sabato 27 agosto 2011

Libero non è il nome, ma l'aggettivo

Chi era Libero Grassi?
Rispondere a questa domanda potrebbe aver contribuito a farmi superare l'esame di ammissione alla scuola di giornalismo Tobagi di Milano. Non è orgoglio personale o chissà quale vanto. La risposta peraltro era semplice e stringata: "un imprenditore ucciso dalla mafia a Palermo nel 1991". Aggiungevo però "dimenticato da molti" e "abbandonato nella sua battaglia". Ecco, è l'obbligo del ricordo che conta. Quella su Libero Grassi era una delle tante domande di quel colloquio, una delle tante sulla mafia.
La "lapide di carta"
Chi era Libero Grassi? Libero Grassi era nato a Catania ma la sua famiglia si trasferisce a Palermo quando lui ha otto anni. Libero, un nome non casuale. Famiglia antifascista e un nome in memoria del sacrificio di Giacomo Matteotti. Un aggettivo più che un nome, diceva lui stesso: libero, più che Libero. E allora la libertà è la cifra della sua vita; libertà nel rispetto delle regole e nell'onestà. Non racconterò qui la biografia di Libero Grassi, la storia della sua vita, purtroppo devo parlare della sua morte (ma invito a leggere la biografia sul sito dell'Istituto Tecnico Commerciale a lui intitolato a Palermo).
Libero è un imprenditore del settore tessile e dagli anni Ottanta iniziano i problemi con la mafia. Libero è onesto, coerente e libero: non paga, non pagherà mai il pizzo. E lo dice chiaramente agli stessi estorsori. Le richieste e le minacce sono tante, però. Libero Grassi è solo nella sua Palermo, uno dei pochi che non si piegano al racket, appunto "abbandonato nella sua battaglia". Palermo, la Sicilia, l'Italia intera cominciano a conoscere Libero e il suo "no al pizzo" il 10 gennaio 1991.
Sul Giornale di Sicilia viene pubblicata una lettera di Grassi, indirizzata al "caro estortore":
«...volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l'acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere... Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al "Geometra Anzalone" e diremo no a tutti quelli come lui»
Senza il coraggio, l'onestà e la dignità dell'uomo libero/Libero non ci sarebbero oggi i ragazzi di Addiopizzo, «la realtà che contrasta Cosa Nostra senza retoriche, senza pretendere finanziamenti pubblici, convinti che le loro azioni costruiscono un futuro vivibile, un futuro etico a favore della società; che studia, lavora, produce reddito, che finalmente è riconosciuta dallo Stato che ci piace». Parola di Pina Maisano, vedova di Libero Grassi. Dopo quella lettera, un improvviso interesse per Grassi si anima in tutto il Paese e non solo. Grazie alle interviste che rilascia, soprattutto quella su Rai3 nella Samarcanda di Santoro (11 aprile 1991), Libero Grassi diventa un simbolo nazionale della lotta civile contro la mafia. Ma quanto dura? Quant'è vera la preoccupazione delle istituzioni? La storia si ripete troppo spesso e Libero Grassi rimane "abbandonato" anche dopo quel breve periodo di ipocrita interesse pubblico. Ipocrita perché nessuno, nella politica e nelle istituzioni, fece qualcosa per proteggere Libero Grassi e per estendere la sua lotta alla mafia.
L'imprenditore aveva rifiutato la scorta personale ma aveva chiesto protezione per gli stabilimenti della sua azienda, la SIGMA. Invece alle 7.30 del 29 agosto del 1991 Libero era solo e senza protezione, quando fu ucciso dalla mafia (condannati, tra gli altri, Totò Riina, Bernardo Provenzano e Giuseppe Piddu Madonia). L'indignazione cominciò a esserci, forse più a livello nazionale ed europeo. Il giorno dopo la morte, il Corriere della Sera pubblicò un'altra lettera di Grassi. Lì denunciava le associazioni imprenditoriali che non si impegnavano contro il pizzo. Ivan Lo Bello in effetti doveva ancora arrivare... Ma ce n'era anche per alcune decisioni della magistratura e delle istituzioni. Le istituzioni si ricordarono di lui con la medaglia d'oro al valor civile conferita il 14 febbraio 1992. Cinque mesi e mezzo dopo.
Invece meno di un mese dopo l'omicidio, il 26 settembre 1991, Michele Santoro e Maurizio Costanzo conducono su Rai3 e Canale5 una puntata congiunta dei rispettivi programmi, dedicata a Libero Grassi e all'antimafia. Io non ricordo molto della morte di Grassi, ma quella trasmissione la ricordo. La ricordavo anche prima delle repliche e delle riproposizioni televisive degli ultimi anni: la trasmissione (mi sono sempre chiesto se Rita dalla Chiesa si sia mai rivista in quelle immagini, ndr) è quella ormai famosa in cui un allora giovane e democristiano Totò Cuffaro attaccava "certa magistratura". Giovanni Falcone era sul palco, ma pare non ce l'avesse con lui.

