sabato 21 maggio 2011

Ciao Giovanni (e Francesca, Vito, Rocco, Antonio)

Dieci anni fa l'attentato alle Torri Gemelle a New York è stato interpretato da tutti come uno spartiacque, un limite, il passaggio tra epoche, il biglietto d'ingresso molto salato al Ventunesimo secolo. Una tragedia, un evento di questa portata, un fatto eclatante, segna sempre la fine e contemporaneamente l'inizio di un'epoca, ma segna soprattutto le vite delle persone. Vorrei parlare qui del "mio 11 settembre", che in realtà è il 23 maggio. E non era il 2001, era il 1992.
Diciannove anni fa, non importa che fossi un bambino. Il 23 maggio 1992 è la mia data traumatica, il giorno che segna quel passaggio, il giorno in cui credo che sia nata la mia coscienza. Moriva Giovanni Falcone, con la moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. La strage di Capaci, anche se in realtà l'attentato è stato compiuto nel territorio di Isola delle Femmine. Per chi non è siciliano, per chi non è nato in una famiglia che ha sempre educato alla legalità e al rispetto delle regole e allo schifo per la mafia, forse non è comprensibile che la strage di Capaci io l'abbia vissuta peggio del crollo del World Trade Center. Ero un bambino e quella è stata la mia formazione. Quando poi ammazzarono Paolo Borsellino, mi chiedevo chi sarebbe stato il prossimo, perché mi sembrava che fosse scoppiata la guerra. La mia terra reagì, ma per troppo poco tempo. A Falcone (e Borsellino) sono state intitolate strade, piazze, scuole. Anche l'aeroporto di Punta Raisi, dove Falcone era atterrato da Roma dieci minuti prima dell'attentatuni, ora è l'aeroporto Falcone-Borsellino. Qualche anno dopo la strage, io sarei andato alla scuola media "Giovanni Falcone" di Modica.
Il 23 maggio 1992 era il giorno in cui mi sono confessato per la prima volta in chiesa. Ricordo che con mia madre e mia sorella tornammo a casa e trovammo mio padre senza parole davanti alla televisione. Quando ci ripenso, ho difficoltà a frenare la commozione, come tutte le volte che vedo le foto di Falcone o le sue interviste in cui parlava di "dovere". E penso dunque al dovere, al lavoro, all'azione della polizia, dei carabinieri, dei giudici. Ma anche al disimpegno della politica, ai depistaggi e ai segreti. All'ipocrisia istituzionale di ogni 23 maggio (e ogni 19 luglio, e ogni altro giorno in cui è morto qualcuno per lottare contro la mafia). Anniversari, parole, ricordi vaghi e poi cosa rimane? Un pezzetto di guard-rail tinto di rosso vicino allo svincolo di Capaci è stato per tanto tempo l'unico segnale che lì c'era stata una strage orribile. Mi è capitato di passarci quando ancora non c'erano lapidi né fiori e l'aeroporto era solo Punta Raisi. Come se nessuno volesse ammettere che lì, in quel tratto della A29 Palermo-Mazara del Vallo, non era morto solo un giudice con la moglie e la scorta.

P.S. Avrei potuto e forse dovuto ricordare quel giorno tragico con un'immagine della devastazione allo svincolo di Capaci. Ho preferito le foto di Falcone da vivo. Sennò mi metto a piangere davvero.

Giovanni Falcone (1939-1992)

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