mercoledì 29 luglio 2015

La Tusa ispiratrice

Tusa è l'ultimo comune della provincia di Messina al confine con quella di Palermo. Arrivarci non è difficilissimo, tutto sommato, da quando l'autostrada A20 è ormai definitivamente completata (il "definitivo" siciliano, in realtà, è sempre relativo...). C'è tanto di casello, sulla Messina-Palermo.
Così chi avesse voglia di fare un bagno nella frazione marina di Castel di Tusa, alla spiaggia delle Lampare, Bandiera Blu 2015, non avrebbe grandi problemi. Ed è pure più vicina Palermo, a una novantina di chilometri, mentre il capoluogo Messina è a più di 140 km di distanza.
Ma basta questo? Intendo dire, è sufficiente la relativa vicinanza tra il capoluogo dell'Isola e Tusa per spiegare perché questa cittadina di 3.000 abitanti, la greca Alesa Arconidea, sia diventata la vera capitale della "rivoluzione" di Crocetta? Eh già: il governatore siciliano sotto pressione mediatica, giudiziaria (?) e politica, è ora in vacanza a Vulcano, ma nei giorni più duri e intensi del fuoco incrociato per l'affaire Borsellino era rintanato proprio a Tusa. Dove, ha detto Baldo Gucciardi, l'uomo del Pd che contemporaneamente sostituisce ad interim Crocetta e la stessa Lucia Borsellino, il presidente passava il suo tempo «provato, ma sereno».
E da Tusa tuonava in diretta televisiva. Da Tusa diramava i suoi ormai immancabili comunicati stampa. A Tusa studiava le mosse per riprendersi la scena e scacciare i fantasmi della sfiducia. Ma perché Tusa? Perché non la stessa Palermo o, più logicamente, la "sua" Gela?
Tano Festa, "Monumento per un poeta morto (Finestra sul mare)", 1989
L'equazione è semplice: il legame tra Tusa e Crocetta si chiama Antonio Presti, imprenditore geniale, grande mecenate contemporaneo, un uomo capace di creare quasi trent'anni fa Fiumara d'Arte, uno dei più grandi musei all'aperto d'Europa, nel letto del fiume ("a carattere torrentizio", come scrivevano i sussidiari delle medie) Tusa e nei dintorni, con nomi del calibro di Tano Festa, Pietro Consagra, Piero Dorazio, Mauro Staccioli, Hidetoshi Nagasawa. Un imponente parco di sculture contemporanee, un'iniziativa senza precedenti, nata anch'essa con il sigillo dell'attivismo antimafia. Ma pure un caso giudiziario, perché per alcuni (politici, tra cui Rutelli quando era "verde", e magistrati) si trattava addirittura di un abuso edilizio. E volevano demolire le opere. Adesso le cose sono cambiate: nel 2006 il governo regionale ha varato pure un provvedimento ad hoc, la legge 6/06 dal titolo "Valorizzazione turistica - Fruizione e conservazione opera di Fiumara d'arte". Testuale. Ormai il percorso culturale di Tusa è una realtà internazionale, insieme all'altra alzata d'ingegno di Presti che, quando le cose si stavano mettendo male a Fiumara, si è inventato Atelier sul Mare, un hotel esclusivo con altre opere d'arte e stanze a tema.
Ecco, torniamo a Saro: in quell'albergo così singolare c'è una camera tutta per lui, riservata, con tanto di iniziali sulla porta (una volta, due anni fa, ha dovuto lasciarla per ragioni di sicurezza, cioè per non creare rischi agli altri ospiti). E Antonio Presti è uomo di punta del côté di Crocetta, al punto da candidarsi nel 2013 al Senato nella lista del Megafono, dietro il grande sponsor dell'operazione crocettiana, cioè Beppe Lumia. Lo stesso presidente aveva pensato al mecenate come assessore regionale alla Cultura, nel grande valzer delle poltrone che ha caratterizzato (e/o caratterizza) l'esperienza governativa dell'ex sindaco di Gela da quando è approdato a Palermo. Quindi non c'è solo l'arte, o la cultura, o l'antimafia. No, c'è anche la politica: a Tusa, alle regionali del 2012 vinte da Crocetta, il Megafono è stato il primo partito, e pure con distacco. Prese il 36,7%, 525 voti, ben più della metà di tutti i voti della coalizione di centrosinistra nella cittadina. La prima uscita pubblica, dopo l'elezione, Crocetta la fece proprio a Tusa, all'Atelier dove aveva piazzato il suo quartier generale in campagna elettorale. E Rosario "Saro" Crocetta da Gela è ormai pure cittadino onorario di Tusa. Con tanti ringraziamenti per la pubblicità dal sindaco Angelo Tudisca, un avvocato ex Udc che ora figura nella direzione nazionale di Italia Unica, il movimento di Corrado Passera.

