lunedì 26 agosto 2013

Basta che c'è la salute?

In questi giorni si fa un gran parlare di competitività delle regioni, dopo che la Commissione europea ha pubblicato il nuovo rapporto sull'indice di competitività regionale (Rci), dal quale – notizia clamorosa che ha riempito i giornali e molte bocche vogliose di parlare dopo la sosta estiva – è risultato che la Lombardia, locomotiva d'Italia, ha frenato un po' e rispetto al 2010 è uscita dalla top 100 ed è scivolata al 128° posto. Polemiche politiche: Roberto Maroni che attacca Mario Monti, dimenticando che nel frattempo al governo c'era stato anche Berlusconi (e Maroni era pure ministro, ma tant'è), i montiani e la Lega che si insultano a vicenda. Niente di nuovo, insomma.
"Competitività" è una parola strana. Chi crede poco a queste classifiche dice che non è possibile che la Lombardia sia stata superata da piccole regioni di Paesi considerati minori. Se ne può discutere, certamente. Il fatto è che il Rci 2013 prende in esame 11 indicatori e tanti parametri specifici. La fredda matematica porta poi a fare una media.
Dico questo perché, per ovvie ragioni, mi sono preoccupato piuttosto di guardare nel dettaglio il motivo per cui la Sicilia è l'ultima delle regioni italiane, al 235° posto su 262 nell'Europa a 28. Tra Melilla e Ceuta, le città-enclave spagnole in Marocco, tanto per intenderci, e poco sopra le lontane terre d'oltremare francesi di Guyana e Réunion. Poi peggio ci sono solo regioni rumene, bulgare e greche. E allora mi sono chiesto cosa c'è dietro. Degli 11 indicatori, due sono considerati aggregati a livello nazionale, cioè la stabilità macroeconomica e l'istruzione di base: l'Italia va maluccio in entrambi i casi.
Vediamo gli altri parametri. Sul versante istituzionale (governance, efficienza della pubblica amministrazione, corruzione, burocrazia) la Sicilia è 249ª. Fanno peggio solo Calabria e Campania, in Italia. Mal comune? Le infrastrutture, elemento fondamentale per definire la competitività di qualsiasi territorio, me le aspettavo persino più disastrose; posizione 194 per la mia Isola, con qualche aeroporto, i porti e una rete autostradale così così, mentre per esempio la Sardegna è messa peggio. Certo, l'obiezione è già pronta: ah, se ci fosse il ponte sullo Stretto...
Vanno male, anzi malissimo, gli indicatori dell'istruzione superiore e dell'apprendimento permanente (240° posto, ma la Valle d'Aosta è addirittura 250ª!), dell'efficienza del mercato del lavoro (251 su 262, colpa della disoccupazione giovanile e femminile, della scarsa produttività, dei Neet – i giovani che non lavorano né studiano), della tecnologia (Internet, banda larga, digital divide: Sicilia 239ª in Europa) e analogamente l'innovazione, intesa come ricerca e sviluppo, brevetti, pubblicazioni scientifiche: posizione numero 211.
C'è poi un "pilastro" che colloca la Sicilia al 189° posto: il market size, l'ampiezza del mercato si potrebbe dire. I parametri che lo compongono sono sostanzialmente il reddito netto disponibile delle famiglie, il Pil calcolato secondo la parità del potere d'acquisto e il fattore demografico. La Sicilia, tutto sommato, è una regione piuttosto abitata. La percentuale di lavoratori nei servizi, nell'amministrazione, nell'immobiliare, nella finanza, insieme al valore aggiunto prodotto in questi settori e al numero di lavoratori in aziende di proprietà straniera, concorrono invece a definire il parametro della "business sophistication". La Sicilia, per mia sorpresa (o ignoranza), è l'88ª regione dell'Unione europea.
Chiudo con l'ultima, magra consolazione. La mia terra è nella top 100 in un altro caso: la salute. Sembra di sentire i vecchi proverbi della saggezza popolare. "Basta che c'è la salute". Tutta l'Italia sta bene, in effetti, non solo la Sicilia con il suo 98° posto. Contano le malattie, le morti per infarto, i tumori, gli incidenti stradali, gli ospedali. E i suicidi. Stanno sicuramente peggio nell'est europeo e in parte del nord. Noi, nonostante la malasanità e gli sprechi, l'inquinamento e l'ambiente violentato, abbiamo ancora una ottima aspettativa di vita. Forse non saremo troppo competitivi, ma almeno siamo sani. Sarà perché mangiamo bene.