mercoledì 24 agosto 2011

I tempi stanno per Zambiare

Lo Zambia, già Rhodesia del Nord, è uno Stato dell'Africa australe, conosciuto soprattutto per le meravigliose cascate Vittoria. Un Paese povero, o meglio con accentuata sperequazione nella distribuzione della ricchezza. Un Paese con basso indice di sviluppo umano (Hdi), nonostante un buon tasso di alfabetizzazione: sono purtroppo alte la mortalità infantile e l'incidenza dell'Hiv/Aids. Nella classifica di Transparency International per il 2010, lo Zambia è alla 101esima posizione (punteggio 3,0), cioè è un Paese piuttosto corrotto, anche se la situazione è migliorata negli ultimi anni, durante i quali, tra l'altro, l'economia nazionale è cresciuta molto.
La domanda è legittima: che c'entra questa divagazione enciclopedica con un blog sulla Sicilia? C'entra, c'entra. L'Italia è messa sicuramente meglio dello Zambia. Crisi a parte, gli indicatori dello sviluppo sono migliori di quelli africani, non c'è dubbio. Certo, se lo Zambia fa 3, noi non arriviamo a 4: il punteggio italiano nella classifica dei Paesi corrotti è 3,9 (67esima posizione). C'è però qualcosa che fino a oggi ci rendeva più arretrati dello Zambia.
Cristina Fazzi, 46 anni, è un medico di Enna. Da anni lavora in Africa, è un medico missionario a Ndola, nella regione zambiana del Copperbelt, la "cintura di rame" al confine con la "mia" Repubblica Democratica del Congo. Un medico single e presidente dell'organizzazione umanitaria Twafwane Association. Ha in affido legalmente cinque bambini in Zambia. Legalmente, non stiamo parlando di Madonna che preleva arbitrariamente bambini in Malawi. Ora il Tribunale dei minori di Caltanissetta (giudici Piergiorgio Ferreri e Francesco Pallini) ha recepito la sentenza di una corte zambiana e riconosce la dottoressa Fazzi come madre adottiva di uno dei bambini, Joseph, sette anni (qui il testo della sentenza). Joseph Maboshe, nato a Miengwe Masaiti, è orfano di entrambi i genitori (la mamma è morta di parto) e dal 2004 è in affido a Cristina Fazzi, che ha visto riconosciuta l'adozione in Zambia nel 2008. Gli altri quattro bimbi rimangono in affido a Cristina in qualità di presidente dell'associazione: non sono adottabili, ma l'istituto dell'affido, in Zambia, dura fino ai 19 anni.
A sud di Tunisi ha raccolto la soddisfazione e la felicità di Cristina Fazzi:
«Io vivo in Zambia da 12 anni ed essendo residente all'estero ho potuto adottare anche se single (perché in Zambia è consentito... e persino come adozione piena) e poi chiedere il riconoscimento. In Italia la legge c'è da tantissimi anni ma praticamente credo che sia la prima volta che viene applicata, considerato lo scalpore che ha suscitato la notizia. Certo, mi aspettavo che la notizia avrebbe destato un po' di curiosità... ma non fino a questo punto. Spero proprio che questa legge cominci ad essere applicata più spesso e, con un pizzico di orgoglio, sono proprio contenta che una sentenza così "moderna" sia stata pronunciata da un tribunale siciliano».
Forse solo chi in Africa c'è stato (e io ci sono rimasto solo pochi mesi...) può capire cosa significhi vedere bambini soli e sofferenti. La comprensibile ma a tratti ipocrita emotività delle immagini televisive spiega poco. Cristina Fazzi è una madre single. Cristina Fazzi è una madre. Questo conta, Joseph è suo figlio, e il riconoscimento di un tribunale italiano sicuramente nulla aggiunge all'amore e all'affetto di una madre. Però è una sentenza che finalmente potrebbe renderci a pieno titolo un membro di quel cosiddetto mondo civile. Mondo civile nel quale non meriteremmo di stare finché saremo così arretrati in materia di adozioni e affidamento dei minori.
Tanto ci sarà sempre qualcuno che metterà in dubbio l'opportunità di dare un bambino in adozione a una donna non sposata. Si dirà che la priorità è il bene del bambino, che deve avere un padre e una madre. Nel caso specifico, siccome in Africa ci sono stato, immagino – sono cattivo?  che la priorità vera sia quella di mantenere orfanotrofi e istituti di accoglienza, ai quali è facile far arrivare fondi di sostegno e offerte per le cosiddette adozioni a distanza. Ma, ripeto, penso male.
Sei mesi fa la Cassazione aveva invitato il Parlamento ad aprire, in casi limitati, all'adozione per i single. Come spesso accade, non se la prendano cardinali e prelati, è la legge stessa che lo prevede. Secondo l'interpretazione corrente della Suprema Corte, la Convenzione europea sull'adozione dei minori, firmata a Strasburgo nel 1967, non preclude esplicitamente ai single la possibilità di adottare un minore. Naturalmente ciascun caso va trattato singolarmente secondo le proprie caratteristiche: è per questo che esistono giudici e tribunali. L'adozione di Joseph è stata riconosciuta anche in Italia per la "constatata impossibilità di affidamento preadottivo" e per il "preesistente rapporto stabile e duraturo fra minore e adottante, quando il minore sia orfano di padre e di madre", come recita la legge 184/1983 (art. 44). Una legge che permette di concedere l'adozione ai single in casi particolari, appunto.
La sentenza di Caltanissetta potrebbe diventare un importante precedente. Intanto Joseph ha una mamma.

