmatismo del nuovo millennio: sono pieni di soldi, questi emiri, quindi chissenefrega se il rispetto dei diritti umani e dei lavoratori arriva dopo l'etica degli affari (quando arriva...)? I Mondiali di calcio del 2022 ne sono l'esempio più eclatante [ne scrissi qui un po' di tempo fa]. Crocetta è andato con una delegazione regionale, meno numerosa che nel passato, insieme a 120 aziende siciliane che evidentemente cercano sul Golfo Persico sbocchi e investimenti. Va benissimo, in realtà. Però nessuno poi si lamenti se ci stiamo "svendendo".
Crocetta ha fatto così – finalmente, a sentire lui – quelle «opere di internazionalizzazione e promozione dell'Isola» (dopo toccherà a Oman, Kazakhstan ed Emirati Arabi Uniti) che il continuo ed estenuante lavoro d'assemblea non gli ha permesso in questi due anni. Opere che potrebbero concludersi addirittura con la partecipazione dell'Orchestra Sinfonica regionale all'inaugurazione di un centro commerciale a Doha. Addirittura. Intanto, per risparmiare e non finire nella Rete della polemica, la spedizione – Crocetta ci tiene a precisarlo – è costata 695mila euro (550mila dall'assessorato alle Attività produttive, 145mila da quello al Turismo). Pochi. Senza le «pletore istituzionali» del passato, anche recente. E spese contenute, fatte per sostenere le imprese: viaggio in economy, alloggio in hotel da 140 euro a notte, cene tutt'altro che sontuose. Il presidente dice di aver mangiato solo insalata. Peccato, perché nel 1154 (anno in cui moriva Ruggero II), esattamente 860 anni fa, Idrisi raccontava degli spaghetti che si producevano nel Palermitano.
Dalla Ṣiqilliyya araba alla Sicilia che corteggia gli arabi, dalla dieta mediterranea a quella mediorientale. Dalle crociate a Crocetta.

lunedì 10 novembre 2014

Disparato esotico stop

Era ora. Aspettavo finalmente una prima notizia di cronaca che portasse alla ribalta il "giovane" aeroporto di Comiso. Lì, dove prima si celebrava un militare fascista e ora un martire dell'antimafia e del pacifismo come Pio La Torre, è successa l'altroieri una cosa grottesca, o «surreale», per utilizzare le parole testuali di chi ha denunciato l'accaduto.
Dunque, circa 180 migranti, tutti africani (da Ghana, Nigeria, Gambia e Burkina Faso), erano arrivati a Comiso per essere trasferiti a Bologna (noto, per la cronaca, che ancora non c'è un collegamento di linea..., ndr). A un certo punto il comandante dell'aereo, un aereo della compagnia austriaca Lauda Air, quella di Niki Lauda (sic), si è rifiutato di partire con i migranti a bordo, perché non ha ritenuto validi i certificati medici, rilasciati dall'Asl di Agrigento e dal Cpa di Pozzallo, che attestavano che nessuno degli africani avesse malattie infettive. L'Ebola, per capirci. Insomma, non li ha fatti salire e se ne è ripartito con l'aereo vuoto. Poi c'è voluto un altro aereo, di un'altra compagnia, per accompagnare in serata i migranti alla volta di Bologna.
Ora, la vicenda è stata denunciata dal Consap, un sindacato autonomo di polizia, che però, anziché avanzare dubbi sulla correttezza dell'operato del pilota (per carità, io non ho letto i certificati, ma la malattia più plausibile mi sembra la "sindrome psicosi"), la mette sul piano, intramontabile, del populista "e io pago!".
Volare è un gioco da ragazzi...
Queste le parole di un dirigente del sindacato in Sicilia: «Tutto questo è intollerabile. Vorremmo proprio sapere se (e ci muoveremo per far presentare una interrogazione parlamentare in merito) questo viaggio a vuoto lo stanno comunque pagando i cittadini italiani. Spendiamo delle cifre inimmaginabili per questa vicenda dei migranti, ma è possibile che la spending rewiew non riguardi mai l'ambito dei migranti? Si ricordano di risparmiare solo quando si tratta di vicende inerenti la sicurezza, la salute dei cittadini o la cultura». Il problema naturalmente è l'approssimazione con cui in Italia si gestisce il sistema dell'accoglienza dei migranti «provenienti dai più disparati angoli dell'Africa», dice lo stesso Consap. Disparati, non disperati...