lunedì 20 luglio 2015

La recita del Rosario

Io un abbraccio come quello di Sergio Mattarella e Manfredi Borsellino non ricordo di averlo visto altre volte. Persino il presidente della Repubblica, così schivo e riservato, è andato fuori dal protocollo e ha espresso con naturalezza ed emozione l'affetto per il figlio di Paolo. E questo naturalmente fa più sensazione perché è successo nei giorni dello scandalo e della rabbia per la presunta intercettazione tra il (quasi ex?) presidente della Regione Crocetta e il suo medico-amico Tutino, con le ormai note parole oscene nei confronti di Lucia Borsellino. Forse sarà il solito teatrino alla siciliana, forse no. Certo è che quell'abbraccio sincero e commosso, davanti a sguardi spiazzati, dice più di tante altre parole. Considerando peraltro che le parole di Manfredi erano state dure.
Io mi sono dato un ordine, un obbligo, un compito: ricordare ogni anno, nel mio contesto pubblico molto piccolo, quelle due terribili date del 1992, il 23 maggio di Capaci e il 19 luglio di via D'Amelio. A volte preferirei non farlo, perché non mi pare di avere nulla di così importante da dire. Quello che conta almeno è saperlo, conservare come monito il ricordo dell'estate più calda della storia siciliana. A volte però sarebbe meglio il silenzio, vero, non interrotto da ipocriti applausi di alleggerimento della coscienza. Il silenzio che qualcuno dovrebbe infine consigliare sul serio a Crocetta: a tacere davanti agli insulti di Tutino a Lucia e poi rompere il silenzio alle parole incontestabili di Manfredi, non mi sembra si faccia una gran figura. Senza bisogno di tirare sempre in ballo l'anti-antimafia e l'omofobia.
Ecco, su una cosa taccio invece io, e l'ho fatto anche al lavoro, forse per lapsus, o per scelta, o per ragioni di spazio. Nell'articolo che ho scritto sul Quotidiano Nazionale, ho omesso questa frase di Crocetta: «Tutto accetterò tranne che morire come un pezzo di merda in un letto». Non la capisco, davvero. Il silenzio non è solo omertà. A volte è una splendida opportunità.