domenica 21 agosto 2011

Tra le celle dei francescani e quelle dei detenuti

Oggi sono riuscito finalmente a visitare l'ex chiesa-convento di Santa Maria del Gesù a Modica Alta e vedere il meraviglioso chiostro. Da questo pomeriggio anche io mi aggiungo alla lista dei modicani  e non solo, a giudicare dal libro dei visitatori  che dopo decenni hanno potuto godere di questo capolavoro dell'architettura e dell'arte sacra. Il monumento nazionale si trova in via Don Bosco, 43 ed è aperto al pubblico il sabato e la domenica, ore 10-13 e 17-20.
Certo, le foto non possono spiegare due sentimenti particolari del momento: il silenzio che fa ripiombare nell'atmosfera della clausura monastica e la sensazione strana di trovarsi a pochi metri dai detenuti della casa circondariale di Modica. Mentre passeggiavo incredulo per il chiostro e per la loggia e nella chiesa, lì accanto c'erano anche i ragazzi che ho conosciuto e con cui ho lavorato. Il chiostro avrei potuto vederlo quando lavoravo in carcere, e invece l'ho visto ora che sono "fuori".



giovedì 18 agosto 2011

Ad ovest di Paperoga

In una memorabile storia Disney disegnata dal grande Giorgio Cavazzano, Paperino e il cugino maldestro Paperoga sono allenatori di una scarsissima squadra di calcio. Dopo l'ennesima sconfitta, Paperoga promette che alla partita successiva la squadra farà risultato. Finirà 7-0. Un giornalista chiede allora (nei fumetti i colleghi fanno sempre domande scomode, ndr): «Mister, ma aveva detto che avreste fatto finalmente risultato». Paperoga, il papero yoga, non si scompone: «Beh, anche 7-0 è un risultato».
Parafrasando il maestro Paperoga, anche lo 0% è una percentuale. Lo zero per cento (zero, non zero-virgola-qualcosa) sarebbe la percentuale di introiti fiscali siciliani che contribuiscono alla spesa pubblica nazionale. Questo dice il dottor Franco Manzato, assessore leghista all’Agricoltura della regione Veneto. Una premessa doverosa, che non è una lavata di mano pilatesca: io di economia e finanza non sono un esperto. Non azzarderò quindi commenti tecnici su queste materie, però ammetto che lo 0% mi sembra una cifra davvero strana. La mia regione, lo so benissimo, è terra di sprechi, disservizi, burocrazia e sperpero di denaro pubblico. I primi a rimetterci, e lo dico anche all’assessore veneto, sono i cittadini siciliani; su di loro – cioè anche su di me che vivo in terre padane – gravano le spese assurde per mantenere un apparato amministrativo e burocratico regionale totalmente insensato. È innegabile che in Sicilia (ma anche nelle altre regioni del centro-sud e nelle altre a statuto speciale) le voci di spesa superino le entrate fiscali. Tutto confermato dai dati statistici ufficiali e certificato dall'indignazione degli stessi siciliani. Magari non tutti, ma qualche siciliano è "incazzatissimo" tanto quanto Manzato…