giovedì 30 ottobre 2014

Cuore caldo e mente fredda

In Piemonte c'è un grande vulcano. Stupiti, vi vedo stupiti. Non è uno scherzo, nonostante il nome sembri quello di un parco giochi: Supervulcano. Si trova in Valsesia (provincia di Vercelli), zona nota per essere la patria dei tessuti di lusso Loro Piana e del leghista Gianluca Buonanno, prima che ambedue migrassero in Francia. C'è il Sacro Monte di Varallo, patrimonio Unesco dal 2003. Sulle rapide del fiume Sesia si fa rafting e più su in montagna si mangiano ottimi spezzatini di cervo (vi lascio immaginare quale dei due ho sperimentato...). E poi c'è lui, appunto, il supervulcano, pardon Supervulcano. In realtà non è un vulcano, era un vulcano. Nel 2009 infatti è stato scoperto questo enorme fossile (circa 20 chilometri di diametro: è un unicum al mondo, perché è visibile il sistema di alimentazione) di una caldera attiva 250-300 milioni di anni fa. Numeri da far impallidire i creazionisti.
Detto questo, dalla Valsesia alla Sicilia la distanza è tanta e sarebbe lecito chiedersi cosa c'entra un vulcano estinto sulle Alpi con la Trinacria. Ecco, ho scoperto l'esistenza del Supervulcano solo casualmente qualche giorno fa. Perché in occasione del Salone del Gusto di Torino è stato presentato un progetto, che coinvolge anche l'Anci (l'associazione dei comuni) e Slow Food, per valorizzare i territori vulcanici italiani. E qui spuntava Supervulcano, geoparco riconosciuto dall'Unesco. Progetto romantico: si chiama "Terre dal cuore caldo". Ci sono appunto i comuni della Valsesia e Valsessera toccati dal vulcanissimo piemontese, poi i parchi nazionali dell'Etna e del Vesuvio, quelli regionali dei Castelli Romani, dei Colli Euganei e delle Alpi Marittime, poi Catania, Ustica e i tre centri dell'isola di Salina. Prossimamente ci saranno anche i comuni dell'area flegrea (i Campi Flegrei sono uno dei dieci maggiori supervulcani al mondo, tipo Yellowstone), con le isole del golfo di Napoli, e quelli di Acquapendente, Orvieto e Bolsena insediati nel territorio dell’antico Vulsinio.
Un attimo. Qualcosa non quadra. L'iniziativa vuole promuovere e valorizzare tutti quei territori dalla morfologia di origine vulcanica, anche secondaria. Ci sono i grandi vulcani italiani, persino spenti, il bradisismo di Pozzuoli, la geotermia toscana e i laghi vulcanici. E la Sicilia, la terra più vulcanica d'Europa dopo l'Islanda, dov'è?
Va bene l'Etna (ci mancherebbe altro, è anche patrimonio Unesco), Ustica è un'isola di origine vulcanica, così come Salina ovviamente. Ma il resto delle Eolie? E le altre isole minori siciliane, tutte vulcaniche tranne le Egadi? Non vorrei spingermi troppo oltre e citare anche il complesso di Monte Lauro, negli Iblei, attivo nel Miocene. Io non so come sia nato il progetto, ma certamente ci sono delle lacune. Temo che la colpa sia proprio delle amministrazioni mancanti. Gli assenti hanno sempre torto. Com'è possibile che a Salina, dove i tre piccoli comuni (Santa Maria Salina, Malfa e Leni) quasi non si parlano, per una volta hanno trovato un accordo? Bravi loro. Ma perché mancano tutte le altre Eolie??? Timidamente ricordo che ci sarebbero, perlomeno, Vulcano (V-U-L-C-A-N-O!) e Stromboli. Non saranno supervulcani, ma insomma...


