venerdì 30 dicembre 2011

A qualcuno piace freddo

Nel 1994 i R.E.M. regalarono agli iscritti al fanclub il loro solito singolo natalizio. Un bel brano, strumentale, si intitolava Christmas in Tunisia. Non ho idea di cosa intendessero loro per “natale in Tunisia”, ma prima che qualcuno ipotizzi la location per il prossimo cinepanettone, ci ha pensato l’Anas, a suo modo. Non proprio Tunisia, comunque, ma come sempre “a sud di Tunisi”.
Le festività natalizie per chi vive a Ragusa e Modica (e in altre aree della provincia più meridionale d’Italia) sono state segnate da una vicenda paradossale che lascerà strascichi fino a qualche settimana prima di Pasqua.
Andiamo con ordine. Anzi, ordinanza. La numero 234 del 26 ottobre 2011, con cui l’Anas, ente proprietario e gestore delle strade statali, ha previsto quali siano i “tratti della viabilità Autostradale e Ordinaria dove è l’obbligo che i veicoli siano muniti ovvero abbiano a bordo mezzi antisdrucciolevoli (catene da neve) o pneumatici invernali idonei alla marcia su neve o su ghiaccio”. Ordinanza che naturalmente interessa tutta Italia, Sicilia compresa.
Tra Etna, Madonie, Nebrodi e qualche altra montagna, la neve non manca neppure nella soleggiata e terronissima Trinacria, per carità. Dove scarseggia è invece in provincia di Ragusa. Eppure l’Anas (nello specifico la sezione compartimentale di Catania) ha un’altra opinione e infatti ha inserito tra le strade interessate anche alcuni tratti di strade statali nel ragusano. Passi per la 194 e la 514 che toccano aree (pre)montane, ma l’obbligo di catene sulla 115 tra Modica e Ragusa ha lasciato tutti a bocca aperta.
A sud di Tunisi, nel senso di questo blog, ha provato a capirci qualcosa, soprattutto farsi spiegare perché dal 15 dicembre 2011 al 15 marzo 2012 (l’ordinanza in origine allungava dal 12 dicembre al 16 marzo) anche sulla 115, la “sud-occidentale sicula”, varranno regole finora applicate praticamente solo in montagna.
L’ufficio stampa – gentilissimo – dell’Anas ci ha detto che non potevano fare diversamente: è la legge che lo dice. La legge è il codice della strada, riformato nell’estate del 2010 (legge 120). A rigor di logica, non gli si potrebbe dar torto. Però la legge – nello specifico l’articolo 6 comma 4 lettera e) del codice modificato – sottolinea che gli enti proprietari e gestori delle strade hanno la facoltà, la possibilità di prevedere l’obbligo delle catene. Possono, non devono. L’Anas, come gli altri enti, non ha l’obbligo di obbligare.
Appena sono stati piazzati i cartelli sulla SS 115 si è scatenata la protesta di tanti: cittadini, amministratori, istituzioni, associazioni, politici. Tutti concordi sull’assurdità della prescrizione, anche gommisti e meccanici. Perché in provincia, tra l’altro, trovare catene da neve e pneumatici invernali è più o meno come cercare un gelato nel Sahara. E infatti in queste settimane sono fioccate le prime multe, non le nevicate. Multe da 80 a 318 euro. Con sanzione accessoria di tre punti in meno sulla patente.