Io non so davvero come sia calcolato quello zero per cento. Il paradosso è che questa percentuale sarebbe corretta se venisse attuata un’interpretazione ultra-autonomista dello Statuto, per la quale la totalità delle imposte riscosse in Sicilia dovrebbe rimanere sul territorio regionale, mentre lo Stato italiano – secondo l'art. 38 – dovrebbe fornire annualmente una somma da impiegare nella realizzazione di lavori pubblici. Su questo si giocano molti dei conflitti tra lo Stato e la Regione Siciliana, perché l’articolo prevede una sorta di piano quinquennale e invece alla Sicilia arriverebbe solo una somma forfettaria.

martedì 16 agosto 2011

Dica trentatré

Due province e trentuno comuni. Totale 33 (trentatré) amministrazioni a rischio di taglio, scomparsa, accorpamento, riordino. Insomma, trentatré sono gli enti territoriali siciliani da tagliare secondo la manovra finanziaria del ministro Tremonti. Concedetemi un po' di forzata ingenuità: trovo perlomeno curioso che nell'arco di un mese si sia passati dalle barricate contro l'abolizione delle province al risveglio delle coscienze e alla necessità di tagliare province e comuni che non rispondono più a certi criteri (se mai vi hanno risposto...). Ma la mia ingenuità è appunto forzata.
Dicevamo trentatré. Le due province a rischio sono Enna e Caltanissetta. Fin qui nulla di nuovo. Entrambe sono sotto le soglie di 300 mila abitanti e 3.000 chilometri quadrati di estensione. I comuni andranno distribuiti tra le province vicine, oppure ci sarà l'accorpamento. E intanto però è a uno stadio avanzato la proposta di creare la provincia di Gela. Duecento anni fa, la provincia nissena comprendeva il 40% del territorio dell'allora Castrogiovanni (cioè la stessa Enna). Prima ancora che Tremonti e il Cdm varassero la manovra, in realtà l'accorpamento Enna-Caltanissetta era stato già ipotizzato alla fine di luglio da Giuseppe Castiglione, presidente della provincia di Catania e dell'Upi (Unione delle Province Italiane). E oltre a questa coppia, Castiglione proponeva pure l'accorpamento tra Ragusa e Siracusa; però queste due soddisfano quei famosi criteri di popolazione e/o estensione territoriale. La reazione congiunta dei presidenti di queste quattro province è stata improntata alla prevedibile difesa d'ufficio degli enti in questione, più qualche provocazione. Della serie: allora perché non fare due macro-province, Sicilia occidentale e Sicilia orientale, oppure abolire la Regione? Tutto ciò in Sicilia, dove il presidente Lombardo insiste - finora a parole - sull'abolizione integrale delle province, ma anche dove lo status di autonomia funge da pretesto per impugnare decisioni romane. Come del resto fanno la Sardegna o il Friuli-Venezia Giulia.