P.S. Da quando ho scoperto l'esistenza del Supervulcano, non faccio altro che canticchiare Supernatural Superserious dei R.E.M. Ieri ho rivisto il video e ho capito il perché: verso la fine, dal minuto 3 e 25, dietro la testa di Mike Mills si legge "toma piemontese". Profondamente valsesiano.

mercoledì 29 ottobre 2014

Trattare con sufficienza

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Trattativa s. f. [der. di trattatista]. - (polit., giur.) [fase preparatoria di un contratto, di un accordo e sim., nella quale se ne concorda la forma definitiva: aprire una t.; le t. sono fallite] ≈ contrattazione, negoziato, negoziazione, [riguardante cose venali e tirando sul prezzo] mercanteggiamento. ‖ patteggiamento.
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Dato che le parole sono importanti, affidiamoci all'efficace dizionario dei sinonimi e contrari della Treccani, che così spiega il significato della parola "trattativa". Dunque Stato e mafia, stando alla lingua italiana, avrebbero contrattato, mercanteggiato, patteggiato. Ai tribunali tocca portare la questione dal piano linguistico a quello giudiziario. Che ci sia stato, in forme mutevoli nel tempo (e nello spazio), un confronto continuo tra le istituzioni e la mafia è purtroppo un fatto accertato dalla storia, ma il processo sulla cosiddetta "trattativa Stato-mafia" è questione ben più complessa, in un Paese in cui è già difficile la definizione del reato di concorso esterno in associazione mafiosa.
Come spesso accade, ci si divide in due tifoserie opposte, come se non potesse esistere una mezza misura, che tutto è tranne cerchiobottismo, a voler essere onesti. Esiste, è esistita, a certi livelli continuerà a esistere una contrattazione (per usare uno dei sinonimi della Treccani) tra la criminalità organizzata e i poteri istituzionali. Ma mi riservo il diritto di nutrire grossi dubbi e perplessità su quella curiosa forma di giustizialismo che finisce per solidarizzare con boss pluricondannati e al contrario estremizzare un'equazione testimone=colpevole.
Sull'operato di Napolitano al Quirinale io ho più cose da ridire che non giudizi positivi, quindi non sono passibile di intelligenza col nemico. Però ieri mi è capitato di intervistare il costituzionalista Stefano Ceccanti, docente alla Sapienza ed ex senatore Pd (già mio docente a Bologna). Per lui l'interrogatorio al presidente della Repubblica rientra perfettamente nel recinto della legge, anche se il processo palermitano è di una irrimediabile fumosità. Chi pensava dunque di inchiodare il Colle ha probabilmente fallito (il capo dello Stato ha sostanzialmente ribadito cose già dette nel 1993). E la stessa vicenda giudiziaria perde credibilità. Ma intanto hanno ottenuto di interrogare Napolitano a casa sua, eh.

