domenica 25 settembre 2011

Pimiento Querido

Per ogni siciliano, Carrapipi è un luogo mitico, proverbiale. Nella realtà è un paesino della provincia di Enna, Valguarnera Caropepe, 8 mila abitanti. Ma nell'immaginario collettivo è un luogo sperduto, imprecisato, mai troppo ben definito. Esistono gruppi su Facebook "x tutti qll ke nn sapevano ke CARRAPIPI esiste davvero!" (cito testualmente) e tante volte il nome del paesino è diventato commedia o farsa. Nel film I due crociati, Franco Franchi era il caporale di ventura Franco di Carrapipi. E nel capolavoro di Nino Martoglio L'aria del continente, don Cola Duscio scopre con rammarico e disillusione che la sua "continentale" Milla Milord si chiama invece Concetta Cafiso: «Signuri mei, carrapipana!… 'A cuntinintali, 'a rumagnola, era di Carrapipi!».
Ricordo un ferragosto di molti anni fa con i miei e mia sorella. Eravamo andati a fare una scampagnata nei dintorni di Piazza Armerina. Dopo pranzo la curiosità ci ha spinti a fare una piccola deviazione: ma sì, il caffè andiamo a prenderlo a Carrap… ehm, Valguarnera. Volevamo prenderlo lì, giusto per dare un tocco "esotico" alla nostra gitarella. Macché, neanche un bar aperto. Era ferragosto, per carità, nulla di scandaloso, ma ci sembrò un particolare significativo.
I proprietari della Giudice Collezioni
Ecco, noi non trovammo un bar per prendere un caffè, invece il Real Madrid ci trova addirittura una sartoria che si occuperà di fornire i completi di rappresentanza ufficiali. Non c'entrano dunque le divise di gioco bianche del Real, soprannominato merengues, le meringhe, proprio per il colore della maglia. Si tratta di pantaloni e giacche eleganti che verranno indossati da Cristiano Ronaldo, Kakà e compagnia, e arriveranno dritti dritti al Bernabeu dalla Giudice Collezioni di Valguarnera. Tra giocatori, dirigenti e staff tecnico, 150 abiti confezionati su misura, pure per il settore basket. Due soci della ditta, Domenico Scribano e Giovanni Zuccalà, sono stati due volte a Madrid insieme al sarto Salvatore De Francisca per prendere le misure. Made in Italy, made in Carrapipi. Com'era ovvio, il modaiolo José Mourinho ha detto la sua sullo stile, i bottoni, i risvolti dei pantaloni, il colore, il tessuto. Però lo Special One non ha avuto nulla da dire sulla bravura e la qualità del lavoro della ditta siciliana, a cui evidentemente non mancano i tituli.
Da quando si è sparsa la notizia, i centralini della ditta sono andati in tilt. Prevedibile, ora che la Giudice Collezioni figurerà tra i fornitori ufficiali del Real. La ditta ha preso il posto della spagnola Pedro de Hierro, che invece finora aveva fornito le divise gratuitamente.
Ripensando ai bar chiusi a Caropepe, beh, nessun problema. Tanto in Spagna il caffè lo bevono con leche, con il latte. E magari lo accompagnano con due merengues.

giovedì 22 settembre 2011

Il brusco risveglio dopo una profonda fase R.E.M.


