lunedì 13 gennaio 2014

Poll position


All'inizio di ogni anno il Sole 24 Ore, insieme all'istituto di sondaggi Ipr Marketing, pubblica il Governance Poll, la classifica del gradimento degli amministratori locali. Un test politico anche a livello nazionale, in realtà, visti alcuni nomi e certe dinamiche di partito. E i nomi e i risvolti politici sono evidenti soprattutto all'occhio di un osservatore (ed elettore) siciliano. Le classifiche sono sostanzialmente due, quella dei sindaci e quella dei presidenti di Regione, quelli che per semplificazione erronea chiamiamo governatori. Su quest'ultima apparentemente c'è poco da commentare: Rosario Crocetta è l'ultimo in graduatoria. Ha un gradimento del 35%, nettamente sul fondo della lista. Certo, colpisce che in realtà abbia guadagnato 4 punti e mezzo rispetto al gradimento di ottobre 2012 (30,5 per cento), cioè la crescita più alta tra tutti i presidenti: è in pratica l'unico ad aver aumentato i consensi (solo Maroni ha guadagnato l'1,2 in Lombardia e Caldoro lo 0,7 in Campania). Ma tant'è, vatti a fidare del relativismo dei numeri.
La graduatoria dei sindaci si presta anch'essa a riflessioni politiche. Assodato che i primi sono Alessandro Cattaneo a Pavia, Michele Emiliano a Bari e Vincenzo De Luca a Salerno, cioè tre nomi rilevanti non solo a livello locale ma anche nel contesto politico nazionale, e premesso che in questa classifica vanno bene soprattutto i sindaci di centrosinistra, ci sta bene anche un'analisi siculocentrica. Sono ben tre i sindaci di capoluoghi siciliani nella top 15 del Governance Poll 2013. Nomi a loro modo singolari. Al 9° posto, con il 60% (ma in calo di quasi 15 punti rispetto all'elezione), c'è Marco Zambuto, il sindaco di Agrigento eletto con l'effimero Terzo polo centrista e poi folgorato sulla via di Renzi. Al 12° il redivivo Leoluca Orlando: nel 2012 il sindaco di Palermo era addirittura secondo (d'altronde Zambuto era terzo), ora, con il 59%, perde più di tredici punti. Subito dietro, al 15° posto, il nuovo sindaco di Ragusa, Federico Piccitto del Movimento 5 Stelle con il 58,5%: rispetto al giorno dell'inattesa elezione ha eroso il suo consenso di quasi undici punti.
Istituzioni
Insomma, anche quelli che vanno meglio perdono gradimento e fiducia. Poi ci sono gli altri, quelli intorno al 50 per cento, punto più punto meno. Due nomi e due città su cui vale la pena spendere qualche altra parola: Catania, quindi Enzo Bianco, e Messina, cioè Renato Accorinti. L'ex ministro, già protagonista della "primavera" catanese negli anni Novanta, è al 53° posto, con un consenso di poco superiore a quello dell'elezione (51,5%), appena sopra Giuliano Pisapia a Milano. Un sindaco di ritorno, come Orlando a Palermo, che dunque mantiene un suo zoccolo duro di sostenitori (ed elettori). Accorinti, invece, è verso le parti basse della classifica, con una popolarità sotto il 50 per cento (48%) e al 76° posto (va comunque meglio di gente come il sindaco di Bologna o quello di Venezia): essere il primo cittadino, pacifista e antimilitarista e militante, di una città complicata come Messina non è affatto facile se si è appunto una persona così fuori dagli schemi e controcorrente. Il professore di educazione fisica e leader No Ponte ha perso 4,7 punti rispetto al giorno di quella storica ed epocale elezione.
Per la cronaca, Catania e Messina, nel Governance Poll 2012, erano rispettivamente terzultima e penultima nella graduatoria nazionale. I sindaci erano Raffaele Stancanelli e Giuseppe Buzzanca, tutti e due del Pdl, tutti e due ex Alleanza Nazionale. Due città storicamente di destra adesso sono governate da un moderato del centrosinistra e da un "estremista". Non cambiano solo le classifiche.