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sabato 18 ottobre 2014

Julius Ebola

L'Ebola è una cosa seria. Se c'è un motivo per cui l'Italia mi fa rabbia è l'approssimazione con cui i miei connazionali, peggio ancora quando sono pure colleghi, affrontano spesso certe questioni. La terribile malattia originaria dell'Africa sub-sahariana, fino a prova contraria, in Italia non c'è. I presunti casi che hanno scatenato solo le solite, inutile e dannose psicosi (soprattutto nella loro variante 2.0), si sono rivelati intanto episodi di altre malattie, perlopiù malaria. Ciò non toglie che l'attenzione sia e debba essere massima. Ma siccome io in Africa ci sono stato, peraltro proprio in Repubblica Democratica del Congo, il Paese in cui quel virus fu scoperto nel 1976, e ho adottato tutte le misure obbligatorie e consigliate di profilassi e prevenzione per le malattie infettive tropicali (ma dov'ero io si muore piuttosto di malaria, dissenteria, malnutrizione), mi infastidisce la sciatteria con cui si tratta l'argomento. In particolare dando voce a chi non ha competenza tecnico-scientifica in materia e finisce, a volte scientemente, per diffondere messaggi più pericolosi dello stesso virus.
Continuare ad additare la Sicilia come luogo a maggior rischio in Europa è un'operazione che comincia a farsi sospetta quando a farlo sono movimenti politici o associazioni di categoria che hanno sempre fatto del populismo, della demagogia e di un razzismo neanche tanto strisciante la loro ragion d'essere. Per non dire di quei banditi che usano i social network come cassa di risonanza delle peggiori schifezze. Come l'imbecille che due mesi fa fece quella cosa oscena su Facebook, con il post che parlava di tre casi di ebola a Lampedusa. Certo, come ti sbagli? Abitanti e istituzioni dell'isola hanno chiesto un risarcimento di 10 milioni per la pessima pubblicità. Una bufala vergognosa che però si era beccata i suoi bei 26mila "mi piace". Perché gli imbecilli non sono mai soli.
L'azienda americana Giant Microbes produce peluche a forma di batteri e virus. Sul serio.
Quello di Ebola è attualmente tutto esaurito. Loro lo chiamano "il T.Rex dei microbi"...
Non si possono agitare certezze né in un senso né nell'altro: la malattia è pericolosissima e la Sicilia si trova in una posizione di debolezza, geograficamente parlando. Epperò i casi finora conclamati, avvenuti tutti in altri Paesi europei o negli Stati Uniti, NON in Italia né figurarsi in Sicilia, riguardano gente arrivata con voli intercontinentali (anche in business class), non con carrette del mare. Guarda un po'. Allora sarebbe meglio non fare allarmismo e impegnarsi in controlli e prevenzione, per evitare di essere stupidamente impreparati quando disgraziatamente dovesse mai arrivare un malato di ebola in Sicilia. E non lasciare a razzisti e incompetenti il potere di decidere. Per questo esistono le tanto vituperate istituzioni: in Sicilia c'è una giunta regionale, per quanto traballante, e c'è un'assessore alla Salute, che si chiama Lucia Borsellino e giustamente informa i 5 milioni di siciliani (e altre decine di milioni di connazionali) che, per esempio, quello svizzero ricoverato a Palermo ha la malaria e non la EVD (Ebola virus disease). Così come ci sta pure che il presidente della Regione, Crocetta, provi a ragionare a mente fredda sulla psicosi: «Chiunque ha un banale raffreddore pensa di avere l’Ebola. Ho visto un allarme eccessivo, un vero e proprio panico. Sarebbe meglio che le persone si vaccinassero contro l’influenza così non pensano al virus in caso di influenza».
La cosa è seria, ribadisco. Parlino scienziati, medici, esperti. Tacciano razzisti, fascisti, xenofobi, allarmisti e complottisti. Parlino i ministri e le autorità. Tacciano quelli a cui non pare vero mettere insieme in un unico indistinto calderone di odio Sicilia e Africa. E tacciano quelli che scrivono «Alfano sarai processato se di ebola morirà un italiano». Se non altro perché, suvvia, la rima è riuscita proprio male.

lunedì 13 ottobre 2014

I Grandi Ufficiali dell'antimafia

Maria Falcone, sorella di Giovanni e cognata di Francesca, presidente della Fondazione a loro dedicata, è da oggi Grande Ufficiale dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana (Omri). Se lo merita, perché si tratta di una persona che si è sempre impegnata, soprattutto nelle scuole, per la legalità e la memoria e l'antimafia. L'onorificenza è stata conferita dal presidente Napolitano di sua personale iniziativa.
Il nome della professoressa Falcone si aggiunge alla sfilza di decine e decine di personaggi vari ed eventuali ai quali Napolitano (e ovviamente i suoi predecessori) hanno riconosciuto medaglie e coccarde e titoli. Niente di male, fa parte delle prerogative dei capi dello Stato; anzi, qualcuno potrebbe far notare sagacemente che è una delle principali prerogative, più che l'interventismo nella vita politica nazionale. Certo, fa riflettere questa "democrazia dell'onorificenza". Un bel titolo non si nega a nessuno, che siano parenti di vittime di mafia, piccoli eroi quotidiani, campioni dello sport, stelle dello spettacolo (l'ultimo Grande Ufficiale prima della signora Falcone, lo scorso 24 luglio, era stato Peppe Tornatore, per dire), suore, prefetti, ex politici, Letizia Moratti, tutti i leader sindacali, artisti di fama mondiale o semplici cittadini. Ecco che Maria Falcone, sorella di una medaglia d'oro al valor civile, va benissimo, a maggior ragione.
Ma siccome io sono anche un po' cialtrone, noto che una delle ultime uscite pubbliche, se non proprio l'ultima, della sorella di Giovanni risale al 9 ottobre. Una dichiarazione, peraltro condivisibile, nella quale attaccava e definiva "una cosa vergognosa" il tweet con cui Sabina Guzzanti si è permessa di esprimere solidarietà a Riina e Bagarella per i loro "diritti negati" relativamente alla deposizione di Napolitano nel processo sulla trattativa Stato-mafia. La professoressa diceva: «Si difendono i diritti di queste persone e non quelli dei magistrati che hanno emesso la sentenza, quelli del Capo dello Stato e dello Stato che rappresenta. È una cosa obbrobriosa, per la quale non bastano gli aggettivi dispregiativi». Una difesa in piena regola di Napolitano, quattro giorni prima della cerimonia al Quirinale...
Non voglio pensare male, né fare alcuna polemica, sono solo coincidenze. In questa contorta vicenda processuale, le cose sono già andate troppo oltre, a partire da uno squallido scambio di reciproche accuse: da una parte i movimentisti (e movimentati), tipo Ingroia e Salvatore Borsellino e la Guzzanti e Travaglio e i fan di Massimo Ciancimino, dall'altra gli istituzionali, quelli che "Napolitano ha già detto che non ricorda e quindi va bene così", tra cui la stessa Maria Falcone. Lo spettacolo peggiore è proprio l'insulto incrociato tra i portatori di due diversi modi di intendere la condizione di "parente di vittime di mafia", per arrivare all'apoteosi dello schifo con i battibecchi a sfondo politico-partitico. Ingroia, commissario straordinario all'abolenda provincia di Trapani su nomina crocettiana, non accetta che Maria Falcone lo critichi per aver strumentalizzato i nomi di Giovanni e Paolo per far politica: piuttosto è lei (che incidentalmente però si chiama Falcone, ndr) a sfruttare quel cognome, dice lui. Aggiungendo che non le è andata neanche tanto bene: la professoressa nel 1999 tentò invano la via di Strasburgo con i Verdi e poi più volte il suo nome è stato associato senza esiti al Pd. Poco male, almeno è Grande Ufficiale.