Quando alla scuola di giornalismo "Walter Tobagi" ci hanno chiesto di scrivere qualche riga di auto-presentazione, io ho concluso la mia con questa frase:
Se riuscissi a occuparmi per lavoro delle mie passioni e dei miei interessi – compresi il Milan e i R.E.M. – sarei un giornalista molto contento
Ieri sera ero allo stadio a vedere il Milan e non bastava che la mia squadra stesse perdendo, no, doveva pure arrivarmi un sms che mi avvertiva dello scioglimento dei R.E.M., la mia band preferita. Anzi, preferita non è neanche il termine giusto: in realtà non è stato ancora coniato un aggettivo adatto a descrivere il mio amore per quella band.
Diciamo che in un certo senso non mi sono stupito troppo (però per qualche minuto sono rimasto senza parole a fissare il prato verde di San Siro...), un po' me l'aspettavo. Cioè, prima o poi sarebbe dovuto succedere, ma non credevo così presto. Eppure quando è uscito Collapse into Now, l'ultimo disco del marzo 2011, avevo pensato che qualcosa, nella meravigliosa macchina chiamata R.E.M., si fosse già rotto da tempo. Io gli Ateniesi della Georgia (né greci, né caucasici, solo americani, cioè statunitensi) li ho apprezzati sempre, anche nei momenti meno brillanti, ma è inevitabile che in più di trent'anni di carriera si incappi pure in qualche passo falso. Però sono stati un grandissimo gruppo, tra i pochi che possono vantare una vera gavetta e che non si sono mai montati la testa dopo il successo. Kurt Cobain li invidiava per come erano risuciti a gestire la fama e la pressione dello show business.
Cosa resta della chiesa di Oconee St.
Un gruppo nato il 5 aprile 1980 durante una festa di compleanno (thanks, Kathleen O'Brien) in una chiesa sconsacrata, la St. Mary's Episcopal in Oconee Street, Athens, Georgia, Stati Uniti d'America. Un gruppo che suonava pure negli strip club, davanti a una quarantina di persone. Un gruppo che si faceva in pulmino tutte le strade del sud più profondo. Un gruppo che è arrivato al successo planetario con una canzone costruita sul mandolino. Un gruppo politico, politicizzato, impegnato. Un gruppo che ha insegnato a un Paese miope che il Centro America non è solo il Nebraska. Un gruppo, un grande gruppo, soprattutto un bel gruppo di amici e musicisti. Un gruppo che poteva sciogliersi molti anni fa, quando si ritirò il batterista Bill Berry. E invece il gruppo è andato avanti, anche tra difficoltà e incertezze. Adesso, intelligenti come pochi altri, hanno capito che la vena creativa non era più quella di una volta e quindi hanno salutato con modestia e discrezione.
Insomma, di cose da dire ce ne sarebbero davvero tante, ma non voglio mettermi qui a fare il fan enciclopedico. Li amo e basta. Per di più, in questi giorni avevo caricato tutta la loro discografia sul lettore mp3. Vedi un po' le coincidenze.
Ora è il momento di giustificare un post di questo tipo su questo blog: il rapporto tra i R.E.M. e la Sicilia. E non è affatto una forzatura, non foss'altro perché stiamo parlando anche dei miei ricordi personali. Ma non solo: tutto parte da Francesco Virlinzi, dalla Catania che comprava il 70% dei dischi dei R.E.M. venduti in Italia, dal Cibali quel 6 agosto 1995 (R.E.M. + Radiohead + Flor de Mal), da Peter Buck che strimpella in incognito nei pub etnei. Erano gli anni della "Catania Seattle d'Italia", quando Mike Mills suonava in Fuori dal branco del cantautore Orazio Grillo, alias Brando. E il solito Buck produceva il bellissimo ReVisioni dei Flor, suonandoci pure: quattro pezzi erano in siciliano, tre in inglese, uno aveva Natalie Merchant, amica dei R.E.M., come meravigliosa ospite.
Io non ero ancora un ascoltatore dei R.E.M., e quindi è giusto ringraziare il carissimo e vecchio amico Giuseppe Candido che mi regalò nel 2000 il singolo di The Great Beyond, da cui è cominciata la mia militanza. E poi il film Man on the Moon, con la colonna sonora dei R.E.M. e proprio The Great Beyond, visto in proiezione unica il venerdì sera al cinema di Modica. Proiezione unica, come i film d'autore. Mettiamoci pure la ricerca spasmodica di album e singoli nei negozietti di dischi della mia città: i R.E.M. sono durati più dei negozi di musica modicani, giusto per rendere ancora onore ai ragazzi di Athens.
Ma per me il rapporto tra i R.E.M. e la Sicilia è tutto racchiuso in un episodio del 16 gennaio 2005. A Bolzano, che proprio Sicilia non è. A me è sempre piaciuta l'idea di vedere i concerti dei R.E.M. in posti curiosi e infatti quell'anno, anziché Milano, decisi di andare in Alto Adige. A gennaio, faceva anche un pochino freddo. Concerto al palazzetto del ghiaccio, tra l'altro. A un certo punto, uno striscione sugli spalti ha catturato l'attenzione di Michael Stipe: se non ricordo male, diceva "Catania is here". Michael dedicò a quella città e a una terra che amava, così disse, The One I Love. Semplicemente, quella che amo. Io e il mio amico e compagno di scorribande rock Alessandro "Alex Gallagher" Iemmolo urlammo in preda all'euforia: «Vai 'mpare!!!». Un urlo che, modestamente, è udibile anche nel bootleg di quel concerto.
Tra pochi mesi riceverò per l'ultima volta, a casa mia a Modica, il singolo natalizio che la band regala(va) agli iscritti al fanclub. Il mio ultimo, piccolo, legame personale tra i R.E.M. e la Sicilia.