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giovedì 16 luglio 2015

Penta rei

Alle Europee dell'anno scorso, la lista che in Italia si chiamò "L'Altra Europa con Tsipras" rappresentava un tentativo (riuscito giusto perché superò lo sbarramento del 4%...) di mettere in discussione un certo modo di fare politica in Europa. Naturalmente in Italia si riuscì come al solito a trasformare un esperimento interessante nell'ennesima lista-accozzaglia, tra reduci della sinistra parlamentare e non della Prima Repubblica ed esponenti dei movimenti e della "società civile". Ciò che partiva dal sostegno al programma politico di Alexis Tsipras è poi finito in polemiche, scontri, ipocrisie e litigi vari. Intanto, però, il leader della sinistra greca è pure diventato primo ministro, oltre ad aver creato una piccola "riserva indiana" nel Parlamento europeo, mentre in Italia continua a latitare una formazione di sinistra solida.
Ora Tsipras è alle prese con la difficile soluzione della crisi. E ancora l'Italia, a suo modo sempre raffazzonato, si distingue: da una parte la Brigata Kalimera della sconclusionata sinistra che tifa Alexis, poi le bandiere greche fatte sventolare qui e là (il primo, pare, è stato il sindaco di Ficarra, nel Messinese, Basilio Ridolfo, segretario provinciale del Pd – non renziano), con in mezzo una posizione ufficiale del governo a dir poco discutibile. Ecco, proprio nel momento in cui ad Atene andava in scena la maratona in Parlamento per il voto decisivo sulle riforme, il nostro Paese è riuscito a regalare un'altra perla.
Due senatori, ex Movimento 5 Stelle, entrambi cacciati con furore da Grillo, cioè i palermitani Fabrizio Bocchino e Francesco Campanella (sono quelli che disubbidirono subito al blog, votando Pietro Grasso), hanno annunciato la creazione di una nuova componente all'interno del gruppo Misto di Palazzo Madama. Si chiamerà... "L'Altra Europa con Tsipras"! Fantastico. «Una scelta che viene compiuta in questo momento proprio per rafforzare la solidarietà alla Grecia, oggetto di un tentativo di umiliazione da parte dell'Ue, e che arricchisce le voci attive per la costruzione di una casa comune della sinistra italiana», dicono. Un paradosso squisitamente italiano, anzi anche un po' siciliano. Perché in effetti questo piccolo episodio racconta qualcosa che è più di una semplice interpretazione politica: soprattutto nei primi tempi della sua nascita, il Movimento 5 Stelle siciliano ha raccolto adesioni e consensi a sinistra, e infatti ha sfidato con grande capacità elettorale il debole centrosinistra dell'Isola. Non a caso, la vera opposizione a Rosario Crocetta arriva soprattutto dal M5S, che pure il governatore aveva cercato di blandire per averne i voti (appunto perché tendenzialmente "di sinistra"). Ma d'altra parte, la Sicilia ha regalato più di un dispiacere a Grillo & Casaleggio, con un'alta percentuale di dissidenti.
E ora i senatori Campanella, dipendente regionale in aspettativa, e Bocchino, astrofisico di Altofonte, creano in Senato una corrente pro Tsipras, dopo l'adesione ufficiale alla lista omonima ad aprile. La stessa lista alla quale partecipò l'anno scorso anche Sel, che però non è dentro la nuova componente del Misto. Insomma, due più realisti del re. Fino a ieri costituivano, da soli, la componente "Italia Lavori in Corso" (Ilic, come Lenin...). Un cantiere sempre aperto, la sinistra italiana.

P.S. Alle Europee, la lista "L'Altra Europa con Tsipras" prese in Sicilia il 3,57% (60.879 voti)

domenica 5 luglio 2015

Chi va a Palermo e non passa da Monreale...

Sincretismo vuol dire "fusione di dottrine di origine diversa, sia nella sfera delle credenze religiose sia in quella delle concezioni filosofiche", dice la Treccani. Indica dunque la contaminazione, anche in senso culturale. E infatti il "sincretismo culturale" è la ragione ufficiale per cui l'Unesco ha deciso di inscrivere nella lista del patrimonio dell'Umanità Palermo arabo-normanna e le cattedrali di Cefalù e Monreale. Non esiste in nessun altro luogo al mondo un sincretismo così: arabi e normanni insieme! Il Mediterraneo e l'Europa del Nord condensati in una grande contaminazione, un mix che ha trovato l'apoteosi nell'architettura palermitana del XII secolo.
L'itinerario Unesco comprende nove monumenti, di cui sette solo a Palermo: Palazzo Reale (cioè Palazzo dei Normanni, sede dell'Ars, finalmente senza lo scempio delle auto parcheggiate) con la Cappella Palatina, la chiesa di San Giovanni degli Eremiti e quella di Santa Maria dell'Ammiraglio (nota come chiesa della Martorana, quella della frutta di marzapane), la chiesa di San Cataldo, la cattedrale, il palazzo della Zisa, ponte dell'Ammiraglio. E poi, infine, ci sono le cattedrali, con i rispettivi chiostri, di Cefalù e Monreale. Così i turisti di tutto il mondo scopriranno il senso di uno dei più famosi proverbi siciliani: cu' va a Palermu e nun va a Murriali si nni parti sceccu (asino) e torna maiali. Adesso non ci sono più scuse: bisogna andare a Palermo, a Monreale e pure a Cefalù, a constatare come la Sicilia abbia costruito la sua grandezza culturale in un invidiabile "imbastardimento". A noi la purezza della razza è sempre sembrata una colossale truffa, dalle contaminazioni è nata un'identità (una sola?...) irripetibile.
Queste le motivazioni dell'Unesco:
Un esempio di sincretismo socio-culturale nell'Isola tra le culture dell'Occidente, dell'Islam e bizantina, che hanno dato vita a nuovi concetti di spazio, architettura e arte. Questi monumenti testimoniano inoltre la proficua coesistenza tra persone di diverse origini e religioni (musulmani, bizantini, latini, ebrei, lombardi e francesi).
La cattedrale di Monreale
Così sono saliti a sette i siti Unesco in Sicilia, e quelli italiani diventano 51. Record mondiale.
Ricordano le enciclopedie che "sincretismo" letteralmente voleva dire "coalizione dei Cretesi". Abitualmente a Creta non andavano d'accordo, erano sempre in lotta tra di loro, ma poi quando c'era da combattere contro un nemico comune riuscivano a dimenticare i contrasti. Ecco, non siamo a Creta, però questo risultato, banalmente ma non troppo, rappresenta alla perfezione cosa siamo in grado di fare quando ci mettiamo d'accordo. Contro il nemico comune che spesso siamo noi stessi. E naturalmente la battaglia è solo all'inizio.