lunedì 19 dicembre 2011

Totò non fa ridere

Io le facce dei carcerati le conosco. Ho visto gli occhi di chi ha commesso anche crimini orribili. Non giudico, non posso farlo, non è il mio mestiere. Giusto per chiarire, non ho avuto problemi a dire "hai sbagliato" (edulcoro la frase, ndr) in faccia anche a chi ha ammazzato un parente. Però mi sono sempre sforzato, quando lavoravo in carcere a Modica, di non avere pregiudizi e pensare che tutti lì dentro hanno una personalità – e una dignità – oltre i delitti, i reati o semplicemente gli errori che hanno commesso. Errori, sì, in alcuni casi erano solo errori. Un modo molto diffuso per non ammettere errori più o meno gravi si chiama "fatalità": la scusa buona per tutte le occasioni. "Non è colpa mia", "è capitato", eccetera eccetera.
Tutta questa premessa per parlare di Totò Cuffaro. Ripeto, anche se in versione ridotta, ho conosciuto la realtà del carcere. Ho visto quelle facce. Quando stamattina ho visto su La Stampa le foto di alcuni detenuti di Rebibbia in attesa del saluto e della solidarietà di papa Benedetto XVI in visita al carcere romano, non posso negare la strana reazione appena ho riconosciuto in un volto smagrito con gli occhiali il viso di un uomo che ha segnato per molti anni anche la mia vita. Non ci avevo pensato, ma Totò Cuffaro è recluso proprio a Rebibbia. E dunque eccolo lì, in mezzo agli altri detenuti dietro una transenna. Alcuni sorridono, lui no.
Volto smagrito, molti chili in meno rispetto all'uomo che festeggiava a cannoli una condanna per favoreggiamento. A quasi un anno dalla conferma in Cassazione dei 7 anni di carcere, Totò è cambiato. Soprattutto è la sua reazione, non tanto la trasformazione fisica, a stupire. Ammetto che, da elettore siciliano di sinistra e antimafia, Vasa Vasa l'ho spesso identificato come l'avversario per eccellenza, per non dire altro. Dopo l'arroganza dei festeggiamenti per un favoreggiamento semplice e non per mafia, non si aspettava nessuno che l'ex presidente della Regione Siciliana ed ex senatore Udc accettasse la condanna in Cassazione con quello che persino Rita Borsellino ha definito "atteggiamento serio e dignitoso". Sulla Stampa ne parlava stamattina Francesco La Licata, sottolineando proprio quello che in realtà solo in Italia sembra strano e inusuale. Un politico che accetta serenamente una condanna.
«Non è più il faccione rubicondo di un tempo, di quando – forte delle centinaia di migliaia di voti dei siciliani – distribuiva abbracci e baci e frequentava ora Palazzo dei Normanni (sede del primo Parlamento europeo ed oggi della presidenza della Regione Sicilia), ora le austere sale di Palazzo Madama. I capelli grigi tradiscono lo stress per la perdita del potere e così pure il viso smagrito, che Totò Cuffaro giustifica non con il rimpianto per le "leggerezze" riconosciute, ma piuttosto per la "vita sana" che conduce in carcere. [...]
Eppure fa un certo effetto scorgere Totò vasa-vasa tra la folla di detenuti in attesa di poter cogliere uno sguardo, una parola di conforto dal Papa venuto a lenire le loro sofferenze. Cuffaro ha già incassato i commenti sorpresi di tanti osservatori, addirittura sbalorditi per la scelta di un politico che ha dignitosamente accettato una sentenza, senza gridare al complotto o alla dittatura dei giudici. Un gesto normale, si potrebbe dire, se non venissimo da una lunga notte di confusione lungo la quale si è smarrito l'orientamento, la strada dei diritti e dei doveri. Ma quella faccia che fa capolino tra il carcere e il Papa trasmette qualcosa in più. Si è tentati di considerarla la foto che prova l’avvenuto allontanamento dalla stagione della logica capovolta e dell’arroganza del potere.
Un politico di successo che subisce lo stesso destino di un comune cittadino – dopo aver, anche parzialmente, preso atto dei propri errori e accettato le sanzioni – fa ancora "scandalo", ma, nello stesso tempo, trasmette la rassicurante sensazione che forse è possibile ripristinare il normale corso dei corretti rapporti tra governati e governanti. Anche magari rinunciando a qualche "frizzante" eccesso per una più sobria normalità»
Così scrive La Licata. Condivisibile. Ma, in fondo, da giornalista, mi faccio una domanda: dove sta la notizia? Cuffaro, come ogni altro detenuto e da buon cattolico, era lì ad aspettare il Papa. E in carcere c'è finito non per sbaglio, non per caso. Solo che a differenza di molti altri "colleghi" (politici e/o detenuti) ha accettato la situazione. Tutto qui.
Aggiungo comunque una cosa, e mi permetto di correggerne un'altra. Aggiungo che il radiologo Totò Cuffaro sta studiando giurisprudenza in carcere e qualche tempo fa ha raccontato di un esame di diritto costituzionale andato particolarmente bene. Il professore non l'avrebbe riconosciuto (magro com'è...) e si è complimentato per la bella prova. Cuffaro commentò di aver maturato una certa esperienza per tutte le volte che aveva sollevato conflitti di attribuzione tra Stato e regione.
Correggo invece un'imprecisione, che non c'entra comunque con la sostanza: Palazzo dei Normanni è sede dell'Ars, non della presidenza della Regione. Quella è invece a Palazzo d'Orleans. In ogni caso, lontana da Rebibbia.
E lontani sono i tempi in cui Cuffaro incontrava il papa in ben altra (e Santa) sede.

