martedì 30 ottobre 2012

Crocetta e delizia

Rosario Crocetta è il nuovo presidente della Regione Siciliana. Tanti auguri Saro. E tanti auguri Sicilia. Non faccio commenti, riflessioni, analisi sul voto, lascio queste incombenze a chi ne sa più di me. Mi limito a registrare l'ovvio: i siciliani hanno eletto un presidente comunista antimafia gay e cattolico. Alla faccia dell'omofobia degna del Medioevo...
Stavolta - ed è un caso rarissimo - non sono tornato a casa a votare. Quindi ho seguito tutto da lontano. Quello che è successo prima del voto, tipo i 300 dipendenti (soprattutto autisti) dell'Amat, l'azienda palermitana dei trasporti, che sabato, domenica e lunedì hanno lasciato il lavoro per fare i rappresentanti di lista. Chissà per quali partiti, mentre gli autobus restavano fermi.
Poi quello che è successo domenica, durante il voto. Come i disagi per i 50 elettori del borgo eoliano di Ginostra, da vent'anni senza seggio: possono votare solo nell'unica sezione di Stromboli. Ma non ci sono potuti arrivare, perché il mare agitato ha impedito la partenza dell'aliscafo della Compagnia delle Isole. Si dice che entro le elezioni politiche del 2013 il seggio di Ginostra sarà ripristinato.
Infine quello che è successo dopo, a partire dall'interminabile, solito, lunghissimo spoglio. Era quasi mezzanotte e mezza quando mi sono accorto che mancava ancora una sezione.
Perché?
L'ho spiegato in questo articolo pubblicato su Affaritaliani.

Ore 00.39 di martedì 30 ottobre. Mancano venti minuti all’una di notte quando il sito del servizio elettorale della Regione Sicilia viene aggiornato definitivamente, per l’ultima volta. Fino a qualche minuto prima mancava ancora una sezione da scrutinare su 5.308.
Ci sono volute più di 16 ore per completare lo spoglio delle schede delle regionali. E la colpa è stata anche di quell’ultima sezione. È successo a Mascalucia, comune di 30 mila abitanti in provincia di Catania. Lì, fino a mezzanotte inoltrata, erano stati inviati i dati definitivi di 24 sezioni su 25. Una dunque mancava ancora all’appello.
Ma per quale motivo? Tensioni al seggio? Sospetti di brogli? Schede contestate? No, semplicemente «un presidente di seggio si è impappinato», come fanno sapere dall’ufficio dei servizi elettorali del Comune. Ma i problemi ci sono stati anche in altre sezioni. Problemi “tecnici”, errori umani. «Hanno comunicato dati non corretti, hanno sbagliato», dice un responsabile dell’ufficio elettorale. Al momento dei verbali, ecco il busillis. «Forse non hanno letto bene i verbali, hanno avuto problemi nella trascrizione».
Quindi nessun rappresentante di lista a contestare fino a notte fonda una ics ambigua. Forse solo la stanchezza dopo una giornatona di lavoro tra schede e urne. Non c’entrano le tensioni elettorali, e questo è già un bene. Meglio così, dopo che già un mese fa si era rischiato persino l’incidente diplomatico, proprio a Mascalucia. Il 28 settembre in piazza San Vito era tutto pronto per il comizio di Salvatore Maugeri, sindaco dimissionario e candidato Fli a sostegno di Gianfranco Micciché, quando per sbaglio si presenta scortato Rosario Crocetta. Che invece avrebbe dovuto parlare nella vicina piazza Chiesa Madre. Tutto si è risolto in risatine e qualche imbarazzo: come giustificarsi altrimenti con chi dava per certo l’inciucio Crocetta-Micciché?
Per la cronaca, Maugeri è stato l’aspirante consigliere, pardon deputato regionale, più votato e Crocetta il candidato presidente preferito dai mascaluciesi.

sabato 27 ottobre 2012

(L')Ora e sempre Spampinato

Quarant'anni fa veniva ammazzato Giovanni Spampinato, giovane giornalista di Ragusa. Una storia di mafia, di trame segrete, di traffici illeciti svelati da un cronista caparbio. «Una storia emblematica, al pari di quelle di Peppino Impastato e Giancarlo Siani», mi ha detto Carlo Ruta, in un'intervista pubblicata su Affaritaliani. Eppure pochi conoscono la vicenda di Spampinato. Che invece merita di essere ricordata. Perché dimostra che la mafia c'è stata (e c'è) anche a Ragusa. Perché Giovanni è uno dei nove giornalisti uccisi dalle mafie in Italia. Perché mafia vuol dire anche intrecci tra poteri, istituzionali, informali e occulti. Perché fare giornalismo d'inchiesta in un certo modo significa disturbare connivenze e complicità, dare fastidio a chi si crede intoccabile.
Mi ha sempre colpito che a Giovanni Spampinato, morto qualche settimana prima di compiere 26 anni, il tesserino da pubblicista sia arrivato postumo. Era stato lasciato solo.
Perché ricordarlo? Perché non succeda più che quando si entra in una libreria e si chiede il libro di Alberto Spampinato, quirinalista dell'Ansa (C'erano bei cani ma molto seri. Storia di mio fratello Giovanni ucciso per aver scritto troppo), rispondano «Spampinato il cantante (Vincenzo, cantautore catanese, ndr)? Ma è un romanzo?».

Ecco il pezzo pubblicato su Affaritaliani, con l'intervista in cui Carlo Ruta ripercorre la storia di Giovanni Spampinato.