mercoledì 8 gennaio 2014

I fuochi di Barcellona

Nel 2011 è uscito per Mondadori "La mafia uccide d'estate", libro in cui l'allora ministro della Giustizia Angelino Alfano raccontava la criminalità organizzata vista con gli occhi di un siciliano uomo di governo. Il titolo è simile, molto simile, a quello del film di Pif, "La mafia uccide solo d'estate", che ha sbancato al botteghino e anche nelle critiche. Pare sia solo di una coincidenza.
A distanza di pochi giorni, mi ritrovo a citare ancora quel titolo, sostanzialmente per dire esattamente il contrario. Pippo Fava ammazzato il 5 gennaio 1984: pieno inverno. Beppe Alfano ucciso dalla mafia barcellonese l'8 gennaio 1993: 21 anni fa, ancora pieno inverno.
L'omonimia, d'istinto, mi fa scorrere un brivido. Si chiamava Alfano come il ministro, Beppe, l'ultimo giornalista della lunga e triste lista di quelli ammazzati dalle mafie in Italia. Gennaio 1993, a metà tra le stragi di Capaci e via D'Amelio e l'ultima coda di sangue di Firenze e Milano. La mafia ha sempre ucciso, ha continuato a farlo, indipendentemente che le vittime fossero giudici, giornalisti o cittadini innocenti dilaniati dalla violenza terroristica. Mi fa rabbrividire anche che Beppe Alfano non venga incluso negli elenchi internazionali dei giornalisti uccisi per il loro lavoro.
Giuseppe Aldo Felice Alfano era di Barcellona Pozzo di Gotto, ma ha insegnato anche a Terme Vigliatore, il paese di mia madre nel messinese. Un uomo di destra, giornalista scomodo, di quelli che disturbano con le domande, le inchieste, l'impegno per la verità e per smascherare torti e malaffare. Era il corrispondente de La Sicilia, giornale che neanche si costituì parte civile al processo. Hanno vissuto a Vigliatore, gli Alfano, erano vicini di casa dei miei parenti. Mia madre ricorda ancora quando giocava con la piccola Sonia, la figlia di Beppe ora parlamentare europea ex Idv (eletta nel 2009: faccio notare che prese più voti nelle circoscrizioni Nord Ovest, Centro e Sud che non in quella, siciliana, delle Isole...) e presidente della Commissione speciale antimafia del Parlamento di Strasburgo. Singolare che Sonia Alfano sia dello stesso paese e sia stata nello stesso partito di Mimmo Scilipoti: non ho dubbi che per lei sia un sollievo non essere più dipietrista.
Beppe Alfano va ricordato per tutti i motivi che ci impone il dovere della memoria delle vittime della mafia. Condivide con altri suoi colleghi, come Giovanni Spampinato a Ragusa e Pippo Fava a Catania, un destino particolare: morire per mano di mafia in zone dove la retorica ufficiale e istituzionale ne ha sempre negato l'esistenza. Ragusa e Messina sono sempre finite relegate alla voce "provincia babba", stupida, dove stupidità è ovviamente la mancanza (solo presunta, ormai è risaputo) di quelle forme estreme e illecite di potere. Alfano è morto dopo aver scoperto che il latitante Nitto Santapaola, boss della mafia catanese, soggiornava tranquillo lì, in quell'area del messinese, e ben coperto dalla oscena miopia, scientificamente voluta e non casuale, di chi doveva vigilare, a partire dalla magistratura locale.
E quindi l'8 gennaio 1993 moriva Beppe Alfano, consapevole, come ha raccontato la figlia Sonia, che la mafia non l'avrebbe fatto arrivare vivo al 20 gennaio. Così l'avevano avvertito. Lui è andato avanti.

domenica 5 gennaio 2014

La mafia non uccide solo d'estate

Il titolo non è una polemica sul film di Pif. Anzi, mi è piaciuto moltissimo. Solo che oggi è il trentesimo anniversario della morte di Pippo Fava. E a gennaio fa freddo pure dalle mie parti. Ah, per inciso, bravi i ragazzi di WikiMafia che sono riusciti, mettendo pressione alla Rai, a far portare in prima serata il docu-film "I ragazzi di Pippo Fava" su Rai3 (in origine l'avevano programmato al "comodo" orario delle 23.40).
Il 5 gennaio 1984 dunque la mafia catanese uccideva Giuseppe "Pippo" Fava, 58 anni, giornalista, scrittore e drammaturgo, intellettuale vero e impegnato. Sceneggiatore di Palermo or Wolfsburg, Orso d'oro al festival di Berlino nel 1980. Papà di Claudio, leader storico della sinistra siciliana. Soprattutto fondatore de I Siciliani: il ricordo che ho io di Fava, oltre alla lapide sulla casa natale nella sua bella Palazzolo Acreide, è proprio la pila di riviste in una delle librerie di casa, in camera mia.
Fava è uno dei giornalisti ammazzati dalla mafia, anche se la vulgata delle autorità e delle istituzioni catanesi di allora diceva senza dubbi che la mafia non esisteva a Catania. Come insegna pure Pif, morivano (muoiono?) tutti per questioni di fìmmini o al massimo di soldi. Movente passionale, mica il clan Santapaola, chiaro...
E invece gli affari e la ricchezza che fecero ribattezzare Catania "la Milano del sud" erano legati proprio all'intreccio di interessi e malaffare, di lobby e appalti. Era la città dei "quattro cavalieri" Costanzo, Finocchiaro, Graci e Rendo (questi ultimi due provarono pure a comprarselo, I Siciliani, per controllarlo meglio: Pippo non glielo permise). Una città in cui l'editoria è ancora oggi quasi monopolio di Mario Ciancio Sanfilippo, lo stesso che a fine anni Settanta, da editore del pomeridiano Espresso sera, non promosse direttore il bravo Fava (che intervistava boss come Genco Russo o don Calò Vizzini), perché troppo libero.
Pippo Fava, giornalista libero, morì 30 anni fa. A Catania, dove c'è la mafia. Che uccide anche fuori stagione.