martedì 22 febbraio 2011

Uomini d'honorem

A sud di Tunisi c'è anche la Libia. Oltre alla Tunisia, all'Egitto, all'Algeria. Anche nel paese del colonnello Gheddafi, la "scatola di sabbia" di coloniale memoria, sono scoppiate rivolte popolari represse nel sangue dal regime. Le vittime sono decine, centinaia, migliaia, ma l'Italia, che della Libia non è solo un vicino ma soprattutto partner commerciale, è tiepida nella condanna delle violenze. O meglio condanna la violenza ma auspica stabilità e inizialmente dichiara di non voler disturbare l'amico beduino. Con quell'amico gli affari sono importanti, vanno bene, sia quelli nostri con lui che i suoi da noi. La chiamano Realpolitik, realismo nelle relazioni internazionali, il fondamento di buona parte della diplomazia italiana. Lì ci sono i soldi, pazienza se i diritti umani e civili passano un po' in secondo piano. Anche le questioni geostrategiche contano più delle libertà civili. E infatti i rapporti italiani con Gheddafi sono amichevoli e cordiali. Poi lui ci aiuta a contrastare l'immigrazione nel Mediterraneo, vuoi mettere?
Che c'entra la Sicilia con la Libia, chiederà il lettore più avveduto. Beh, se non altro combacia quasi perfettamente con il golfo della Sirte... Attinenze geografiche (e attacco a Lampedusa nel 1986, e flussi migratori, e imprese petrolifere, e sparatorie contro i pescherecci mazaresi, e...) a parte, in realtà le vicende libiche fanno riflettere sui rapporti tra le due sponde del Mare Nostrum. Proprio nel pieno dei subbugli tunisini e delle manifestazioni per la "rivoluzione dei gelsomini" anche in Sicilia, è venuta fuori la notizia che l'università di Messina aveva deciso di conferire a Ben Ali una laurea honoris causa. Per aver promosso una società "solidale e democratica". Davvero, questa era la motivazione. Tutto è saltato, per fortuna, ma si è parlato di pressioni della Farnesina per diplomare il dittatore tunisino.
Il motto dell'ateneo di Messina è "Tradizione e cambiamento al centro del Mediterraneo". No comment.

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