domenica 12 ottobre 2014

Il Megafono di Renzi

Quando Crocetta fu eletto presidente della Regione nel 2012, di fatto non aveva una vera maggioranza e infatti cercò l'appoggio (sui contenuti, si diceva) del Movimento 5 Stelle, sostanziale vincitore di quelle elezioni. Poi, come sempre in Sicilia, i gruppi parlamentari all'Ars hanno assunto nuove fisionomie, con continui cambi di casacca e trasformismi. Fino al capolavoro di Crocetta di oggi.
La sua lista, il Megafono, oggi ha sconquassato definitivamente ciò che resta del presunto centrosinistra siciliano. Il movimento dovrebbe confluire nel Pd, da Roma è arrivato il via libera all'ingresso nel partitone dei deputati regionali che fanno riferimento alla creatura di Crocetta e di Beppe Lumia. Così il gruppo democratico a Palazzo dei Normanni salirebbe da 18 a 25, una bella garanzia di solidità politica per Crocetta e la sua maggioranza, almeno sulla carta (per la cronaca, all'indomani delle elezioni il Pd aveva 14 seggi e il Megafono 5). Nonostante il risultato negativo delle elezioni suppletive, ora il presidente, infatti, sembra poter godere per la prima volta di un vero sostegno da parte del Pd.
Sì, ma quale Pd? Il via libera da Roma esautora di fatto la segreteria e la dirigenza siciliana. Nell'Isola il segretario è Fausto Raciti, "cuperliano". L'ala che fa capo a lui e ai pezzi grossi come Crisafulli e Cracolici si troverà in netta minoranza, numerica e programmatica, rispetto all'alleanza renziana-crocettiana. Grazie a ingressi come quelli dell'ex Mpa ed ex Udc Marco Forzese oppure – udite udite – di Antonio Venturino, vicepresidente Ars, grillino espulso, ora socialista di Nencini, il Pd siciliano svolterà sempre più in direzione della nouvelle vague di Matteo & Saro. E il Megafono potrà diventare, insieme ad altri gruppi di centro-centrosinistra, la porta d'ingresso per chi, provenendo anche dalle fila dei berluscones in cerca di riposizionamento, volesse rinfoltire la truppa del nuovo Pd a Palermo (e non solo: Lumia è senatore Pd ma eletto col Megafono). Una vittoria di Davide Faraone, un'altra sconfitta del Pd "di sinistra". Crocetta era comunista, una volta...
Rimane però un dubbio: Renzi si è preso la Sicilia o la Sicilia si è presa Renzi?

