lunedì 29 dicembre 2014

La quirinabile

Flashback #1
«Faremo come Temistocle che decide di affrontare per mare l'armata persiana anziché aspettarne l'arrivo dietro le spesse mura di Atene». Il 21 aprile 2007 io c'ero, al Mandela Forum di Firenze, ultimo congresso dei Democratici di Sinistra prima dello scioglimento nel futuro Pd. Queste parole introducevano il secondo discorso più applaudito. Il primo era stato quello di Fabio Mussi, che disse "basta, io scendo qui". Ricordo benissimo la standing ovation, sincera ed emozionata. Titolare di quelle parole auliche era invece Anna Finocchiaro. Sembrava proprio un discorso da leader in pectore. Lei era emozionata, ogni tanto la voce tremò in quel discorso. Il piglio comunque ce l'ha, la signora, una bellissima signora, nata quasi 60 anni fa a Modica. L'anno prima, nel 2006, dopo la prima elezione di Napolitano al Quirinale, ebbe a dire: «Un uomo con il mio curriculum l'avrebbero già fatto presidente». Ecco, diciamo che forse Anna Maria Paola Luigia Finocchiaro in Fidelbo ci ha creduto davvero di salire al Colle. E può sperare ancora, in realtà. Piace anche a parte della destra, che tutto sommato subisce il fascino di certi dalemiani. Infatti si dice che lei stessa abbia sondato la disponibilità di Berlusconi a votarla...
Lei, che era inizialmente contraria alla svolta della Bolognina.
Flashback #2
Un anno dopo l'evocazione di Temistocle, l'11 aprile 2008, Anna Finocchiaro era davanti al mio vecchio liceo e al Teatro Garibaldi, a Modica. Scelse quella parte del centralissimo corso Umberto I come piazza, piccola, raccolta e intima, per la chiusura della campagna elettorale per le elezioni regionali in Sicilia. Lei era la candidata che il centrosinistra opponeva a Raffaele Lombardo. Perse, e pure malissimo, ma non se ne fece cruccio perché intanto aveva già pronto il paracadute senatoriale (eletta in Emilia-Romagna). Terza arrivò Sonia Alfano, per la cronaca. Ma io me la ricordo quella sera lì, Anna. Emozionata ancora, nella sua città natale, insieme a tanti amici e compagni d'avventura politica. C'era molta sinistra e lei salutò con affetto sincero il Crocetta comunista sindaco di Gela e persino quelli che non aderirono al Pd restando nell'effimera Sinistra democratica. Presentava la serata un roboante Luca Zingaretti, alias Montalbano. Illusione completa. Era candidata in un sostanziale ticket con Rita Borsellino. Diceva di volersi «prendere cura della Sicilia come farebbe una madre». Testuale.
Il suo nome torna ora nella lista dei "quirinabili". Se davvero Renzi vorrà puntare su una donna, lei sarebbe accreditata (al di là della solita candidatura di bandiera di Emma Bonino). Ma si tratterebbe di una scelta molto "politica", anche in senso negativo. Potrebbe farcela, cioè, se la politica decidesse di fare un favore solo a se stessa e ignorare il sentire comune. Sarebbe cinico soprassedere sulle grane giudiziarie del marito e sulla squallida vicenda della scorta all'Ikea. Della serie: il diavolo fa le padelle ma non i coperchi.