giovedì 15 dicembre 2011

Cronaca nerissima

Iraq, Afghanistan, Pakistan, una manciata di nazioni africane e qualcun'altra dell'Asia centrale. Poi casi sparsi qua e là, in mezzo a guerre e rivolte varie. Per morire da giornalisti, pare che siano queste le credenziali, direi quasi le clausole necessarie e sufficienti. Così Ieri ho scoperto che esiste il Committee to Protect Journalists (Cpj), un'organizzazione internazionale che si propone di vigilare sui rischi che corrono i giornalisti veri in giro per il mondo. Dal 1992 il Cpj monitora i casi di cronisti e operatori dell'informazione uccisi. Ci tengono a precisare che nella loro metodologia «un aspetto importante della ricerca è determinare se il giornalista è morto nell'esercizio della sua professione». Traduco liberamente l'originale "work-related death". Morte connessa al lavoro.
Ora, nel rapporto del Cpj ci sono pure alcuni giornalisti italiani. Ci sono giustamente Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, Maria Grazia Cutuli, Enzo Baldoni. Ce ne sono anche di meno noti, freelance ma non solo. Tutti morti in terre devastate da guerre e terrorismo: Iraq, Afghanistan, Somalia, Balcani. Cronisti uccisi proprio mentre svolgevano il loro lavoro, morti proprio perché giornalisti.
Ma qualcosa non mi quadra. Non è che per essere conteggiati si debba per forza morire all'estero, vittime di terroristi sanguinari o guerriglieri senza scrupoli? Io non so se il Comitato, attivo dal 1981, abbia mai monitorato i casi di giornalisti morti anche prima del '92. Perché altrimenti l'Italia avrebbe un discreto campionario di cronisti morti da offrire alle statistiche del Cpj. Ma in realtà c'è almeno un caso, successivo all'anno da cui inizia l'analisi, che avrebbero dovuto segnare nelle loro tabelle precise e dettagliate. Se sono stati conteggiati giornalisti uccisi da criminali e terroristi in Francia o Spagna, mi piacerebbe capire perché chi è stato ammazzato dalla mafia non "merita" di far parte di questa lista.

mercoledì 7 dicembre 2011

Limite a 70

Per una volta uno non legge il nome dell'Ars associato a brutte notizie.
Il parlamentino siciliano infatti ha approvato il disegno di legge sulla riduzione dei consiglieri regionali (che in Trinacria sono "deputati") da 90 a 70. La riduzione partirà dalla prossima legislatura e farà risparmiare 7 milioni di euro ogni anno.
La Sicilia è così «la prima Regione in Italia a ridurre liberamente e velocemente il numero dei parlamentari regionali», ha detto il presidente dell'Assemblea regionale siciliana, Francesco Cascio. Il governatore Raffaele Lombardo non è sembrato altrettanto entusiasta: «Avrei perseguito piuttosto l'obiettivo della riduzione delle indennità per i parlamentari, senza toccare il numero dei deputati, evitando così di avviare un iter complesso come quello di modifica dello Statuto (l'articolo 3, ndr)».
Eh sì, perché essendo lo Statuto siciliano una legge di rango costituzionale, ora il ddl appena approvato dall'Ars sarà trasmesso al parlamento nazionale per la doppia lettura di Camera e Senato. Prima della votazione, Cascio aveva negato, appellandosi al regolamento, la possibilità di procedere con voto segreto, come chiesto da alcuni deputati. Dunque voto palese: 59 sì, contrari solo il palermitano Giovanni Greco, eletto con il Pdl ma ora nel Terzo Polo con il gruppo di Alleati per la Sicilia (Aps), e l'ennese Paolo Colianni dell'Mpa. Astenuto, come da prassi, il presidente Cascio.
Un voto anche simbolico, l'hanno ammesso gli stessi deputati favorevoli. Come per esempio Giulia Adamo, capogruppo dell'Udc: «Abbiamo votato sì al taglio perché siamo convinti che sia più che opportuno dare un segnale all'esterno. Questo provvedimento non sanerà di certo l'economia dell'Isola o lo si può considerare la soluzione di tutti i mali». I finiani sono tra i più contenti: «È un voto contro chi difende la casta», dice il capogruppo Livio Marrocco, «la Sicilia in questo caso si pone all'avanguardia rispetto a tutto il resto dell'Italia».
Vedremo. Intanto in aula erano 62...