giovedì 9 ottobre 2014

Scacco a La Torre

Non appena venerdì scorso sono atterrato a Comiso (in arrivo da Linate), ho avuto una strana sensazione. Un bellissimo "giocattolo", pulito, ordinato, ancora immune dal caos e dalla sporcizia tipici di certi luoghi pubblici in Sicilia. Sembra un aeroporto della Lego!
Ma va davvero benissimo così, per carità. Il mio primo volo sullo scalo geograficamente più vicino a casa mia è stata un'esperienza positiva. Spero solo che si mantenga così e che funzioni sul serio, anche quando dovessero aumentare i carichi di traffico e passeggeri. Soprattutto dopo che il governo ha deciso di non chiuderlo e inserirlo nella lista degli scali "di interesse nazionale", nell'orbita di quello strategico di Catania.
Ma che non sia l'ennesimo carrozzone: a vederlo così, con i parcheggi pieni di auto (compreso quello dietro il piazzale Cittadinanza Umanitaria: sic), ho pensato che siano più i dipendenti che non gli utenti... D'altra parte, finora, ogni giorno solo una decina di aerei (su rotte italiane ed estere) tocca la lunga pista nella campagna iblea. Sempre più, comunque, degli sparuti collegamenti per Catania e Palermo che costituivano le uniche rotte della precedente vita "civile" dello scalo.
La prossima settimana non ritornerò "al nord" ancora partendo dall'aeroporto Pio La Torre, che i codici IATA identificano con la sigla "CIY". Gli orari purtroppo non sono compatibili. L'ho scoperto in questi giorni, mentre cercavo un volo per il ritorno. Pazienza.
Però non ho potuto fare a meno di sorridere (con tanto di smorfia) quando ho visto la pagina che il sito di Alitalia ha dedicato proprio alla tratta Comiso-Milano. Innanzitutto, l'ex compagnia di bandiera chiama ancora l'aeroporto "Generale Vincenzo Magliocco". Già questo basterebbe a farmi innervosire. Ma il capolavoro vero è la grafica con cui Alitalia ha voluto celebrare il nuovo collegamento.
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Una fiera dei luoghi comuni che avrebbe figurato benissimo in quella che anni fa avrebbe potuto essere la mia tesi di laurea in antropologia culturale sugli stereotipi nell'industria turistica. Non la scrissi mai, preferii concentrarmi su altri stereotipi. Vabbè, lasciamo perdere le mie strane idee... Quello che resta però è un mirabile esempio di come non riusciremo mai a spogliarci di certi pregiudizi e convinzioni. Da una parte una chiesa barocca, le palme, il carretto e poi una sensualissima donna occhialuta e cappelluta, uno stereotipo perfetto della turista del nord che si presume pronta a farsi corteggiare dai masculi terroni. Dall'altra parte, il Duomo con la Madunina, via Montenapo e due malati di shopping, eleganti e chic come solo gli hipster e i metrosexual milanesi sanno essere.
Io forse esagero, ma il contrasto è stridente. Tra il sud luminoso, che vive del suo eterno giorno soleggiato e indolente, e il nord notturno, à la page, che gode i privilegi della sua esclusività.
Chissà, forse con i "cugini" arabi di Etihad andrà meglio...
Alitalia prova almeno a riscattarsi ricordando che con Comiso si può scoprire «una città che racconta secoli di storia, con un ricco patrimonio culturale, che ha dato i natali allo scrittore Gesualdo Bufalino, Premio Campiello con il romanzo Dicerie dell'untore e Premio Strega con la sua opera Le menzogne della notte». Voglio solo ricordare che il vecchio Bufalino, che il Nord lo amava, nell'ultima intervista prima di morire, liquidò certe pretese secessioniste come "Stupidania".