domenica 18 settembre 2011

Il senatore nel pallone

Fabrizio Miccoli e Mauro Lauricella
È bastata una foto e si è scatenato l'inferno. Fabrizio Miccoli e i suoi rapporti con la mafia. Il capitano del Palermo, quello che piange quando segna contro il "suo" Lecce, quello con il tatuaggio del Che, quello che dedicò agli operai della tormentata Fiat di Termini Imerese una memorabile vittoria contro la Juventus, quello emarginato da Luciano Moggi. Insomma, uno dei pochi personaggi apparentemente positivi nel calcio italiano. Non bisogna essere garantisti a oltranza per pensare che una foto con il figlio di un boss non sia automaticamente una patente di mafiosità. Però il "Romario del Salento" deve chiarire la sua posizione.
Che Miccoli sia stato immortalato sulle tribune dello stadio di Palermo con l’incensurato Mauro Lauricella, figlio di Antonino "Scintilluni", il re del pizzo appena arrestato, è il segno però che c'è qualcosa di storto nel calcio – e non solo quello siciliano. Di rapporti tra calcio e mafia, tra calciatori e mafiosi, sono state riempite pagine e pagine di cronaca italiana. C'è del marcio ed è impossibile negarlo. La criminalità organizzata usa anche il calcio, soprattutto a livello locale, come strumento per il controllo del territorio e per garantirsi un certo "consenso". Salendo di categorie, si finisce nella serie A dei calciatori che hanno avuto rapporti più o meno diretti con esponenti mafiosi. In questi giorni si è scatenata una corsa a ripescare foto d'archivio e storie impolverate di calciatori fotografati con boss, di giocatori con parentele imbarazzanti, di sportivi con soci d'affari e frequentazioni degni delle attenzioni delle procure antimafia. Maradona, Cannavaro, Balotelli, Sculli e così via.

mercoledì 14 settembre 2011

(S)cambio di reato

A Raffaele Lombardo, in fondo, le cose vanno sempre abbastanza bene.
Tutti si chiedevano che ne sarebbe stato delle accuse di mafia dopo lo stralcio dall'inchiesta Iblis. Ora c'è la risposta. Macché concorso esterno in associazione mafiosa, era solo un "reato elettorale", cioè voto di scambio. Stessa sorte per il fratello Angelo.
I Lombardo's dovranno presentarsi in giudizio il prossimo 14 dicembre, davanti alla quarta sezione penale del tribunale di Catania, in composizione monocratica. La citazione a giudizio ha bypassato la decisione del Gip e siccome l'entità della condanna prevista dal reato è bassa, sarà sufficiente la competenza di un giudice solo e non del tribunale convocato in forma collegiale.
Sto aspettando i sussulti di giubilo di chi appoggia la maggioranza di Lombardo. Ma sì, mica è indagato per mafia, un po' di voto di scambio - siamo magnanimi - concediamoglielo pure. In fondo è solo uno dei deputati indagati all'Ars: se sono così tanti, sarà pure per l'accanimento dei giudici. Che però stavolta hanno fatto un bel favore a (quasi) tutti.

