martedì 18 marzo 2014

Picciotti e picciriddi

Per decenni il giornalismo italiano è stato secondo solo alla politica nella responsabilità di aver contribuito a sottovalutare la criminalità mafiosa, nonostante siano pure morti 9 colleghi per mano di Cosa Nostra e della camorra. Molta della colpa è nostra, se agli italiani è stata venduta l'idea che la mafia, tutto sommato, non fosse quello che l'antimafia andava denunciando. "Si ammazzano tra loro, chissenefrega", era in fondo la reazione sollevata di molta gente comune. Roba da criminali insomma. E poi non ammazzano mica donne e bambini, questi. La mafia "gentile", "buona", quella antica, del codice d'onore, dell'etica familiare e sociale a volte così pericolosamente coincidente con la morale cattolica. Una romanzesca mafia di galantuomini.
I bambini, dunque. Ora che i giornali si sono risvegliati dal torpore che noi stessi abbiamo creato, e tutti corrono, dopo l'uccisione di un bambino di tre anni a Taranto, a ricordare e ricordarsi che in realtà la mafia i bambini li ha sempre uccisi e che il codice d'onore è una solenne minchiata inventata dai mafiosi per non apparire tali (e ci sono riusciti, visti i risultati...), non si può far altro che chiedersi appunto dove siano stati in questi lunghi decenni la politica e il giornalismo e tutti gli altri che oggi gridano all'orrore, alla barbarie, alla bestialità. E che prima si sono cullati nell'idea auto-rassicurante e (auto)assolutoria che la mafia risparmiasse i deboli.
Come già a gennaio, quando la 'ndrangheta ammazzò il piccolo Cocò, anche adesso è una rapida corsa a ricostruire la storia dei bimbi e ragazzini uccisi dalla mafie italiane. Solo qualcuno ha sempre correttamente ricordato che non sono casi isolati. I nomi sono anche troppi, altroché. Bambini uccisi per vendetta, per sbaglio, da proiettili vaganti, perché avevano visto cose che non dovevano vedere, nelle stragi di mafia (dal treno 904 ai Georgofili), in mezzo alle faide.
Giuseppe, Paolino, Giovanni, Riccardo, Lorenzo, Benedetto, Salvatore, Letterio, Claudio, Andrea, Nadia, Caterina, Domenico, Anna, Federica, Luigi, Gioacchino, Fabio, Simonetta, Nunzio, Valentina, Annalisa, Nicola. Dal 1948 fino a poche ore fa. E spesso la firma è stata di boss di spicco. Lo stesso Totò Riina diceva che "tanti bambini muoiono a Sarajevo, perché dobbiamo preoccuparci noi di Corleone?". La mafia combatte guerre dove non esistono convenzioni internazionali, tutela dei prigionieri e cose del genere. Le regole se le fa da sola, ed è la prima a violarle. Altro che codici e princìpi morali. Allora finiamola con la doppia ipocrisia di chi ha spesso "difeso", anche inconsapevolmente, la presunta mafia d'altri tempi e poi sbraita bestemmiando contro quello stesso mito creato non sempre in buonafede.
Magari non siamo arrivati al «Legalizzare la mafia sarà la regola del Duemila» che De Gregori cantava nel 1989 (amara coincidenza quasi profetica: la canzone si intitolava Bambini venite parvulos...), ma 25 anni dopo sarebbe il momento di crescere e diventare un po' più maturi. Tutti, per rispetto a chi non ha potuto farlo.