martedì 7 ottobre 2014

Dopo di lui, il diluvio

«Ti informo che le condizioni meteo avranno un miglioramento dalle 17 alle 19, grazie per il sostegno che vorrai esprimere». L'ho visto con i miei occhi. Intorno alle 16 di domenica, quando il maltempo imperversava sulla Sicilia sud-orientale, ad alcune persone è arrivato questo sms. Firmato: Pippo Gennuso. Eh sì, pur di riottenere il seggio all'Ars (stavolta in quota Forza Italia), il di-nuovo-onorevole di Rosolini ha scomodato persino Giove Pluvio. Insomma, "guarda che tra poco dovrebbe smettere di piovere, c'è ancora tempo per andare a votare, votare per me, naturalmente". Pure nell'epoca dei social network, le vecchie buone maniere funzionano sempre.
E così Gennuso ce l'ha fatta, come ampiamente annunciato. Era più prevista la sua rielezione che non la pioggia torrenziale. Le elezioni suppletive di Pachino e Rosolini, motivo di grande dileggio a livello nazionale nei confronti della Sicilia (forse qualcuno a Palermo ancora non se ne era accorto...), hanno confermato alcune cose. Cioè che la Sicilia tendenzialmente, come ebbe a far notare persino Angelino "Quid" Alfano, vota a destra, comunque moderato, insomma post-democristiano. Crocetta, l'indubbio sconfitto di questa elezione-farsa, sta provando a pescare proprio lì, in quella sterminata e paludosa area, lui ex comunista, per garantirsi una sopravvivenza politica. La sua sconfitta è certificata non solo dal fatto che all'Ars non avrà più l'ipotizzato sostegno di Pippo Gianni (il duello vero, a Rosolini e Pachino, era tra lui e il quasi omonimo Gennuso), ma anche dalla vittoria e riconferma risicata di Bruno Marziano come deputato regionale Pd. Gli sono bastati 47 voti in più per superare il renziano Cafeo, sponsorizzato dallo stesso governatore. Quindi, in attesa dei soliti inevitabili ricorsi, si allarga la frattura nel centrosinistra, che in sostanza le elezioni del 2012 non le ha mai vinte. Saro, il rivoluzionario della giunta "pirotecnica", l'ex sindaco dei Comunisti Italiani, è stato abbandonato dall'ala sinistra del Pd.
Gennuso, l'uomo dei bingo, ha vinto invece la sua lotteria. Pippo da Rosolini come Luigi XV: dopo di lui, il diluvio.

domenica 28 settembre 2014

Nicholas EverGreen

Oggi Nicholas avrebbe 27 anni. Il suo compleanno era il 9 settembre. In effetti sette anni li aveva già compiuti, il 29 settembre di vent'anni fa. Da Sonoma County, San Francisco, California, allo svincolo di Serre, Vibo Valentia, Calabria. Che la sua vita dovesse finire sulla A3, la famigerata Salerno-Reggio Calabria, mentre con mamma Meggie, papà Reginald e la sorellina Eleanor stava venendo in Sicilia, è un destino da tragedia.
La storia di Nicholas Green ormai la conoscono tutti. Il 29 settembre 1994 due banditi gli spararono, proprio sulla Salerno-Reggio, lo colpirono alla testa. Pensavano di rapinare gioiellieri. Nicholas dormiva.
Morì qualche giorno dopo, il primo ottobre, al policlinico di Messina. Non era così che voleva arrivare in Sicilia. Poi il resto non è più solo storia. Io me lo ricordo, ho vivida memoria delle strane sensazioni che si provarono in quel periodo in Sicilia. Perché non eravamo abituati (né volevamo abituarci) all'idea che da una tragica, assurda, ingiusta morte potesse derivare quel gesto così "spiazzante", di cui ancora parliamo 20 anni dopo.
La donazione degli organi ci era ignota, o meglio era oggetto della nostra più becera diffidenza. Sette persone ricevettero la vita da un bambino californiano e dalla grande bontà dei suoi genitori. E allora si scatenò una cosa che tuttora chiamiamo "effetto Nicholas".
Si dice che da quel momento, anche grazie a leggi che cambiavano in meglio, l'Italia scoprì la donazione degli organi, aumentò la disponibilità degli italiani, forse un qualche senso di colpa risvegliò l'esigenza della sensibilizzazione. Ora risulta che l'Italia è seconda in Europa solo alla Spagna.
Ma la Sicilia? Io sono donatore di sangue e già vedo quanto manchino persone disposte a fare questo piccolo gesto. Figurarsi gli organi. E in effetti, al netto delle piazze, le scuole, i parchi e tante altre cose dedicate a Nicholas; al netto del premio Nicholas Green per le scuole (alle medie scrissi un temino davvero brutto: per fortuna la mia professoressa non mi fece partecipare, ndr); al netto delle cerimonie e dei ricordi, la mia regione, che pure è cresciuta e ha centri di eccellenza come l'Ismett di Palermo (il primo direttore fu Ignazio Marino), resta indietro.
Il 2014 non è ancora finito, quindi i dati sono parziali e preliminari, solo stime, ma il calo di donatori e trapianti rispetto all'anno scorso c'è. Ma il dato più impressionante e preoccupante, che offende la memoria di Nicholas, è che in Sicilia resta altissima la percentuale di opposizioni alla donazione degli organi. Cresciuta dal 44,2 del 2012 al 58,3% del 2013.
Sono sempre i migliori effetti che se ne vanno.