venerdì 9 settembre 2011

Vicolo cieco in fondo a destra

Villabate è il quadratino rosso.
Anzi, ora è nero
Da Villabate sono passato, anzi l'ho sfiorata, quelle volte che sono andato a Palermo. La cittadina è praticamente attaccata al capoluogo. Se mai dovesse capitarmi di andarci apposta, farò sicuramente una passeggiatina in qualche stradina. Per esempio quella che la giunta guidata dall'ex An Gaetano Di Chiara ha deciso di intitolare a Erwin Rommel. La "volpe del deserto", il generale nazista. Sul serio, a Villabate si preparano a dedicare strade a Rommel. E pure al Barone Rosso, quel Manfred von Richthofen conosciuto come l'asso dell'aviazione tedesca durante la prima guerra mondiale. Io lo ricordo più come nemico di Snoopy.
Dunque Rommel avrà una via tutta sua a Villabate. Ho dei dubbi che una qualsiasi città tedesca possa deciderne di dedicarne una a - che ne so - Galeazzo Ciano. Perché la motivazione del sindaco è: Rommel è ricordato non come gerarca nazista, ma per il suicidio dopo i sospetti di aver fatto parte dei complottisti contro Hitler. Ecco, Ciano, genero di Mussolini, poi lo tradì. Siamo lì.
E intanto tra i «meritevoli di essere menzionati nella toponomastica cittadina», per utilizzare il burocratese sentimentale di Di Chiara, non figura il soldato villabatese Giovanni Militello, catturato in Russia e deportato nel campo di concentramento di Altengrabow. Il parere favorevole, anche della giunta, c'era, ma la pratica si è persa. Gli è andata a suo modo meglio di altri: Antonino Retaggio, consigliere comunale che si batte per la memoria di Militello, c'aveva riprovato chiedendo di intitolare qualcosa (non necessariamente una strada, qualcosa, signor sindaco) anche a Peppino Impastato. Sarebbe stato bello, in un comune sciolto due volte per mafia (1999 e 2004), ma la proposta non fu neanche esaminata.
Via Rommel, vicolo cieco.

domenica 4 settembre 2011

Sarà pure l'ultima a morire, ma muore comunque

Ricordare un anniversario il giorno dopo può sembrare strano.
Il 3 settembre 1982 la mafia ammazzava il generale Carlo Alberto dalla Chiesa e la moglie Emanuela Setti Carraro. Qualche giorno dopo morirà l'agente di polizia Domenico Russo, colpito insieme a loro. Ieri si è celebrato dunque il ventinovesimo anniversario della strage di via Isidoro Carini. Io ci credo all'obbligo del ricordo, ma trovo fastidioso il ricordo forzato, soprattutto quando a pontificare e a glorificare post mortem sono le istituzioni che non hanno mai espresso in vita solidarietà e sostegno a quelle che adesso celebrano come vittime del dovere.
Il generale dalla Chiesa era stato lasciato solo. La sua nomina a prefetto di Palermo – lo sapevano tutti e lo sanno tutti – era una di quelle punizioni travestite da promozione. Promoveatur ut amoveatur. Il personaggio è uno di quelli che di diritto dovrebbe far parte del pantheon degli eroi di ciascun italiano: lotta contro la mafia e contro il terrorismo, mettiamoci pure un passato da partigiano. Indagava su tutto, ha toccato molti fili scoperti dei misteri italiani. Dal rapimento Moro alle stragi, dal terrorismo rosso alle nuove strategie della mafia siciliana. Fu uno dei primi a intuire, insieme a Pio La Torre, che Cosa Nostra stava mettendo le mani anche su grandi affari come la base militare di Comiso. L'esperienza non gli mancava e quindi lo sapeva prima di tutti lui stesso che non gli avrebbero fatto svolgere il suo ruolo in Sicilia: «Mi mandano in una realtà come Palermo, con gli stessi poteri del prefetto di Forlì».
Perché lo ricordo il giorno dopo la solita ipocrita parata istituzionale in memoriam? Semplice, perché il 4 settembre del 1982, appunto il giorno dopo, vicino al luogo dell'attentato spuntò una scritta anonima, della quale tanto si è parlato negli anni:
«Quì è morta la speranza dei palermitani onesti»
Un necrologio che rende davvero onore alla memoria del generale dalla Chiesa e del suo sacrificio. I palermitani (e i siciliani) onesti si sentirono morti anche loro sotto i colpi di kalashnikov in via Carini e sicuramente si sentirono oltraggiati dall'ipocrisia dei potenti che si presentarono al funerale. Prima ancora di Craxi durante Tangentopoli, furono questi politici ad assaggiare la rabbia delle monetine del popolo umiliato e offeso. Fu risparmiato solo Sandro Pertini. Ah, Andreotti non c'era (preferisce i battesimi ai funerali, diceva).
Ventinove anni dopo i palermitani e i siciliani onesti ci sono ancora, ma la loro speranza è morta troppe volte. E mai di morte naturale.