venerdì 10 agosto 2018

Igp Igp hurrà

Il cioccolato di Modica conquista il marchio Igp. Sono scaduti infatti i tre mesi entro i quali i Paesi membri dell'Ue potevano opporsi alla decisione preliminare presa dalla Commissione a maggio. Il problema maggiore era in teoria il fatto che la materia prima, il cacao, non è prodotta localmente. Ma è stato premiato l'ingegno. E il primato non è da poco: si tratta del primo cioccolato a ottenere un riconoscimento del genere in tutta Europa. Dunque dall'autunno il prodotto simbolo della mia città, retaggio della dominazione spagnola nel XVI secolo e dello xocoatl azteco (Sciascia disse di averne mangiato uno simile ad Alicante), potrà fregiarsi dell'Indicazione geografica protetta. Può essere fatto solo a Modica, e solo secondo quegli antichi procedimenti: pasta di cacao amara, aromi naturali (vaniglia, cannella, peperoncino i tre grandi classici), lavorazione a freddo (35-40°), niente latte, zucchero che resta granuloso, nessun procedimento di concaggio, cioè i trattamenti per rendere liscio e omogeneo il cioccolato. Insomma, un prodotto che di industriale ha ben poco.
Una tradizione che era stata dimenticata per decenni e solo grazie all'intuito e alla passione di pochi è stato restituito alla storia e alla cultura di Modica e non solo. "Cantore del cioccolato e del territorio", recita per esempio la lapide al cimitero di Modica di Franco Ruta, l'uomo che con l'Antica Dolceria Bonajuto ha contribuito a questo rilancio e a far conoscere Modica decisamente fuori dai confini della fu Contea. Fino a quindici-venti anni fa erano davvero pochi i maestri cioccolatieri a Modica, ora invece è una pletora di improvvisati e di commercianti che mettono sul mercato prodotti semi-industriali, in alcuni casi smaccatamente non rispondenti al disciplinare dal momento che ricorrono al concaggio. Quindi, come sempre, un marchio come l'Igp ("cioccolato di Modica", non cioccolato modicano) non è il punto d'arrivo ma si spera che sia l'opportunità per selezionare davvero la qualità e la genuinità del prodotto.

giovedì 21 giugno 2018

Palermo vince per Manifesta superiorità

Manifesta è la biennale d'arte contemporanea "nomade" con sede ad Amsterdam, ma che ogni due anni ha luogo in una città diversa d'Europa. E per il 2018, dal 16 giugno al 4 novembre, la città europea in questione è anche la capitale italiana della cultura: Palermo. Il weekend scorso ero lì, all'anteprima di Manifesta 12 per stampa e professionisti del settore. Da siciliano e da profano frequentatore dell'arte contemporanea, sono rimasto travolto dalla contraddittoria bellezza che Palermo - una delle poche vere capitali rimaste in Italia... - ha offerto alle migliaia di persone arrivate da tutto il mondo. Se non fosse per un furto da 15mila euro nella notte tra domenica e lunedì al Teatro Garibaldi, quartier generale di Manifesta 12, Palermo è riuscita in quel weekend a scrollarsi di dosso cliché e pregiudizi, offrendo invece la sua dolente ricchezza e il fascino della sua decadenza alle sperimentazioni dell'arte.
L'Orto Botanico, lo splendido Palazzo Forcella De Seta alla Kalsa, i palazzi Butera e Trinacria (quello dove Falcone e Borsellino furono immortalati sorridenti da Tony Gentile), l'Oratorio di San Lorenzo, Palazzo Ajutamicristo, Palazzo Costantino, l'Archivio di Stato alla Gancia... L'elenco sarà sempre incompleto: la città di Palermo, per evidente merito di uno sforzo lungimirante dell'amministrazione, ha presentato al pubblico i suoi gioielli, anche le sue ferite. Certi luoghi non erano praticamente fruibili fino alla settimana scorsa, ora invece ospitano una delle più importanti manifestazioni culturali d'Europa. Persino le periferie come lo Zen o le propaggini dimenticate di Costa Sud sono dentro il programma di Manifesta 12, al di là del salotto buono della città.
Orto Botanico
Santa Maria dello Spasimo
Oratorio dei Peccatori
Palazzo Costantino
Palazzo Forcella De Seta
Chiesa dei Santi Euno e Giuliano
Palazzo Ajutamicristo
Piazza Magione
Palazzo Butera
Inutile dire che qualcosa è forse da rivedere (troppi eventi collaterali non sempre ben comunicati, sovrapposizione di eventi e performance, qualche intoppo organizzativo soprattutto nel weekend inaugurale), ma anche alla Biennale di Venezia non è tutto sempre così perfetto. Di certo c'è che i luoghi sono incredibili, talvolta più interessanti delle opere che ospitano. Ma comunque alcuni interventi artistici sono notevoli. Il duo Masbedo, per esempio, all'Archivio di Stato e a Palazzo Costantino. O gli interventi urbani-agricoli di Cooking Sections. O Alberto Baraya e le sue teche di piante artificiali all'Orto. O Uriel Orlow a Palazzo Butera che parte da tre alberi simbolo della Sicilia - il pino di San Benedetto a Palermo, il ficus di Falcone, l'ulivo dell'armistizio di Cassibile - per raccontare la voglia di questa terra di essere sempre viva, nonostante tutto. O la performance trascinante di Marinella Senatore, tra balli di bambini, percussionisti, canti e acrobazie, bandiere e gonfaloni: una processione rumorosa per le vie di Palermo che ha spiazzato persino i palermitani abituati al traffico... E così via, in un confuso e parziale elenco.
Nella città dei mercati, dei paradossi, dei clacson, delle urla, delle urla e dei festoni, c'è spazio per tutti, anche durante Manifesta. "Il Giardino Planetario. Coltivare la Coesistenza". Effettivamente il tema di questa dodicesima edizione della biennale nomade è cucito su misura per Palermo. Ma in realtà forse solo a Palermo gli organizzatori olandesi avrebbero potuto trovare il terreno fertile per raccontare cosa vuol dire oggi accogliere, coltivare, far crescere, senza differenze. E senza paura di continuare a essere "tutto porto", come dice il nome greco della città.
Se volete capire i fenomeni geopolitici, sociali ed ecologici di oggi, andate in quel crocevia che è Palermo. Una città che è capitale che è arte contemporanea.

