giovedì 26 settembre 2019

La cattiva stidda

Una rappresentazione del tatuaggio a stella (stidda)
La maxi operazione contro la stidda fra la Sicilia e la Lombardia ha riportato sotto i riflettori la cosiddetta 'quinta mafia', meno conosciuta delle grandi organizzazioni criminali come Cosa Nostra o la 'ndrangheta. Ma che cos'è di preciso la stidda?

LA STORIA - Come spesso capita nella storia del crimine, anche nel caso della stidda non è possibile definire chiaramente quando questa ha avuto inizio. Indicativamente la 'quinta mafia' (detta così perché arriva dopo Cosa Nostra, camorra, 'ndrangheta e la pugliese Sacra corona unita) si è affacciata alla cronaca intorno agli anni Settanta-Ottanta del XX secolo. Il collaboratore di giustizia Leonardo Messina rivelò che a metà degli anni Ottanta molti mafiosi della provincia di Caltanissetta, alcuni dei quali "messi fuori confidenza" (cioè espulsi dalle cosche di Cosa Nostra), si sarebbero riorganizzati in nuovi gruppi criminali, autonomi e anzi 'ribelli' nei confronti del'organizzazione più grande e potente. Nel 1987, a Gela, la rivalità tra Cosa Nostra e stidda assunse i contorni della guerra armata, con agguati, faide e un centinaio di omicidi in un triennio.

LA DIFFUSIONE - La stidda nasce a Palma di Montechiaro, nell’Agrigentino, ma trova la sua maggiore diffusione nella provincia di Caltanissetta e nella parte più occidentale di quella di Ragusa, tra Vittoria e Comiso. Ancora oggi, il ministero dell'Interno identifica una zona geocriminale della Sicilia sud-orientale (Caltanissetta e Ragusa), contrassegnata proprio dalla presenza della stidda. Principalmente è diffusa dunque nella Sicilia meridionale, mentre gli stiddari sono praticamente assenti nelle zone settentrionali (Palermo, Trapani, Messina). Ma, come le altre mafie, anche la stidda è ormai radicata in alcune aree del Nord Italia.

LA STRATEGIA - Gli stiddari sono organizzati in gruppi saldamente legati e consorziati, non in cosche prive di collegamenti. Uno degli elementi caratteristici è il ricorso alla violenza, che diventa decisivo nello sviluppo rapido delle carriere criminali e nell'affermazione di giovani emergenti. Nel 1990 quattro killer della stidda uccisero il giudice Rosario Livatino. Tra gli episodi più cruenti, il 2 gennaio 1999, la cosiddetta strage di san Basilio a Vittoria (Ragusa): cinque persone assassinate all'interno del bar di un distributore di carburante, tra cui due ragazzi estranei alla criminalità. La presenza della stidda tra Gela e Vittoria avrebbe frenato e contrastato apparentemente la dilagante espansione di Cosa Nostra in quelle aree, ma in realtà la quinta mafia è stata in qualche modo funzionale alla mafia della Sicilia occidentale, perché l'impegno delle forze dell'ordine e della magistratura è stato rivolto prevalentemente alla sconfitta dei clan stiddari, lasciando invece a Cosa Nostra una certa libertà di agire sul territorio. A partire dagli anni Novanta, tuttavia, c'è stata una vera e propria spartizione delle attività criminali tra Cosa Nostra e la stidda. L’organizzazione principale si occupa dei grandi appalti e dei legami con il mondo della politica, della finanza e dell’imprenditoria; la 'quinta mafia', maggiormente ancorata alla realtà locale, si dedica invece alle attività classiche del crimine mafioso: traffico di droga finalizzato al fabbisogno locale, estorsioni e usura, gestione di bische clandestine, prostituzione, controllo armato del territorio.

IL SIGNIFICATO - Il termine stidda in siciliano significa stella. Per spiegare il nome si sono fatte tre ipotesi:

  • nel gergo mafioso il termine assumerebbe il senso di una costellazione di gruppi malavitosi che gravitano attorno all'organizzazione principale
  • sarebbe il nome di un tatuaggio fatto in carcere che gli stiddari portano come segno di riconoscimento (cinque segni verdognoli disposti a cerchio fra il pollice e l'indice della mano destra, a formare una stella)
  • il riferimento sarebbe alla Madonna della Stella, patrona del comune di Barrafranca, in provincia di Enna. La tesi nacque dalle rivelazioni di Antonino Calderone, il quale dichiarò per primo che in quel paese "a parte la Famiglia appartenente a Cosa Nostra, vi è un'altra Famiglia, composta in gran parte da espulsi da Cosa Nostra, detta la Famiglia degli Stiddari".