venerdì 12 agosto 2011

Happy birthday, Mr. Balotelli

Con Roberto Mancini
al Manchester City

La prima volta che ne ho sentito parlare non avevo capito bene. Era un servizio di Studio Sport e Antonio Bartolomucci parlava di questo promettente e potente attaccante della Primavera dell'Inter, un ragazzo di origine ghanese. Io, chissà perché, avevo capito "gallese". Era il 19 novembre 2007 e si diceva che poteva "far sorridere" sentire un ragazzo di colore parlare in perfetto dialetto bresciano. Non c'è nulla da fare, quando c'è di mezzo Mario Balotelli, nato Barwuah, l'equivoco o il misunderstanding (in omaggio alla sua attuale esperienza inglese) è sempre in agguato.
Io ho scoperto Mario ancora prima che "esplodesse", grazie al lavoro che dovevo fare per la mia tesi di laurea specialistica. «Black Italians e Bleus Noirs: dall'interdizione razziale all'integrazione dei calciatori di colore italiani e francesi»: una tesi in antropologia culturale sul calcio. Strano, ma vero. Per questo motivo, ho seguito Mario Balotelli via via che diventava sempre più noto, per i risultati sportivi e per le sceneggiate dentro e fuori dal campo - che stranamente sono aumentate dopo la mia laurea... Di Balotelli, e soprattutto del suo carattere, tanto si è detto e si continuerà a dire e scrivere. Non è uno sport che mi interessa. So soltanto che la sua figura è importante nel contesto di cui parlavo nella tesi: lui è adesso uno dei più famosi Black Italians nel mondo dello sport e della società. Con buona pace di quelli che hanno la faccia tosta di dire che con i loro slogan tipo "Non ci sono negri italiani" vogliono solo criticare i suoi modi antipatici e arroganti. Gli stessi modi che, tra l'altro, finiscono per giustificare le pedate di Totti.
Angelo Ogbonna, Mario Balotelli, Stefano Okaka. Italiani
Mario Barwuah è nato il 12 agosto 1990, ventuno anni fa, a Palermo. I genitori ghanesi lo hanno abbandonato in ospedale: aveva problemi di salute e a due anni è stato dato in affido alla famiglia bresciana dei Balotelli. Un affido che non si è mai tramutato in adozione, "grazie" alle arretratissime leggi italiane sull'adozione e sulla cittadinanza. La sua famiglia sono i Balotelli, non i Barwuah, eppure solo dopo i diciotto anni ha potuto finalmente utilizzare sui documenti il nome dei parenti che lo hanno accolto e cresciuto.
Parte del lavoro della mia tesi consisteva nell'analisi della stampa sportiva e di come questa trattava la presenza di "italiani neri" nel calcio. Allora non avevo ancora deciso di intraprendere la strada del giornalismo e non risparmiavo critiche a un certo linguaggio "disinvolto". Le critiche le risparmio ancora meno adesso che in quel mondo ci sono entrato pure io, comunque. Trovavo assurdo che qualche organo di stampa siciliano fosse fissato con la nascita palermitana di SuperMario. Su un supplemento de La Sicilia, Mariella Caruso ha scritto il 16 marzo 2008 che Mario ha "sangue africano, anima siciliana". Per la tesi ho intervistato la sorella di Balotelli. Che si chiama Cristina e non Abigail Barwuah, è una brava giornalista di Radio 24 e non una ragazza in cerca di notorietà come "la sorella di uno famoso". Cristina Balotelli così mi ha risposto sul tentativo di assegnare a Mario una patente di sicilianità:
«Può sembrare paradossale il fatto che si insista molto su una presunta "appartenenza a Palermo" di Mario per il solo fatto che è nato in quella città. Come dimostra anche il suo accento, Mario è cresciuto a Brescia e di Palermo ricorda ben poco perché era troppo piccolo. Se ha un certo legame con una città, questa è senz'altro Brescia»
Faccio gli auguri di buon compleanno a Mario Balotelli, non più Barwuah. E pazienza se non è siciliano come me. Mi basta che sia italiano, come me.