lunedì 5 dicembre 2011

Bamba e Ciccio

Uno dei piatti tipici della cucina palermitana è lo sfincione, una specie di pizza o focaccia con pomodoro, cipolla e formaggio. Buonissimo. Soprattutto quello venduto dagli ambulanti per strada, che sfrecciano sulla loro Lapa (si dice la Lapa, non l'Ape, per favore). Lo sfincione, si dice, è "scarsu r'uoghhio e chinu i pruvulazzu", scarso d'olio e pieno di polvere.
Ma non pensavo che il legame tra lo sfincione e la polvere potesse essere anche figurato. Lo sfincionello piccolo o grande che si vendeva in certe ville di Bagheria e dintorni, non era una pizza, né una focaccia, ma c'entra un altro tipo di farina.
I carabinieri di Bagheria, dove tra l'altro è tipico lo "sfincione bianco" (sic), hanno arrestato 14 persone coinvolte in uno spaccio di cocaina e hashish e che organizzavano feste a tema, diciamo così, in varie case private nella città palermitana del Liberty. La coca era in codice lo sfincionello grande, il fumo quello piccolo.
Il cibo di strada è caratterizzato dalla bontà e soprattutto dal prezzo molto abbordabile. Paghi poco e mangi bene. Anche gli sfincionelli dei coca party costavano poco. La crisi colpisce tutti i settori dell'economia e così pure la banda veniva a suo modo incontro ai consumatori, abbastanza giovani. Il marketing lo facevano davanti alle scuole o su Facebook: altro che pusher, questi erano più bravi dei venditori di aspirapolvere. Come fare per promuovere la merce? Semplice, offerte speciali. La prima dose era gratis. Cliente fidelizzato e concorrenza fatta fuori, dunque, e pure le tariffe erano state adeguate alla situazione economica poco felice. "Appena" 80 euro per un grammo di coca, 10 per una stecca di hashish. Alla fine sono stati segnalati circa 400 consumatori e sequestrati 350 grammi di polvere bianca e 3,5 chili di fumo. I pusher si ispiravano ai personaggi della serie tv di Romanzo criminale e si facevano chiamare con soprannomi in dialetto: c'erano "Baby Ciccio" (alias Antonino Castronovo), "Totò 'u miricanu", "Ranetta". Vincenzo Militello, uno dei coordinatori della banda, era conosciuto come "'U pacchiuni". I carabinieri invece erano i "lupi".
Grazie ai nomi trovati nelle rubriche dei giovani consumatori, i militari dell'Arma hanno ricostruito il sistema delle feste. Ne hanno monitorate sei, compreso un presunto addio al celibato, corredato di 100 grammi di coca. Sniff, sniff.

venerdì 2 dicembre 2011

Gioca con i fanti ma lascia stare i santi

Il Vaticano è contro la clonazione.
Ma mica solo quella umana. Immagino che dalle parti della Santa Sede diano un po' fastidio pure i siti Internet fasulli. Soprattutto se il sito clonato è proprio quello del Vaticano.
Un'organizzazione criminale, scoperta dalla polizia di Messina, utilizzava siti web clonati per scommesse clandestine. Tra i siti ce n'era appunto uno con una finta homepage della Città del Vaticano. Cioè, uno cercava magari spunti per una preghiera e invece si ritrovava pieno di donne. Nel senso del poker, eh.
La polizia ha arrestato 10 persone in diverse città italiane e altre tre sono ancora ricercate. Avrebbero creato siti apparentemente identici a quelli autorizzati dai Monopoli di Stato, per effettuare scommesse online e giocate in casinò virtuali. Sequestrati anche numerosi conti postali e bancari e otto società informatiche. Associazione per delinquere, truffa ai danni dello Stato e naturalmente evasione fiscale. Non c'è più religione, neanche nel gioco.
I siti erano tutti collegati a provider esteri. In Svizzera, Lussemburgo, Malta e Gran Bretagna. D'altra parte anche il finto sito del Vaticano ti porta in Paradiso. Fiscale.