venerdì 3 luglio 2015

Alexander Magno

Oggi sarebbe sicuramente ad Atene. Poi magari andrebbe a Lampedusa, a Ceuta e Melilla, in Ungheria, tra i russofoni della Lettonia, nei suoi amati Balcani, insomma tra i poveri, i derelitti, i disperati, le minoranze, i migranti. Oggi Alex Langer sarebbe in piazza Syntagma, a partecipare, senza farsi strumentalizzare, al momento più incerto ed esaltante della storia greca recente. E voterebbe 'no' al referendum di domenica, sicuramente. Ma non è questo che importa. Una volta fatto il suo dovere di cittadino europeo in Grecia, volerebbe alle altre frontiere del Vecchio Continente, dove serve qualcuno che ricordi i diritti e i valori dell'utopia europea.
Alex Langer si è ucciso venti anni fa, impiccato a un albero di albicocche sulle colline di Firenze. Era la coscienza critica e umanista che ormai non c'è più, nella presunta Europa unita. Manca il suo spirito di accoglienza, dialogo, scambio e confronto. Soprattutto manca alla spenta sinistra europea quell'afflato di comunità e solidarietà che animava Alex il "verde" e cattolico, altoatesino bilingue e tollerante, "ecologista e costruttore di pace". Il suo motto, che addirittura capovolge la retorica olimpica, era «più lentamente, più in profondità, con più dolcezza».
Nel biglietto che lasciò ai familiari, scrisse «non siate tristi, continuate in ciò che è giusto». E invece siamo ancora tutti tristi, anche quelli che abbiamo scoperto Alex molto tardi, quando ormai non c'era più. Tristi perché non sappiamo più fare quel che è giusto. Soprattutto quella sinistra che lui non riconoscerebbe più.
Una delle cose più interessanti scritte da Alex Langer è un'intervista del 1981 a Leonardo Sciascia, pubblicata l'11 febbraio su Tandem. Uno straordinario dialogo (qui il testo) sul senso di appartenenza, identità, isolamento e mescolamento. L'intellettuale di Vipiteno che interroga l'intellettuale di Racalmuto, un confronto profondo nord/profondo sud per capire che in fondo siamo tutti più uguali di quanto non vogliamo ammettere. «Provinciali è bello», il titolo. Provinciali e appartenenti a tante piccole patrie: intese però, spiegava Langer a Sciascia, come Heimat, «la patria dei luoghi, dei suoni e delle tradizioni conosciute e familiari», e non tanto nel senso "istituzionale" di Vaterland, «la patria delle bandiere, degli inni e delle battaglie».
La grandezza di Alex Langer era quella di imparare, assorbire dall'incontro con qualunque cultura "altra", gettare un ponte. E infatti chiudeva l'articolo così: «Alcune nostre nevrosi tirolesi (anche di sinistra) mi appaiono più sfumate, dopo questa conversazione con Leonardo Sciascia». Sicuramente anche Sciascia ha imparato qualcosa da Langer. Anche alla Sicilia servono maestri così. L'anno scorso il Premio internazionale Alexander Langer lo ha vinto Borderline Sicilia Onlus, associazione con sede a Modica che si occupa dei diritti dei migranti. Qualcuno continua «in ciò che giusto»...