martedì 9 agosto 2011

Il vecchio che avanza

E poi se la prendono con i "professionisti dell'antimafia"... La lotta alla criminalità organizzata non si fa solo con gli arresti, comunque fondamentali. Il ministero dell'Interno fa pure bene a leggere le liste dei latitanti arrestati e dei successi delle operazioni di polizia e giudiziarie, però – come dicono proprio quei "professionisti" – bisogna anche e soprattutto "aggredire i patrimoni dei mafiosi". D'altra parte, in un paese come l'Italia che ha faticato e fatica troppo ad ammettere persino l'esistenza della mafia (o delle mafie), occorre un corpus legislativo chiaro e netto. Nel 1998 si era finalmente iniziato a pensare a un unico testo di legge che riunisse tutte le normative disorganiche e scoordinate. Leggi e norme che, nella migliore tradizione italiana, erano emanate solo dopo gravi fatti di sangue, in ossequio alla logica dell'emergenza. Nel '98 si era dunque riunita una commissione al ministero della Giustizia, ma il suo lavoro è stato interrotto due anni dopo e solo la settimana scorsa si è arrivati all'approvazione di un cosiddetto codice antimafia.
Cosiddetto perché di critiche questo codice se ne è prese tante, anche prima dell'approvazione. Critiche arrivate non solo da parte della magistratura (conosco l'obiezione, "le solite toghe rosse") o dalle associazioni antimafia, a partire dal Centro Pio La Torre, ma anche da alcuni settori politici. E non si tratta di semplice contrapposizione partitica. L'assessore siciliano all'Economia, Gaetano Armao, attacca il provvedimento e ancora una volta il terreno di scontro è sull'attribuzione delle competenze tra Stato e Regione. Assessore all'Economia, dicevamo, e infatti Armao chiarisce quanto sia importante il piano economico nella lotta alla mafia. Il problema di questo nuovo codice è la sostanziale emarginazione delle regioni e degli altri enti locali nell'assegnazione dei beni confiscati. Il 45% del patrimonio confiscato è in Sicilia e deriva soprattutto dal pizzo, ma il codice prevede che i beni rimangano allo Stato e non siano restituiti alle regioni. Con risvolti paradossali, come nel caso degli assessorati alle Attività produttive e ai Beni culturali, ospitati in immobili confiscati ma per i quali la Regione paga un affitto. La Sicilia lo dice da tempo, il presidente della Conferenza delle Regioni, il governatore dell'Emilia-Romagna Vasco Errani, ha segnalato alle commissioni alle Camere le censure al testo ma senza esito.
Lo Statuto autonomista del 1948, la "costituzione" siciliana, prevede all'articolo 33 (comma 1) che «sono [...] assegnati alla Regione e costituiscono il suo patrimonio, i beni dello Stato oggi esistenti nel territorio della Regione e che non sono della specie di quelli indicati nell'articolo precedente», cioè che non interessino la Difesa e altri servizi di carattere nazionale. Ecco perché Armao annuncia il ricorso alla Corte Costituzionale contro l'illegittimità del codice antimafia.
È, o almeno sembra, tutto fermo al testo bloccato nel 2000. Sembra quasi che la mafia non sia cambiata. Manca per esempio l'ipotesi di autoriciclaggio, per cui non si può incriminare un mafioso che ricicla il suo denaro "sporco", ma solo i suoi complici. Così come non c'è il recepimento della direttiva comunitaria che prevede l’obbligo di confiscare in qualsiasi Paese membro dell’Unione Europea beni derivanti da crimini commesse anche in altri Paesi. Sulla base del principio di reciprocità, tra l'altro, alcuni Stati hanno spesso rifiutato di eseguire nel loro territorio la confisca di beni di organizzazioni mafiose italiane.
Un codice nuovo di zecca, ma nato già vecchio.