mercoledì 24 settembre 2014

Il Teatro degli Errori

E li chiamano pure "cattedrali laiche"...
I teatri sono luoghi e istituzioni che segnano l'identità di una città. Anche Modica ha il suo, in verità con una biografia piuttosto travagliata. Il Teatro Garibaldi, realizzato nei primi dell'Ottocento come Real Teatro Ferdinandeo e poi inaugurato nel 1857 con la Traviata e infine intitolato all'Eroe dei Due Mondi dopo l'Unità d'Italia.
Però dagli anni Quaranta fino al 1984, sotto gestione privata, il teatro ha subìto un inesorabile declino. Trent'anni fa infatti fu chiuso. Riaprì solo nel 2000, il 13 giugno. Me lo ricordo, il teatro si trova proprio di fronte al mio vecchio liceo. I restauri durarono sei anni. Nel plafond centrale campeggia un grande dipinto dei pittori della Scuola di Scicli, guidati da Piero Guccione, commissionato dal Comune. Bene; ma solo fino a un certo punto. Perché appena un anno dopo, nel maggio 2001, il tetto crollò. Quindi altri lavori di restauro, fino alla nuova riapertura del 2004. Per anni il direttore artistico è stato l'attore modicano Andrea Tidona.
Ora, dieci anni dopo, sul teatro si abbatte una nuova jattura. Per fortuna nessun crollo o cedimento strutturale. Piuttosto una vicenda che fa anche sorridere un po'.
Ecco cosa è successo. Alcune persone vanno su Internet a cercare informazioni sulla stagione autunnale del Garibaldi e digitano www.fondazioneteatrogaribaldi.it (non metto il link per ragioni che appariranno subito ovvie...). E, sorpresa, nessun aggiornamento sulla prosa, quanto piuttosto un sito hot, messo su dalla Stt s.r.l., società di Frosinone.
La soprintendente della Fondazione Teatro Garibaldi, l'attrice messinese Simona Celi (già direttrice della sezione teatro a Taoarte), non si spiega l'accaduto: «Mi sembra inverosimile che ci sia qualcuno che possa avere legato il nome del teatro ad un sito erotico, non ci vedo alcuna connessione sensata». Ma la Celi si sforza di trovarla lo stesso, questa connessione: «Ho avuto alcune richieste di allestimento del sito per il teatro in questi ultimi tempi e le ho cortesemente, ma in maniera decisa, rifiutate, perché le ritengo troppo onerose. Forse qualcuno ha voluto fare uno sgarbo, consumare un bieco ricatto nei miei confronti, ma la cosa non mi turba». E quindi sono partite le denunce. Ma in realtà la questione è più semplice. Il dominio .it era scaduto e infatti il sito attuale è www.fondazioneteatrogaribaldi.org (più l'altro www.teatrogaribaldi.it). Quindi, pare che la società di Frosinone non abbia fatto nulla di male. Semplicemente ha comprato un dominio rimasto inutilizzato. Non è bello, ma non è un reato. Peraltro il sito non è propriamente pornografico, quanto piuttosto uno specchietto per allodole costruito apposta per guadagnare clic e posizionamento sui motori di ricerca.
D'altra parte, nel 2012 persino Mediaset fece una brutta figura per aver perso il suo dominio Internet .com, dopo la scadenza. Infatti adesso il sito è www.mediaset.it, mentre l'estensione "internazionale" è finita nelle mani di un cittadino americano.
Ecco, prometto ai miei 24 lettori (almeno uno in meno di Manzoni, per carità...) che starò più attento di certi miei concittadini quando comprerò il dominio per questo sito.