mercoledì 6 maggio 2015

Dura lex sed Rolex

Dopo aver già scritto al presidente del Consiglio e al ministro dell'Interno, con tanto di cassa di risonanza sulla stampa nazionale, non credo che arriveranno pure a me repliche dalla Rolex. Anzi, Rolex®: tra le lamentele di Gianpaolo Marini, ad della consociata italiana del gruppo svizzero, c'è infatti anche quella per l'utilizzo della parola «in caratteri minuscoli ed in forma sostantivata generica» che «non risponde a correttezza ed è suscettibile di diluire e pregiudicare il suo valore e la sua distintività» (esclusività insita nello stesso nome, che per alcuni deriverebbe dal francese "horlogerie exquise", letteralmente "orologeria squisita", ndr).
La ditta svizzera, simbolo di lusso e stile, e pure di tanti stereotipi sulla ricchezza, si è lamentata perché Renzi e Alfano, dopo le azioni dei black bloc a Milano contro Expo, avevano accusato i "soliti farabutti col cappuccio e figli di papà con il rolex" (un minuscolo che però non so come abbiano fatto a distinguere in video...). Insomma gli elvetici ci sono rimasti male per la pubblicità negativa.
Curioso. Perché, come gente più titolata ha notato prima e meglio di me, la Rolex-marchio-registrato non fiata quando viene fuori che suoi fan sono anche corrotti, corruttori, personaggi controversi e mafiosi di vario cabotaggio.
[Per la cronaca, uno dei più famosi testimonial (postumi) di Rolex è stato Che Guevara...]
La reazione piccata di Rolex, dunque, non è valsa in passato quando boss di spicco della mafia sono stati arrestati con gioielli di meccanica elvetica al polso. Nel 2007, per esempio, Salvatore e Sandro Lo Piccolo, padre e figlio, tra gli ultimi veri capimafia catturati in Sicilia, indossavano un Rolex Daytona ciascuno al momento dell'arresto. Così come l'anno prima Francesco Franzese, ex braccio destro dei presunti eredi di Provenzano, aveva in casa, o meglio nel covo in cui si nascondeva latitante, ben 15 orologi Rolex. Allora non si levò alcuna voce indignata, né dal quartier generale di Ginevra né da Milano, di cui Rolex Italia spa è "cittadino esemplare", come dice Marini. E probabilmente, nel 2013, non gli era arrivata all'orecchio la notizia di un pizzaiolo tra New York, Bagheria e i clan siculo-canadesi, tale Carbone, diventato pentito di mafia: aveva il Rolex d'oro di un defunto boss spagnolo del narcotraffico, e piuttosto che farsi "tradire" dal possesso di quell'orologio preferì confessare tutto ai carabinieri. Anche in quel caso, nessuno ha espresso «profondo rincrescimento e disappunto» per «l'inaccettabile affiancamento».
Il Rolex, checché ne dica il management, è uno status symbol pure per chi vive di crimine. Persino per i mafiosi che con un bell'orologio volevano corrompere Fantozzi (alla riscossa, 1990). Il ragioniere rifiutò. Non so se Rolex s'indignò con Villaggio per la pubblicità negativa...

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