domenica 7 agosto 2011

Falso Maltese

Non so se una scena del genere sia mai stata immortalata in un legal drama in tv. Io ci avrei girato almeno un cortometraggio. Titolo suggerito: "Sorridete, Vostro Onore". Andiamo con ordine.
Un anno fa un pescatore siciliano, il catanese Enzo Micci, 54 anni, ha preso in affitto un appartamento a Birżebbuġa, piccola località turistica non lontana dalla Valletta. Siamo dunque a Malta. A causa di problemi di salute, Micci ha lasciato "il pozzo degli olivi" (questo l'evocativo significato del nome della cittadina) per tornare in Sicilia. L'appartamento è rimasto vuoto per diversi mesi e il proprietario, risentito per non aver visto neanche una lira, pardon un euro di affitto, ha forzato la porta qualche giorno fa e ha trovato 7.000 euro in contanti che chiedevano solo di essere presi. Il padrone di casa va in banca per depositarli, pensando di comprarsi un'auto. E qui arriva la sorpresa. Già è un po' strano che uno lasci in giro così tanti soldi in contanti, in più lo sportellista della banca si rende conto che i 7.000 euro sono falsi e chiama la polizia.
Tutto ciò viene raccontato in un'aula di tribunale. Il giudice Gabriella Vella, l'ispettore di polizia Ian Abdilla e lo stesso avvocato di difesa José Herrera a questo punto si mettono a sorridere. La scena fa sorridere, in effetti. Il difensore di Micci parla di un "caso curioso" e però sostiene che agli stranieri non è sempre garantito un giusto trattamento: o confessano per abbreviare i tempi del processo e cavarsela con poco, oppure rimangono in carcere perché respingono le accuse. Herrera ha chiesto la libertà su cauzione per il pescatore catanese, anche perché «tenendo conto che la Sicilia è praticamente un'estensione di Malta in virtù dell'appartenenza all'Unione Europea, Micci sarebbe facilmente rintracciato se decidesse di lasciare l'isola». Complimenti all'avvocato, non avevo mai sentito spiegare il trattato di Schengen con un esempio così concreto. E comunque, miracoli del relativismo: la Sicilia è un'estensione di Malta!
Il giudice alla fine ha accordato la libertà su cauzione a Micci, 2.000 euro subito e una garanzia personale di altri 10.000 euro. L'arringa "europeista" di Herrera però non è stata accolta: il 54enne siciliano non potrà lasciare l'Isola dei Cavalieri fino alla fine del processo. La corte ha pure deciso che dovrà soggiornare al Sea Breeze Hotel di Birżebbuġa. Un onesto tre stelle a conduzione familiare sulla spiaggia di Pretty Bay.
Per un po' di tempo Micci respirerà la brezza di mare sulla baia graziosa nel pozzo degli olivi.

giovedì 4 agosto 2011

A sud di Thun

Tra Palermo e Thun ci sono 1.400 chilometri in auto. Il capoluogo siciliano e la cittadina svizzera sull'omonimo lago non sono proprio vicini. Le strade tra le due città si erano sfiorate probabilmente soltanto nel 2007, quando l'elvetico-serbo Zdravko Kuzmanović, nato proprio a Thun, era stato accostato al Palermo. Parliamo di calcio, dunque.
Partendo dalla città vicina a Berna bastano invece 600 chilometri per arrivare a Parigi. Nella capitale francese ha ormai deciso di stabilirsi Javier Pastore, il gioiellino argentino che con la maglia del Palermo aveva deliziato i tifosi non solo rosanero. Al PSG (Paris Saint-Germain), Pastore ha trovato l'ambiente ideale, sotto forma di proprietà qatariota pronta a sborsare 42 milioni di euro per accontentare i desideri di Leonardo. Il patron del Palermo, Maurizio Zamparini, discutibile per i suoi rapporti storicamente burrascosi con gli allenatori ma uomo d'affari e imprenditore furbo e capace, ha avuto la fortuna di scovare e lanciare, grazie ai direttori sportivi, talenti presi per poco e rivenduti a peso d'oro. Le chiamano plusvalenze. E in Francia già si chiedono se El Flaco valga tutti i soldi spesi per portarlo al Parc des Princes. Ma a Palermo e ovunque ci siano tifosi e simpatizzanti rosanero si spera che l'israeliano Eran Zahavi non sia "oro" solo perché questo è il significato del suo nome in ebraico...
Insieme a Pastore, dalla Favorita in direzione XVI arrondissement è partito anche il portiere-rivelazione Salvatore Sirigu. Soldi in cassa, anche se la vera preoccupazione di Zamparini rimane la costruzione di un nuovo stadio (leggi qui). Eppure, finalmente per la prima volta dopo tanti anni, al presidente friulano sembra interessare che il Palermo faccia una bella figura in Europa.
Lo spartiacque era proprio Thun. La squadra ora allenata da Stefano Pioli, qualificatasi in Europa League (l'ex Coppa Uefa) grazie alla finale di Coppa Italia, forse non è ancora ben rodata o non ha saputo reagire alle cessioni importanti. E infatti all'andata alla Favorita è finita 2-2, con un Palermo salvato solo dal capitano Miccoli e da uno dei tanti sloveni, Iličić. In Svizzera oggi altro pareggio, 1-1, ed eliminazione. Ci voleva la vittoria (magari il 2-0 profetizzato da Zamparini), sul campo in sintetico dell'Arena Thun, per andare avanti e forse garantire a Pioli un minimo di serenità. I soliti bookmakers inglesi già lo danno come il primo a "saltare" tra le panchine di serie A.