domenica 4 settembre 2011

Sarà pure l'ultima a morire, ma muore comunque

Ricordare un anniversario il giorno dopo può sembrare strano.
Il 3 settembre 1982 la mafia ammazzava il generale Carlo Alberto dalla Chiesa e la moglie Emanuela Setti Carraro. Qualche giorno dopo morirà l'agente di polizia Domenico Russo, colpito insieme a loro. Ieri si è celebrato dunque il ventinovesimo anniversario della strage di via Isidoro Carini. Io ci credo all'obbligo del ricordo, ma trovo fastidioso il ricordo forzato, soprattutto quando a pontificare e a glorificare post mortem sono le istituzioni che non hanno mai espresso in vita solidarietà e sostegno a quelle che adesso celebrano come vittime del dovere.
Il generale dalla Chiesa era stato lasciato solo. La sua nomina a prefetto di Palermo – lo sapevano tutti e lo sanno tutti – era una di quelle punizioni travestite da promozione. Promoveatur ut amoveatur. Il personaggio è uno di quelli che di diritto dovrebbe far parte del pantheon degli eroi di ciascun italiano: lotta contro la mafia e contro il terrorismo, mettiamoci pure un passato da partigiano. Indagava su tutto, ha toccato molti fili scoperti dei misteri italiani. Dal rapimento Moro alle stragi, dal terrorismo rosso alle nuove strategie della mafia siciliana. Fu uno dei primi a intuire, insieme a Pio La Torre, che Cosa Nostra stava mettendo le mani anche su grandi affari come la base militare di Comiso. L'esperienza non gli mancava e quindi lo sapeva prima di tutti lui stesso che non gli avrebbero fatto svolgere il suo ruolo in Sicilia: «Mi mandano in una realtà come Palermo, con gli stessi poteri del prefetto di Forlì».
Perché lo ricordo il giorno dopo la solita ipocrita parata istituzionale in memoriam? Semplice, perché il 4 settembre del 1982, appunto il giorno dopo, vicino al luogo dell'attentato spuntò una scritta anonima, della quale tanto si è parlato negli anni:
«Quì è morta la speranza dei palermitani onesti»
Un necrologio che rende davvero onore alla memoria del generale dalla Chiesa e del suo sacrificio. I palermitani (e i siciliani) onesti si sentirono morti anche loro sotto i colpi di kalashnikov in via Carini e sicuramente si sentirono oltraggiati dall'ipocrisia dei potenti che si presentarono al funerale. Prima ancora di Craxi durante Tangentopoli, furono questi politici ad assaggiare la rabbia delle monetine del popolo umiliato e offeso. Fu risparmiato solo Sandro Pertini. Ah, Andreotti non c'era (preferisce i battesimi ai funerali, diceva).
Ventinove anni dopo i palermitani e i siciliani onesti ci sono ancora, ma la loro speranza è morta troppe volte. E mai di morte naturale.

2 commenti:

  1. Mai di morte naturale. Vero. Pare per un curioso fenmomeno detto "avvelenamento da piombo".

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  2. Purtroppo in certi casi si sospetta il suicidio (mi si permetta l'amara ironia).

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