«Qui ci sono i fili dell’alta tensione, chi li tocca muore. E Giovanni aveva toccato quei fili». Giovanni è Spampinato e i fili mortali sono le trame, gli intrecci e le connivenze tra poteri occulti e istituzioni che il giovane giornalista de L’Ora aveva scoperto prima di morire, ucciso il 27 ottobre di 40 anni fa a Ragusa. A parlare è Carlo Ruta, giornalista, blogger e saggista, che ricorda la figura di Spampinato, morto poche settimane prima del suo 26esimo compleanno. Ruta si è occupato della vicenda soprattutto tra il 2002 e il 2005, nel 2008 ha pubblicato Segreto di mafia. Il delitto Spampinato e i coni d’ombra di Cosa Nostra. Il suo interesse gli è costato decine di querele, quasi tutte vinte, più l’assurda condanna per stampa clandestina, ora annullata dalla Cassazione, che comunque l’ha costretto a chiudere il suo blog di informazione Accade in Sicilia. Una storia complessa, quella di Spampinato, un caso a lungo sconosciuto in Italia, di cui ancora si parla poco. «Eppure è una storia emblematica, al pari di quelle di Peppino Impastato e Giancarlo Siani». 

Chi era Giovanni Spampinato?
«Era una persona molto colta, un laureando in filosofia. Non era un giornalista d’assalto e velleitario, come lo hanno voluto descrivere alcuni, non voleva fare gli scoop a tutti i costi. Era una bravissima persona, senza quei grilli per la testa di cui parlano i giornali “moderati”».
In che senso giornali moderati”?
«La stampa in Sicilia ha un orientamento moderato, in alcuni casi quasi reazionario. E parte di quell’opinione pubblica non si è mai affezionata all’idea che il delitto Spampinato sia mafioso, ma tende a registrare il fatto come una storia privata, viene fatto passare come una reazione sconsiderata dell’uccisore».
Come andarono allora le cose? Qual è la storia di Giovanni Spampinato e della sua morte?
«Spampinato fu ucciso il 27 ottobre 1972 da Roberto Campria, figlio dell’allora presidente del Tribunale di Ragusa. Probabilmente Campria era coinvolto in traffici di oggetti d’arte e reperti archeologici. Giovanni indagava anche su questo e sulla morte di un complice di Campria, l’imprenditore Angelo Tumino».
Perché è considerato un delitto di mafia?
«Il fatto è che quell’area, il sudest siciliano, è il paradiso fiscale della mafia, qui ci sono i fili dell’alta tensione e chi li tocca muore. Spampinato aveva provato a svelare quei traffici, il contrabbando di armi e di sigarette, il mercato illegale dell’arte e gli intrecci tra l’eversione nera, i colonnelli greci e la criminalità mafiosa. Ma di quelle cose non si doveva parlare e dunque Giovanni era una spina nel fianco».
Alberto Spampinato, fratello di Giovanni, dopo che nel 2007 il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano conferì il premio Saint Vincent” alla memoria, aveva scritto che quelle trame occulte e quelle connivenze effettivamente erano mafiose.
«Infatti Giovanni Spampinato aveva fatto molte inchieste su quelle illegalità diffuse, sul terrorismo di estrema destra, sulla mafia, sui traffici. Forse il delitto non è di quelli mafiosi “classici”, ma è il contesto, di impunità e complicità a vari livelli, a essere mafioso».
In cosa consistevano queste complicità?
«In sede giudiziaria non furono presi in considerazione alcuni testimoni che avrebbero svelato che quella notte, sul luogo del delitto, non c’era solo Campria. Non si tratta ormai di arrivare alla verità giudiziaria, ma perlomeno a quella storica. Io ho parlato di omissioni nell’inchiesta e per questo c’è stato un accanimento: presentavano tre querele in tre tribunali sullo stesso articolo, più una quarta civile. La rimozione della vicenda Spampinato è partita subito, appena dopo il processo a Campria, che peraltro, tra sconti vari e semi-infermità, ha fatto 5-6 anni di carcere. E parliamo degli anni in cui il carcere di Ragusa era soprannominato “Hotel Bristol”. Non è un caso se molti boss mafiosi premevano per farsi portare lì».
La provincia di Ragusa è stata sempre considerata babba, senza mafia. Ma la storia di Spampinato sembrerebbe smentire questa convinzione.
«La mafia non è solo quella militare, che pure qui c’è stata. Io temevo la mafia, ma non conoscevo i metodi e l’aggressività dei poteri forti. Tutti si sentono intimiditi e ricattati, e questo è tipico di un contesto mafioso».
Che cosa significa oggi ricordare Giovanni Spampinato?
«Io ho cominciato a occuparmi della sua storia dieci anni fa, nel trentennale della morte, grazie agli articoli che aveva raccolto Etrio Fidora, ex direttore de L’Ora. C’era questo senso evidente di rimozione, non se ne doveva parlare. Qui siamo nel “cono d’ombra” di Cosa Nostra, dove tutto deve restare nascosto, segreto, coperto. Tra Vittoria e Gela ci sono state stragi di mafia persino più pesanti che a Palermo: nonostante questo, bisogna rimuovere completamente. Ancora oggi, come ai tempi di Giovanni, chi fa inchieste e analisi di un certo profilo, tocca quei pericolosi fili dell’alta tensione. E la vicenda della sala stampa del comune di Ragusa, inaugurata nel 1995 e intitolata a Giovanni, ma chiusa per lungo tempo e riaperta pochi mesi fa, dimostra che la memoria di Spampinato è pesante e dà ancora fastidio».