[Articolo pubblicato su Quotidiano.net]

venerdì 31 maggio 2019

Astenuto per forza. Straniero in patria

«Se non voti, ti fai del male. Se non voti, non cambia niente». Già, hai ragione Adriano Celentano. Chiedo scusa a te e a tutti. Sono colpevole: questa volta (anche questa volta...) non ho votato. E dunque non ho il diritto di lamentarmi. Anzi. È pure colpa mia se lascio agli altri il privilegio di decidere per me il governo, il partito di maggioranza, la rappresentanza italiana all’Europarlamento. Al limite la delega si fa per l’assemblea di condominio... Alle elezioni, no.
Ma ora che mi sono preso la colpa e ho chiesto scusa pure al Molleggiato (che quelle frasi, tra l’altro, le cantò in onore del Movimento 5 Stelle), forse è arrivato il momento di spiegare perché tanti elettori italiani al momento decisivo non si presentano alle urne. Astensionismo? Disaffezione? Anti-politica? No, non solo. È come quando si parla della gente che non lavora: ci sono i disoccupati, che il lavoro comunque lo cercano; poi gli scoraggiati, e la parola dice tutto; gli inattivi invece non hanno il lavoro e non lo cercano nemmeno. Ecco, con le elezioni è la stessa cosa: c’è chi potrebbe votare e non lo fa, ma c’è anche chi vorrebbe votare ma non può.
I motivi sono logistici e burocratici, non mancherebbe sicuramente la volontà.
Basta mantenere la residenza in Sicilia ma vivere a Bologna (ancora prima a Ravenna e Milano), per ritrovarsi escluso dalla possibilità di esprimere un sacrosanto diritto-dovere come quello del voto. Quando si tratta di elezioni, la categoria del ‘fuorisede’ non ha limiti d’età. Non esiste il voto elettronico, né posso votare in un collegio diverso da quello di residenza. Solo in caso di referendum nazionali, ma con procedure macchinose e paradossali, è stato possibile votare da fuorisede. Però ho dovuto accreditarmi come rappresentante di lista, per poter entrare in un seggio lontano da casa mia. Insomma, altro che segretezza del voto...
Il Movimento 5 Stelle, quello a cui Celentano dedicò l’inno anti astensionismo, ora valuta il voto elettronico. Le soluzioni, dunque, potrebbero esistere, oltre al cambio di residenza.
Non vorrei essere costretto a emigrare ulteriormente: i miei parenti nati in Venezuela possono votare per le nostre elezioni. Loro sono italiani all’estero, io non vorrei essere considerato straniero in patria.

[Il mio primo commento pubblicato sul Quotidiano Nazionale]

domenica 19 maggio 2019

«Sono Mister Web, risolvo problemi»