Cooking Sections, @Giardino dei Giusti

Marinella Senatore, Palermo Procession, @Chiesa dei Santi Euno e Giuliano

Marinella Senatore, Palermo Procession

Masbedo, Protocollo no. 90/6, @Archivio di Stato alla Gancia

Masbedo, Videomobile, @Palazzo Costantino

Patricia Kaersenhout, The Soul of Salt, @Palazzo Forcella De Seta

Peng! Collective, Call-A-Spy, @Palazzo Ajutamicristo

Rayyane Tabet, Steel Rings, @Palazzo Ajutamicristo

sabato 3 marzo 2018

L'antimafia dei professionisti

Giusto una riflessione pre-voto, da parte di un siciliano che non potrà tornare a casa per votare.
Inutile ragionare su come andrà a finire, però. Da siciliano rilevo che, dopo le regionali di novembre, è tornato il centrodestra unito che ha quasi sempre governato la mia regione. Nell'Isola ormai la partita sembra solo tra la nuova alleanza berlusconian-salviniana e il Movimento 5 Stelle. Dunque il centrosinistra e la sinistra sono fuori gioco. Per esclusiva colpa loro. Soprattutto del Pd.
Ma la riflessione che faccio è su ciò che c'è alla sinistra di Renzi. E su un aspetto che non è quasi mai stato sottolineato abbastanza. La Sicilia ha un suo elettorato di sinistra, certo, storicamente radicato in alcune zone soprattutto. Ora, però, chi votava a sinistra (sinistra, dico, non Pd...) si è buttato sui 5 Stelle. Eppure, com'è possibile che una delle regioni meno "rosse" che ci siano in Italia abbia espresso negli ultimi cinque anni i leader delle formazioni politiche a sinistra del Pd?
Nel 2013, l'accozzaglia di Rivoluzione Civile era guidata da Antonio Ingroia, tanto improbabile come tribuno quanto "movimentato" era da pm antimafia. Come andò, si sa. Adesso c'è Liberi e Uguali, un altro puzzle non troppo ben assemblato, ancora più esplicitamente anti Pd, considerata la provenienza della maggior parte dei suoi esponenti, candidati e leader-ini. "-ini", perché il leader dovrebbe essere Pietro Grasso, uno che a oltre 70 anni, e dopo un quinquennio da seconda carica dello Stato, dice di voler mettere in gioco "il ragazzo di sinistra" che c'è in lui. Lasciando perdere le persino ovvie battutine su chi comanda davvero ("ha i baffi, è intelligente e ha la barca a vela", secondo una memorabile battuta di Benigni?), è singolare che anche Grasso sia stato un procuratore antimafia, però di livello molto più alto di Ingroia (il quale a sua volta ora si presenta con l'improbabile Lista del Popolo per la Costituzione). I due non si amano affatto, oltretutto. Uno, il giovane Antonino, è uomo di piazza e "partigiano", l'altro, l'anziano Piero, si è costruito una impeccabile carriera istituzionale, "politica".
Ecco, per due volte di fila la sinistra italiana, variegata e inconcludente, si è affidata a ex magistrati antimafia, forse proprio per l'unica ragione che sono stati magistrati antimafia... In mezzo ci metto pure le ultime regionali, con Claudio Fava che è entrato all'Ars alla guida del suo movimento Cento passi per la Sicilia. Fava è vicepresidente della commissione Antimafia.
La riflessione: sarà pure legittimo – e lo è, altroché – criticare i metodi della selezione della classe dirigente degli altri partiti e schieramenti, a partire dai 5 Stelle, ma trovo ancora più grave l'incapacità della sinistra di scegliere leader veri e attendibili, anziché sventolare bandierine e dimostrare la distanza da quel poco di elettorato che le sarebbe rimasto. Qui non ha senso rivangare le solite polemiche sui professionisti dell'antimafia, ma parlerei dell'antimafia dei professionisti...
Due ex procuratori e un membro della commissione parlamentare. Come se a rappresentare l'antimafia dovessero essere solo i nomi istituzionali e non anche quelli che la fanno ogni giorno senza clamore. In Sicilia e non solo. E come se per essere di sinistra si dovesse dichiarare platealmente la patente dell'antimafia. Antimafia lo si è, non lo si fa.
Mi ricorda la risposta di Enzo Biagi a una domanda sulla nascita del Partito Democratico: «Pensavo che tutti i partiti fossero democratici»...