domenica 28 dicembre 2014

Il quirinabile

Flashback #1
Il 18 aprile 2013, il presidente della Regione Siciliana, Rosario Crocetta, svela il mistero: è stato lui a votare l'unica scheda con il nome di Pietro Grasso, presidente del Senato, per il Quirinale. «Una persona che può rompere gli schemi, un nome di ampie convergenze nella società civile», diceva Crocetta. Il resto è storia. Ma ora che Napolitano dovrebbe lasciare definitivamente, nella partita del toto-nomi quello di Grasso, seconda carica dello Stato, non è affatto fuori dai giochi.
I bookmakers inglesi non lo danno tra i più quotati, ma lui c'è. Il metodo pure. Grasso ha commesso diversi errori a Palazzo Madama, ma il pregio, paradossalmente, è stato quello di aver scontentato quasi tutti. Ha pagato la scarsa esperienza politica, certo. Ma la decina di voti che prese dai senatori del Movimento 5 Stelle, indignati all'idea di non poter bloccare la scalata di Schifani per i veti via blog, dimostra che potrebbe far breccia anche fuori dalla maggioranza. Una soluzione di garanzia, si direbbe. Lo so, ai grillini duri e puri, ai travagliani, ai movimentisti dell'antimafia, Grasso non piace troppo. Solita questione di potere e di diverse idee su come si debbano fare magistratura e lotta alla criminalità. Intanto però, lui, che ha fatto pure il maxiprocesso, annovera tra i successi suoi (e dell'antimafia) la condanna di Cuffaro. Ottenuta con realismo e senza troppi voli pindarici. Con meno clamore di un concorso esterno, ma con la maggiore concretezza di un favoreggiamento. Anche questo è metodo. Oltre al fatto, tutt'altro che secondario, che lui la magistratura l'ha lasciata definitivamente per dedicarsi alla politica. Una scelta al di là delle aspettative.
Flashback #2
Un presidente della Repubblica deve essere anche popolare, cosa che in verità Napolitano è stato pochissimo, così preso tra la sua aristocrazia politica e la seriosità del ruolo di "produttore di moniti". Una quarantina di anni fa Grasso giocò invece a calcio, nella palermitana Bacigalupo, "creatura" nientemeno che di Marcello Dell'Utri. Squadra allenata anche da Zeman (che guarda caso, prima di incantare Foggia, avrebbe cominciato negli anni '80 la scalata italiana con tre belle stagioni nell'agrigentina Licata, paese natale di Grasso). Pietro giocava da mediano.
Oggi si scatena sui social network. Dalla ricerca TweetPolitics risulta il primo politico non leader di partito per il ritmo di crescita dei suoi followers. Su Twitter tifa Palermo, parla di temi sociali, ricorda il fascino che emanava Virna Lisi, pubblica foto, polemizza con i senatori 5 Stelle. Lui, ex procuratore, quindi uomo d'attacco per professione, con i suoi critici più severi gioca sempre di difesa, in contropiede e passa al contrattacco, da buon mediano di spinta, appunto. Dando del "tu" ai vari Morra, Bottici, Lezzi. Alcune sue uscite naïf in Aula lo rendono persino simpatico.
Il primo giorno della legislatura presentò la sua proposta di legge anticorruzione. Il secondo è stato eletto presidente del Senato. A capodanno compirà 70 anni. Portati comunque bene. Grasso è la dimostrazione di cosa potrebbe fare Zeman se curasse meglio la fase difensiva.

lunedì 15 dicembre 2014

La Vittoria della mafia

Esattamente quattro anni fa, in uno dei primissimi post pubblicati su questo blog, si parlava di un omicidio avvenuto a Vittoria, nel Ragusano. Inizialmente si pensò a un delitto di mafia, poi si scoprì che così non era. Ma Vittoria è una città in cui la mafia ha purtroppo operato e prosperato, e pure ucciso.
Ieri, quattro anni dopo quel post, è stato ammazzato in pieno centro, in una domenica pre-natalizia, un 53enne calabrese, Michele Brandimarte, di Oppido Mamertina (il paese delle processioni sotto casa dei boss) ma da tempo residente a Gioia Tauro (la città del porto dei grossi traffici illeciti). Risposta semplice e veloce alla domanda prevedibile e comunque legittima: un calabrese con precedenti gravi, per di più legato alla cosca Piromalli-Molè, potrebbe trovarsi a Vittoria non per caso. La città ipparina (si chiama anche così) è un grosso centro in cui da decenni convergono interessi di tipo mafioso, tanto di Cosa Nostra quanto della locale stidda. E la 'ndrangheta? C'entra perché Vittoria è uno dei vertici del triangolo della "frutta sporca": sul mercato ortofrutticolo di Fanello ha messo le mani la criminalità siciliana, quello laziale di Fondi è regno dei casalesi e all'ortomercato di Milano comanda proprio la 'ndrangheta (ah, la mafia al nord...). Quel paesone dell'estremo sud di Sicilia, Italia ed Europa è luogo di saldatura di interessi e malaffare tra le grandi mafie italiane, che collaborano tra loro più di quanto non si voglia credere. Negli anni scorsi esponenti del clan dei casalesi sono stati arrestati proprio a Fanello, guarda caso.
Vittoria è in provincia di Ragusa, quella che per lunghissimo tempo è stata considerata "babba", stupida, ingenua, a bassissima se non nulla densità mafiosa. Così non è, e non era neanche in passato, a dirla tutta. Ma anche ammettendo per astrazione che il Ragusano fosse più o meno immune dalla mafia, Vittoria avrebbe in ogni caso rappresentato una clamorosa eccezione, tra contrabbando, traffico di droga, racket, centinaia di affiliati e faide stragiste. Proprio 4 anni fa, ma era luglio, pubblicai uno dei primi lavori a mia firma: era un mini-saggio per Diacronie, rivista di storia contemporanea. Provai a tracciare una storia parziale della mafia a Ragusa. La tesi, ovvio, è che una mafia ci sia pure in terra iblea. Come ha sempre detto Carlo Ruta. Noto solo che quasi contemporaneamente al mio articolo, l'allora presidente della commissione regionale Antimafia, Lillo Speziale del Pd, di Gela ma avversario di Crocetta, aveva detto, in visita proprio a Vittoria: «La provincia di Ragusa costituisce un'autentica isola felice, nel panorama siciliano, per quanto concerne il preoccupante fenomeno dell'illegalità». Testuale. C'erano appena stati episodi di racket e minacce, tanto per dire. Scrissi a Speziale, ma ovviamente non rispose mai. Chissà cosa ne penserà adesso...