lunedì 19 agosto 2013

Ansa da prestazione

Non è bello scherzare sulle cose serie, lo so. L'immigrazione, il dramma degli sbarchi in Sicilia, le centinaia, migliaia di disperati che fuggono da guerra, violenza e povertà (non ci sono solo siriani ed egiziani, ma ancora subsahariani e del Corno d'Africa), insomma non sono argomenti da trattare con sufficienza. Io però l'altro giorno non ho potuto fare a meno di lasciarmi scappare un sorriso amaro, che non riguarda direttamente l'emergenza di queste settimane ma anzi ha a che fare con la mia professione. E questo mi serve da spunto per parlare anche d'altro.
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Io sono fissato con la geografia, su questo blog ne ho dato prova. Però la mia "ossessione" non c'entra con un errore macroscopico battuto dalle agenzie Ansa. Non mi permetto di giudicare nessun collega. Solo che Pozzallo, dove è attraccata la motovedetta della Guardia costiera con 95 migranti a bordo, non è in provincia di Siracusa ma di Ragusa. Per quel che valgono le province siciliane prossime all'abolizione, chiaro. L'errore è comunque serio, non è un mio capriccio. L'ho fatto notare a un'amica e collega ragusana, con la quale – per il consolidato campanilismo – scherzo spesso su Modica, Ragusa, la provincia e amenità simili. La sua risposta: «Mandiamo all'Ansa una vecchia mappa dei Cabrera?».
I Cabrera sono una delle famiglie, di origine spagnola, che governò in quella che per lunghi secoli è stata la Contea di Modica. L'inizio della Contea è datato al 1296 e la sua fine ufficialmente al 1816. I Cabrera regnarono dal 1392 al 1481, quando poi si unirono agli Enriquez e insieme furono al potere fino al 1742. A Pozzallo, che negli anni del Regnum in Regno modicano (ecco perché "regnarono" e non semplicemente "governarono"; proprio sotto i Cabrera quello status di autonomia riconosciuto ai conti dai regnanti di Sicilia venne formalizzato anche negli atti di investitura, ndr) era il caricatore, cioè il porto della Contea, il monumento più famoso è la Torre Cabrera, costruita nel XV secolo a difesa dei moli e dei pontili.
Con la fine della Contea e del feudalesimo sotto i Borbone, Modica divenne capoluogo di distretto all'interno della nuova intendenza di Siracusa. Dal 1860 poi cambiarono pure i nomi e Siracusa divenne provincia e Modica capoluogo di circondario. Questo fino al 1926, quando la mia città fu provincia – per un solo anno – prima dello scippo ragusano (fascista) su cui ancora oggi si ironizza con l'amica e collega Silvia. Ecco, dal 1860 al 1926 Pozzallo fu davvero in provincia di Siracusa. L'Ansa deve essersi evidentemente rituffata nella storia delle pubbliche amministrazioni della Sicilia sud-orientale.
Che roba, Contessa...
Tornando all'oggi, esiste ancora qualcuno che possa fregiarsi del titolo di conte di Modica. In realtà è una contessa. Doña María del Rosario Cayetana Paloma Alfonsa Victoria Eugenia Fernanda Teresa Francisca de Paula Lourdes Antonia Josefa Fausta Rita Castor Dorotea Santa Esperanza Fitz-James Stuart, Silva, Falcó y Gurtubay è la 21ª contessa di Modica. E non elencherò gli altri suoi 50 e passa titoli nobiliari... (è suo il Guinness dei primati in materia) La regina del gossip Cayetana Fitz-James Stuart – molto chiacchierate le sue terze nozze nel 2011 – è soprattutto la 18ª duchessa di Alba e proprio gli Alba de Tormes sono stati gli ultimi conti di Modica.
Una volta gli stranieri che arrivavano dalle nostre parti erano gli spagnoli. Quelli ricchi, i nobili che poi comandavano. Adesso le nazionalità, le provenienze e i motivi sono diversi. Ma questa, naturalmente, è un'altra storia. Forse anche un'altra geografia.