giovedì 6 marzo 2014

Siamo solo di passaggio

Non mi atteggerò a esperto di filosofia né intellettuale né profondo conoscitore delle arti e delle lettere. Per me Manlio Sgalambro era sì un filosofo ma, come credo quasi tutti (non solo in Sicilia), lo conoscevo in quanto collaboratore di Franco Battiato, autore dei suoi testi da una ventina d'anni a questa parte. Sgalambro è la penna che ha scritto alcune delle canzoni più belle del cantautore catanese. La cura, banalmente. Non fingo di essere preparato sulla sua "altra" occupazione: so solo, come tanti, forse solo per sentito dire, che era un filosofo (pur avendo studiato altro), un nichilista, un pessimista, nel campo dei Nietzsche e degli Emil Cioran, per intenderci. Punto. Tutto qui. Lo Sgalambro filosofo non l'ho mai praticato, ma so che se lui non fosse stato quel filosofo lì, dal 1995 a oggi Battiato avrebbe probabilmente scritto altro.
Ecco, oggi che Manlio Sgalambro è morto a 89 anni, è inevitabile che un siciliano, fan di Battiato, ricordi con un velo di tristezza il paroliere delle canzoni che hanno accompagnato ormai due generazioni di persone. Semplicemente sono suoi i testi dei dischi da L'ombrello e la macchina da cucire (1995, c'era anche la sua foto sulla copertina dell'album) ad Apriti sesamo (2012). Più poi collaborazioni con altri artisti, tra cui Carmen Consoli. Insomma, un Mogol più avanzato...
Si era anche lanciato nel canto, il filosofo di Lentini, conterraneo di Gorgia il sofista (oltre alla lingua italiana, abbiamo "inventato" anche parte del pensiero occidentale, ndr). Con risultati autoironici. Perché persino un nichilista riesce a non prendersi sul serio. E io peraltro ero convinto, la prima volta che sentii il suo nome, che fosse un nome d'arte, talmente suonava "strano". La sua voce ha poi recitato brani in canzoni di Battiato: in greco ha rifatto Eraclito (Di passaggio, 1996), con un pesante, divertente ma assolutamente naturale accento siciliano introduceva Invito al viaggio (1999) con i versi di Baudelaire e dei Fiori del male.
Un siciliano, un isolano in genere, a suo modo nasce già "filosofo". Lui lo era davvero. E quindi io lo ringrazio per la sua Teoria della Sicilia. Anche questa, al netto delle provocazioni (una volta ebbe a dire che "la mafia è indistruttibile, l'unica economia reale della Sicilia"), suona bene...
Là dove domina l’elemento insulare è impossibile salvarsi. Ogni isola attende impaziente di inabissarsi. Una teoria dell’isola è segnata da questa certezza. Un’isola può sempre sparire. Entità talattica, essa si sorregge sui flutti, sull’instabile. Per ogni isola vale la metafora della nave: vi incombe il naufragio. Il sentimento insulare è un oscuro impulso verso l’estinzione. L’angoscia dello stare in un’isola come modo di vivere rivela l’impossibilità di sfuggirvi come sentimento primordiale. La volontà di sparire è l’essenza esoterica della Sicilia. Poiché ogni isolano non avrebbe voluto nascere, egli vive come chi non vorrebbe vivere: la storia gli passa accanto con i suoi odiosi rumori ma dietro il tumulto dell’apparenza si cela una quiete profonda. Vanità delle vanità è ogni storia. La presenza della catastrofe nell’anima siciliana si esprime nei suoi ideali vegetali, nel suo taedium storico, fattispecie del nirvana. La Sicilia esiste solo come fenomeno estetico. Solo nel momento felice dell’arte quest’isola è vera.

domenica 2 marzo 2014

Verde, bianco e Granata

"Che fine ha fatto Fabio Granata?". Partiamo da questa domanda, che giusto qualche giorno fa mi è stata riproposta dal mio caposervizio al giornale. Tempo fa avevo scoperto che in Italia, dove nascono più partiti politici che imprese, stava per vedere la luce un nuovo movimento ambientalista, Green Italia. Normalmente, nel panorama politico europeo e soprattutto italiano, un partito ecologista lo collocheresti quasi automaticamente a sinistra. Ma Green Italia regalava una sorpresa: oltre a gente che veniva dai Verdi (quelli del "sole che ride", compreso lo stesso Angelo Bonelli oggi consigliere comunale a Taranto), da Legambiente, dalla Cgil, ex deputati del Pd (gli ecodem Ferrante e Della Seta), c'è proprio lui, Granata, tra i fondatori del movimento.
I servizi tv che in questi giorni parlavano di Green Italia dicevano "né destra né sinistra, un movimento trasversale", e spuntava appunto Granata. Solo che, andando sul sito del nuovo partito, forse non si capisce il perché di questa premessa. Ecco come lui stesso si presenta:
Avvocato penalista, Assessore ai Beni Culturali fino al 2004 e poi Assessore al Turismo della regione Sicilia. In questa veste si adopera per bloccare le trivellazioni petrolifere che erano state autorizzate nel Val di Noto, patrimonio dell’Umanità per l’Unesco, e istituisce la Soprintendenza del mare. Dal 2008 al 2013 è Vicepresidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere.
Un siciliano antimafia, ambientalista (è anche nel direttivo nazionale di Legambiente), impegnato nella promozione culturale, europeista. Uomo di destra. Di una certa destra siciliana non democristiana e pre-berlusconiana, a voler banalizzare tantissimo, borselliniana. Epperò, Benedetto Fabio Granata, classe 1959, siracusano ma nato a Caltanissetta, nella sua biografia su Green Italia non parla affatto di questa sua militanza politica. A leggere quelle righe, sembrerebbe persino un "tecnico" prestato alla politica... Elenchiamo invece in breve: Fronte della Gioventù, Msi (corrente Pino Rauti...), Alleanza Nazionale, poi Pdl e infine Futuro e Libertà. Di Fli anzi era una delle anime più dure e pure, un fedelissimo finiano anti-berlusconiano. Negli anni Novanta ci fu anche un fugace avvicinamento a La Rete di Leoluca Orlando. Ora l'ambientalismo "trasversale". Nel mezzo, tanto per non farsi mancare nulla, l'apertura di un blog su ilfattoquotidiano.it, in ossequio alla massima "il nemico del mio nemico è mio amico", credo. Ultimo post: 25 settembre 2012.
Più recente invece quello che ha detto di Matteo Renzi: «In Parlamento non ha pronunciato una sola volta la parola mafia: come in Johnny Stecchino, con la burocrazia al posto del traffico». Il traffico è una grande minaccia per l'ambiente, in effetti.