domenica 14 dicembre 2014

Condimento molto salato

Il sommo Dante sosteneva che il cibo più buono al mondo fosse l'uovo sodo. E il condimento perfetto era il sale. Insomma, piatti e ingredienti semplicissimi e genuini. Non mi azzardo a parafrasare l'Alighieri, ma – soprattutto se mi trovo in Sicilia – potrei dire senza dubbi che poche cose sono più buone del pane condito, o meglio u' pani cunsatu. E naturalmente, per essere precisi, il condimento migliore, a completare olio e sale e pane fragrante, è l'origano. Mi perdonerà dunque il Vate fiorentino: il sale sta all'uovo sodo come l'origano al pani cunsatu (e a mille altre cose, in realtà: io lo metterei quasi ovunque...). Quell'erba aromatica ha per me, siciliano rustico mediterraneo, quasi un effetto proustiano.
Quindi mi ha colpito la vicenda dell'emendamento alla legge di Stabilità (banalmente, alla manovra finanziaria) proposto dalle senatrici Pd Leana Pignedoli, emiliana, e Venerina Padua, siciliana di Scicli, sull'aliquota Iva dell'origano in vendita "a rametti o sgranato". I numeri: a differenza di basilico, menta, rosmarino e salvia che godono dell'Iva agevolata al 4%, l'origano è in pratica l'unica erba aromatica su cui si applica la canonica e pesantissima aliquota del 22%. Ecco cosa dice l'Agenzia delle Entrate: «L’origano, da un punto di vista tecnico/merceologico appartiene alla stessa voce doganale del basilico, rosmarino e salvia ma, a differenza di questi ultimi prodotti, non è letteralmente menzionato dal legislatore fiscale al citato n. 12-bis) della Tabella A, parte II del D.P.R. n. 633 del 1972 ai fini dell’applicazione dell’aliquota IVA ridotta del 4 per cento». Mannaggia. E pensare che esiste anche un'Iva al 10%, per le miscele di spezie...
Le senatrici Pignedoli e Padua, dunque, hanno proposto di abbassare l'aliquota, ma hanno "condito" il tutto con una bella gaffe: parlano di un'Iva al 6%, che in Italia non esiste (ma c'è in Svezia, Belgio, Portogallo e Lussemburgo). Prima di loro, a essere precisi, a gennaio avevano preso a cuore la questione anche i deputati siculi, di Nuovo Centrodestra, Alessandro Pagano e Nino Minardo. Erano stati sollecitati, pare, dai produttori concentrati in particolare nella provincia di Ragusa. Per fortuna che io, quando posso, l'origano vado a raccogliermelo direttamente nei campi. In greco vuol dire "splendore di montagna".
Per una volta, allora, facciamo di tutta un'erba un fascio.