Il Borsellino vuoto

Non ricordo quanti anni fa, non sono sicuro che fosse a Ballarò, comunque in una trasmissione del genere, ci fu un interessante e quasi surreale scambio di battute tra Rita Borsellino e l'allora senatore Pdl Carlo Vizzini (nella Prima Repubblica era nel Psdi). Rita era nel suo periodo politico e si sentiva sempre ripetere, più o meno esplicitamente, che stava sfruttando il (cog)nome del fratello Paolo. Vizzini quella volta disse a Rita che contestava le sue scelte politiche (si sa, Paolo era stato di destra) e subito correggeva il tiro, a scanso di equivoci, dicendo di aver "collaborato con suo fratello". Insomma, non è che criticando Rita Borsellino stava infangando la memoria del giudice ucciso, chiaro. Rita sommessamente fece notare che Paolo era suo fratello e la tragedia lei l'aveva vissuta in primissima persona. Ecco, qualche tempo dopo Vizzini, da redivivo socialista "di sinistra", sarebbe diventato uno dei più attivi e strenui sostenitori di Rita Borsellino in politica.
Lunga premessa per finire a parlare della nipote di Rita, Lucia Borsellino. Non c'è niente da fare: noi siciliani non ce le meritiamo certe persone. Abbiamo (parlo in prima persona perché in fondo la responsabilità è davvero collettiva, di tutti noi siculi, anche di chi non ha colpe dirette, ndr) preferito Totò Cuffaro a Rita Borsellino, a Palermo ci confortavano i giochi di potere trasversali più del programma di rottura di Rita, così come ci siamo fatte piacere le giravolte e le ipocrisie del Pd. E così abbiamo abbandonato anche Lucia Borsellino a combattere da sola la sua battaglia civile e professionale, per non disturbare i manovratori della politica ai quali dobbiamo sempre qualcosa. Lucia che da dirigente della sanità regionale aveva dimostrato grande competenza e capacità anche durante le giunte Lombardo, Lucia che da assessore con Crocetta era l'unica davvero titolata a rappresentare la rivoluzione siciliana tanto strombazzata. Strombazzata, ma non da lei, che con discrezione ha continuato a lavorare nonostante "l'ambiente circostante". Dopo un primo tentativo di uscire da quel teatrino, con dimissioni respinte a febbraio dopo lo scandalo della piccola Nicole morta in ambulanza, ora ha lasciato definitivamente. Singolare, però: c'è voluto un caso più che politico che tecnico per accelerare la rottura. L'episodio è simbolico, naturalmente. Il chirurgo e medico personale di Crocetta, Matteo Tutino, primario al Villa Sofia di Palermo, arrestato per truffa, falso, peculato e abuso d'ufficio («Quest'amicizia, sempre ostentata da Tutino, ha molto condizionato la vita di una grande azienda ospedaliera di Palermo», ha spiegato l'ormai ex assessore). La classica goccia che fa traboccare il vaso. E che certifica il fallimento della presunta rivoluzione crocettiana.
Ripeto, non ci meritiamo persone come Lucia, gente perbene e capace che dice cose così:
Oggi torno a essere la figlia di Paolo. E, in nome dei suoi semplici insegnamenti, chiedo a tutti di non invitarmi, il 19 luglio, alla commemorazione di via D'Amelio. Non capisco l'antimafia come categoria, come sovrastruttura sociale. Sembra quasi un modo per cristallizzare la funzione di alcune persone, magari per costruire carriere. La legalità, per me, non è facciata, è una precondizione di qualsiasi attività.