Non ha nemmeno 30 anni, fattura 3 milioni di euro l’anno, dieci persone lavorano per lui, e il suo nome è ormai un brand. All’anagrafe si chiama Salvatore Aranzulla, classe 1990, originario di Mirabella Imbàccari, paesino a qualche chilometro da Caltagirone, in Sicilia, ma per tutti è aranzulla.it, uno dei siti web più visitati d’Italia. Non è un informatico né un programmatore («Sono un imprenditore e un divulgatore», precisa anche rispondendo ai suoi detrattori), anzi il suo obiettivo è «fornire soluzioni semplici a problemi semplici» con la tecnologia. Un modello di successo nato per caso, quasi per una sfida.
Come ha fatto Salvatore Aranzulla a diventare il marchio Aranzulla?
«Tutta colpa di mio cugino Giuseppe… È stato uno dei primi ad avere un computer, nel 2000. Mi prendeva in giro: ‘Io ce l’ho e tu non ce l’avrai mai’. Arrivata l’estate, i miei genitori volevano comprare un condizionatore ma io, appena vidi un computer, lo abbracciai e piansi finché non si convinsero a comprarmelo».
Una passione fin da piccolo.
«In realtà né io né i miei genitori sapevamo davvero cosa fosse un pc. Avevo 10 anni, dopo i compiti cercavo da autodidatta di capire come usarlo e risolvere i problemi che riscontravo. D’altra parte non potevo confrontarmi con altre persone».
Praticamente il primo utente di Aranzulla è stato… Aranzulla.
«Sì! Poi anche gli amici comprarono il loro pc e quindi chiedevano a me consigli e soluzioni. Mi resi conto che facevano quasi sempre le stesse domande (tipo: ‘come far funzionare la stampante’). Da qui l’idea di dare risposte per iscritto. Diventai uno ‘spacciatore di soluzioni cartacee’».
La svolta digitale?
«Nel 2002 Internet mi aprì un mondo. A 12 anni creai un primo spazio dove caricavo le risposte che davo agli amici. Una soluzione amatoriale: il blog era online solo se il pc era collegato a Internet. Una volta scomparve addirittura nel nulla, la connessione costava tanto e arrivò una bolletta pari al triplo dello stipendio di papà… che mi staccò il cavo. Poi ripresi a collegarmi di nascosto quando i miei andavano a fare la spesa. Ormai avevo capito il meccanismo e il sito continuava a crescere».
Di che cifre parliamo?
«Nel 2008, ogni mese 300mila italiani visitavano il mio sito».
Fu lì che pensò di farlo diventare il suo lavoro?
«Ebbi l’intuizione di inserire i banner pubblicitari accanto agli articoli gratuiti. Con i primi ricavi mi spostai a Milano. Volevo capire come trasformare la mia passione in un’impresa».
Quindi non ha una formazione da informatico?
«No, ho studiato Economia aziendale e management alla Bocconi. L’affitto e la retta universitaria erano pagati con i guadagni del sito. Il mio metodo era (ed è) il ‘sistema dei titoli’: dalle ricerche online degli utenti si individua l’argomento su cui scrivere un articolo. E aranzulla.it ebbe un boom che continua oggi».
Tradotto in numeri?
«Oggi il sito ospita oltre 10mila articoli ed è visitato da 700mila italiani al giorno. Ma la filosofia è la stessa di quando avevo 12 anni: sono come l’amico che cerca di dare soluzioni semplici ai problemi».
E infatti ci mette il nome e la faccia. Però ormai Aranzulla è un’impresa, non più l’hobby di un ragazzino.
«Fatturiamo 3 milioni. Ho 10 collaboratori esterni, sulla parte editoriale e su quella tecnica».
Ci sono domande ricorrenti?
«In realtà cambiano spesso, per esempio in base all’età degli utenti. Le esigenze sono molto semplici: ‘come scaricare musica’, ‘come si installa un antivirus’, ‘come si configura Facebook sul cellulare’. E poi, fino a qualche anno fa il 90% delle risposte riguardava il pc; oggi invece sono quasi tutte relative ai telefonini».
Il successo attira però anche invidie e critiche. Sa di avere molti detrattori?
«Io sono un imprenditore e un divulgatore, non un informatico o un programmatore. È una questione di target: chi mi critica è un addetto ai lavori e non ha naturalmente bisogno dei miei consigli».
Come chi ha persino cancellato la voce ‘Salvatore Aranzulla’ dalla Wikipedia italiana?
«Forse è gente che non ha altro da fare: le discussioni online per decidere la mia esclusione sono molto più lunghe di tutti i libri che ho scritto io in dieci anni. A me non interessa, basterebbero anche solo due righe: ‘Salvatore Aranzulla è un imprenditore nato il 24 febbraio 1990, proprietario del sito aranzulla.it’».


La ‘censura’ di Wikipedia (ma solo in Italia)
Nel maggio del 2016, Aranzulla si è trovato al centro di una polemica su Internet. La comunità italiana di Wikipedia, dopo lunghe discussioni online, ha deciso di eliminare la voce ‘Salvatore Aranzulla’ dalla versione italiana dell’enciclopedia libera. Motivo del contendere: secondo i detrattori non è un divulgatore scientifico e, dunque, non soddisferebbe i cosiddetti ‘criteri di enciclopedicità’ richiesti da Wikipedia, una delle tre ragioni che possono portare alla cancellazione di una voce dalla piattaforma (le altre sono la forma di scrittura e il contenuto auto-celebrativo). 
La replica dell’esperto del web: «Sono rosiconi, non mi interessa. Sarebbe bastato scrivere che sono un imprenditore proprietario del sito aranzulla.it». Il paradosso è che invece esiste la voce a lui dedicata sulle versioni inglese, tedesca, lombarda e persino in latino dell’enciclopedia online.