venerdì 12 dicembre 2014

Tutti i nodi ferroviari vengono al pettine

Tra le peggiori linee d’Italia è sicuramente la linea Siracusa-Gela che collega due Province importanti, lunga 181 km, ma ancora non elettrificata e a binario unico e che vede, soprattutto, un solo treno diretto collegare le due città. Il numero di pendolari che frequentano questi treni inevitabilmente continua a calare, sono circa 500 al giorno di cui il 95% si muove da Modica-Pozzallo a Siracusa e viceversa. Solo nell’ultimo biennio i treni soppressi sulla linea sono stati 14. Lo stato dei treni è mediocre mentre i servizi igienici nelle stazioni sono stati chiusi, salvo qualche rara eccezione dove il servizio è gestito dal Comune in collaborazione con il bar di stazione come nel Comune di Vittoria. Le biglietterie nelle stazioni sono del tutto scomparse se si fa eccezione per le stazioni di Siracusa e Gela, con l’ultima recente chiusura di quella di Modica. Infine è da rilevare come gli attuali tempi di percorrenza dei treni in questa linea, siano addirittura superiori a quelli di 20 anni fa malgrado siano pochissimi i treni che la percorrano e siano stati realizzati interventi di miglioramento dell'infrastruttura. In più i treni circolanti tra Modica e Gela molte volte sono sostituiti interamente o parzialmente (solo per un tratto intermedio) da bus, quindi le coppie circolanti che dovrebbero essere 4 (minimo storico) per gran parte dell'anno si sono ridotte a 3.
Rapporto "Pendolaria 2014" di Legambiente. Le peggiori dieci linee ferroviarie per pendolari d'Italia. Al numero 4, così come testualmente qui sopra, c'è la Siracusa-Ragusa-Gela. Non c'è molto da dire, purtroppo. Le cose stanno come le spiega Legambiente. Io dico solo che su quella linea, nel tratto ragusano, ho viaggiato un paio di volte, ai tempi della scuola, per qualche piacevole gitarella. Perché il grande pregio di quella tratta è che attraversa paesaggi suggestivi e in alcuni punti, tra Modica e Ragusa soprattutto, è un gioiello di ingegneria, tra gallerie, avvitamenti, dislivelli arditi. Bella davvero.
A proposito di servizi igienici: alla stazione di Ragusa fotografai una ventina d'anni fa la triplice insegna all'ingresso della toilette. C'era quella ufficiale, asettica, blu, con le sagome e su scritto "wc". Poi una meno recente, "bagni". E soprattutto la più bella, vagamente liberty, da primo Novecento: "cessi". Ecco, mi pare che le condizioni generali della ferrovia iblea vadano indietro, proprio come i wc che tornano a essere cessi.
Peccato. Su quella linea si erano riposte parecchie speranze, anche in chiave turistica (nell'attesa, peraltro, di vedere ancora completata pure l'autostrada Siracusa-Gela). I rimpalli di responsabilità tra Ferrovie dello Stato e Regione Siciliana hanno fatto sì che sostanzialmente si avviasse verso il fallimento quella bella iniziativa che era il "Treno Barocco", un viaggio slow in mezzo alle terre dell'Unesco. Iniziativa selezionata anche nell'ambito di Maratonarte nel 2008: il testimonial era Luca Zingaretti e dal 2 marzo al 28 settembre di quell'anno si poté viaggiare gratis da turisti su quella linea. Costo del progetto: 354mila euro.
Quando ero piccolo mi colpì una frase letta su un catalogo Lego: ogni città che si rispetti ha la sua stazione dei treni. Avendo visto in che stato versa(va)no le ferrovie dalle mie parti, ed essendo un patito dei mattoncini, mi vennero molti dubbi... E pensare che se non ci fosse stata la stazione a Modica, non potrei vantarmi di essere compaesano di Salvatore Quasimodo. Nato a Modica solo per caso, figlio del capostazione Gaetano, siracusano.


P.S. Siccome piove sempre sul bagnato, appena qualche giorno dopo il rapporto di Legambiente risulta che per sei mesi, fino al giugno 2015, i collegamenti ferroviari tra Modica e Caltanissetta, via Gela, saranno sospesi e sostituiti da pullman, "per lavori programmati di manutenzione". Ci vogliono 4 ore di autobus da Caltanissetta a Modica...
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giovedì 11 dicembre 2014