P.S. Silvia è mezza spagnola.

giovedì 8 agosto 2013

Il Massimo comun divisore

L'anno scorso, più o meno di questi tempi, in piena discussione su spending review, abolizione delle province e accorpamento dei piccoli comuni, mi sono messo a lavorare su uno spunto che mi sembrava interessante. Sull'isola di Salina, una delle "sette sorelle" delle Eolie, ci sono ben tre diverse amministrazioni comunali. Nel resto dell'arcipelago c'è un solo altro comune, Lipari, 11mila abitanti distribuiti su sei isole. A Salina invece nessuno dei tre comuni – Malfa, Santa Marina Salina e Leni, in ordine di grandezza – raggiunge i mille abitanti, e in tutto sull'isola i residenti sono 2.500 circa. Mi intrigava l'idea che, in caso di obbligo all'accorpamento (perché inferiori ai 5mila abitanti), tre comuni non proprio in rapporti idilliaci tra di loro dovessero mettersi insieme. E allora cercai di parlare, a ridosso di ferragosto, con i sindaci di quei paesini. Mi rispose uno solo, dicendomi che prendevano atto di quella situazione e che comunque "tocca alla popolazione esprimersi". Dunque mettevano in conto un referendum popolare. Senza tralasciare che in realtà, in virtù dello statuto autonomo, avrebbe dovuto occuparsi della questione la Regione, in quel momento con un presidente dimissionario, Raffaele Lombardo, e ancora in attesa del rinnovo elettorale che sarebbe poi arrivato a ottobre. Insomma, mi rispose quel sindaco, "al momento non facciamo nulla e non posso dirle nulla" proprio perché si scaricava sulla Regione quell'incombenza. Per inciso, la giunta di Rosario Crocetta avrebbe, sette mesi dopo, decretato l'abolizione delle province.
Un anno dopo quel mio tentativo e quell'articolo mai scritto, il campanilismo di Salina torna d'attualità. La splendida isola è nota – oltre che per i capperi e la malvasia – soprattutto per essere stata il set de Il Postino con Massimo Troisi e Maria Grazia Cucinotta, nel 1994. In sostanza, Troisi sta a Salina come Roberto Rossellini sta a Stromboli. A quasi vent'anni dalle riprese del film (e dalla morte triste e prematura di Troisi), il comune di Santa Marina Salina ha intitolato un lungomare all'attore napoletano. Il problema è che il sindaco di Malfa, Salvatore Longhitano, non l'ha presa affatto bene: «Non ho compreso che ci azzecca Santa Marina Salina con il film. Lo scenario dell'opera è quello del mio comune: Pollara, la strada che Troisi percorreva in bici, la casa rosa...». E così pure la buonanima di quel grande artista che era Troisi viene tirata in ballo nelle beghe di cortile, anzi di strada, estive. Longhitano accusa poi il collega di Malfa, Massimo Lo Schiavo, di averlo avvertito e invitato solo il giorno prima.
La "casa del Postino" in località Pollara
C'era anche la messinese Cucinotta alla cerimonia. La cosa divertente è che l'attrice ha soggiornato nello stesso albergo, il Signum, che la ospitò 19 anni fa. E l'hotel Signum è a Malfa. Longhitano promette grandi manifestazioni l'anno prossimo per il ventennale, con tanto di intitolazione del viale di Pollara a Massimo Troisi. Ecco perché non gli è andato giù lo "sgarbo" di Lo Schiavo: «Non voglio innescare polemiche, né voglio litigare con il sindaco di Santa Marina. È libero di fare quello che vuole, ma qui si tratta di cattivo gusto». La toponomastica è roba seria.
Povero Mario Ruoppolo, postino comunista, oggetto di contesa tra un sindaco vicino al centrodestra, Longhitano (la cui lista si chiama "Democrazia", testuale), e un altro, Lo Schiavo, della nouvelle vague autonomista (prima Mpa di Lombardo, poi il Partito dei Siciliani che stava con Micciché alle regionali). Povero Mario, che diceva che «la poesia non è di chi la scrive, è di chi gli serve...». Se avesse saputo che pure il nome suo, cioè quello di Massimo, «è di chi gli serve...»...