martedì 18 novembre 2014

Il fattore Q

Per più di 250 anni, dall'827 al 1091, la Sicilia è stata ufficialmente sotto il dominio arabo. E in realtà prima della conquista di Mazara, i musulmani si erano già ampiamente affacciati, con attacchi militari respinti dai bizantini. Intorno al 700 avevano già occupato Pantelleria.
La nostra isola dunque si chiamava Ṣiqilliyya, in quei tempi. La dominazione terminò con la caduta di Noto nel 1091 e lì cominciò il tempo normanno. Che comunque fu caratterizzato, sotto Ruggero II, da una grande tolleranza: il grande geografo arabo Idrisi, per esempio, si stabilì per una ventina d'anni presso la corte rogeriana. Dunque la storia araba e musulmana della Sicilia è lunga e profonda, testimoniata da retaggi culturali, linguistici, architettonici, artistici, direi anche "fisici" (guardate la mia faccia: la genetica non mente...). Noi eravamo arabi ben prima del 1178, quando, secondo il presidente turco Erdogan, marinai musulmani sarebbero arrivati nella futura America.
Ecco, io non riesco davvero a stupirmi delle notizie che riguardano una nuova "invasione" araba della Sicilia. Eh no, attenzione, non sto parlando dell'immigrazione, dei barconi, dei disperati che solcano il Canale di Sicilia. Proprio no. Mi riferisco ad altro. I giornali si riempiono spesso di notizie, non sempre vere o verificate, di favolosi investitori arabi, ancorché misteriosi (anzi, sono favolosi perché misteriosi), pronti a svuotarsi le tasche di qualche petrodollaro per progetti faranoici in Sicilia. E allora il sultano dell'Oman avvistato nella "capitale", una manciata di emiri affascinati dall'economia sicula, dal Palermo Calcio ai villaggi turistici alle infrastrutture ai centri commerciali alle trivelle di petrolio. Leoluca Orlando, per portarsi avanti, ha promesso la costruzione di una moschea a Palermo. Oman, Emirati Arabi, Qatar, Barhein: saranno i nuovi padroni della Sicilia?
Il presidente della Regione Crocetta è appena tornato da Doha, capitale di quel Qatar simbolo del cinico pragmatismo del nuovo millennio: sono pieni di soldi, questi emiri, quindi chissenefrega se il rispetto dei diritti umani e dei lavoratori arriva dopo l'etica degli affari (quando arriva...)? I Mondiali di calcio del 2022 ne sono l'esempio più eclatante [ne scrissi qui un po' di tempo fa]. Crocetta è andato con una delegazione regionale, meno numerosa che nel passato, insieme a 120 aziende siciliane che evidentemente cercano sul Golfo Persico sbocchi e investimenti. Va benissimo, in realtà. Però nessuno poi si lamenti se ci stiamo "svendendo".
Crocetta ha fatto così – finalmente, a sentire lui – quelle «opere di internazionalizzazione e promozione dell'Isola» (dopo toccherà a Oman, Kazakhstan ed Emirati Arabi Uniti) che il continuo ed estenuante lavoro d'assemblea non gli ha permesso in questi due anni. Opere che potrebbero concludersi addirittura con la partecipazione dell'Orchestra Sinfonica regionale all'inaugurazione di un centro commerciale a Doha. Addirittura. Intanto, per risparmiare e non finire nella Rete della polemica, la spedizione – Crocetta ci tiene a precisarlo – è costata 695mila euro (550mila dall'assessorato alle Attività produttive, 145mila da quello al Turismo). Pochi. Senza le «pletore istituzionali» del passato, anche recente. E spese contenute, fatte per sostenere le imprese: viaggio in economy, alloggio in hotel da 140 euro a notte, cene tutt'altro che sontuose. Il presidente dice di aver mangiato solo insalata. Peccato, perché nel 1154 (anno in cui moriva Ruggero II), esattamente 860 anni fa, Idrisi raccontava degli spaghetti che si producevano nel Palermitano.
Dalla Ṣiqilliyya araba alla Sicilia che corteggia gli arabi, dalla dieta mediterranea a quella mediorientale. Dalle crociate a Crocetta.

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