La verità adulterata

La storiaccia del piccolo Loris nel Ragusano è davvero triste, brutta, sconfortante. Non è uno di quegli argomenti che cattura troppo la mia attenzione, se non naturalmente entro i normali limiti dell'umana pietà. Però ieri sera al telegiornale ho sentito una cosa che mi ha davvero infastidito, urtato, intristito. Insomma, scegliete uno stato d'animo negativo e quello l'ho provato ieri sera. Il padre di Loris, Davide, a un certo punto, per negare risolutamente le voci che in paese mettevano in dubbio la fedeltà della moglie, la Veronica oggi in carcere, ha detto una cosa tipo "può anche essere l'assassina di mio figlio, ma escludo che possa avermi tradito". Semplifico, ma fidatevi, il senso è quello. Dunque Veronica Panarello è una brava moglie, pure una brava mamma, come qualche giorno prima aveva detto lo stesso Davide.
Ho avuto un sussulto, una reazione immediata, che mi ha fatto capire che in realtà non sempre il grottesco fa ridere. Sì, perché le parole del signor Stival sono praticamente le stesse che mesi fa mi capitò di sentire in una replica a tarda sera di Made in Italy, film a episodi del 1965 di Nanni Loy. Nell'episodio Usi e costumi c'è infatti un sicilianissimo Lando Buzzanca, alias Giulio, innamorato della sua Rosalia, che però non si lascia mai baciare. Allora Giulio, per vederci chiaro, chiede informazioni a un amico carabiniere. In breve, Rosalia è autrice di mille nefandezze: ladra, rapinatrice, manesca, violenta. Ma a lui non interessa: è sollevato quando sa che Rosalia non è venuta meno alle sue virtù di donna. L'importante è che sia illibata.
Tornando a Santa Croce Camerina, Davide Stival, già nel contesto di una storia di plausibile squallore familiare, ha suscitato in me questo grande fastidio. Mi ha fatto male, anzi schifo, sentire parole e concetti che non mi sono mai appartenuti, che personalmente ho sempre collocato nella sfera del grottesco, della macchietta, dello stereotipo buono per le risate da cinema. Mi hanno fatto schifo quelle parole, perché raccontano di una Sicilia e di siciliani che io non conosco, dis-conosco. Io non c'entro con la Sicilia del presunto onore maschile, maritale, virile, e quella Sicilia non c'entra con me. La mia Sicilia è quella del rispetto tra uomo e donna, non quella che sembra ignorare il nuovo diritto di famiglia (nuovissimo: così come inizialmente riformato nel 1975, direi...). Non quella in cui un uomo, un marito, un padre, un lavoratore, ribalta la morale e si preoccupa delle sue corna più del sangue del suo sangue sparso sulla nuda terra in una contrada desolata.
Mi spiace per questa storia tragica e sconfortante. Povero Loris, povera famiglia, povero paese. Ma mi spiace anche per questo messaggio di Sicilia sciascianamente "irredimibile", come se l'Isola fosse rimasta la terra arcaica e tribale che decenni di commedia di serie B hanno raccontato tra sghignazzi, occhiolini e  gomitate di complicità. Mi sono rotto, vorrei far uscire immediatamente dal mio vocabolario la parola "onore". Basta. Hanno ammazzato un bimbo, cazzo. Tenete alto l'onore, mi raccomando.

sabato 6 dicembre 2014

Little oranges

C'è una storiella ebraica molto carina, raccontata da Moni Ovadia nel suo libro-spettacolo Perché no? L'ebreo corrosivo (1996). Un nuovo rabbino, giovane, arriva in una comunità. A un certo punto della liturgia, la prima volta che parla ai fedeli in sinagoga, succede una cosa strana: metà platea si alza in piedi, l'altra metà resta seduta. E iniziano tutti a litigare, accusandosi reciprocamente di eresia e analoghe nefandezze religiose. Il giovane rabbino resta interdetto e non sa che fare né come riportare alla calma tutti quanti. Alla fine, le opposte fazioni propongono la soluzione: c'è il vecchissimo rabbino, ultracentenario, che vive isolato a godersi in meditazione gli ultimi anni della sua lunga e religiosissima vita, lui sicuramente saprà dare una risposta e dire chi ha ragione. Così il rabbino parte con una delegazione degli "in-piedi" e una dei "seduti". Arrivati dal vecchio saggio, gli chiede come deve procedere la liturgia a quel punto particolare. E cominciano le urla: "si sta in piedi", "no, si resta seduti", e giù insulti, "eretici", "blasfemi", "sacrileghi". Poi si fa silenzio, dopo una lunga riflessione il vecchio rabbi risponde: "Arrivati a quel punto della liturgia... una parte della comunità resta seduta, l'altra metà si mette in piedi. E cominciano tutti a litigare!".
La foto è la stessa con cui il Boston Globe ha illustrato la notizia
Ecco, quella comunità immaginata da Moni Ovadia mi torna spesso in mente quando sento della infinita e irrisolta (irrisolvibile?) querelle tutta siciliana sul corretto nome di quella delizia della gastronomia che sono gli arancini, o le arancine. Nel senso che, alla fine, ognuno ha la sua ragione: i palermitani continueranno a rivendicarne la femminilità, i catanesi e il resto della Sicilia orientale parleranno unicamente di arancini (peraltro a forma di cono e non di palla). La questione è semiseria, più o meno come la lite tra gli "in-piedi" e i "seduti" di Ovadia. Io continuerò a chiamarli arancini (anche se nel Ragusano, che sempre ama distinguersi, c'è chi lo dice al femminile: a Modica si trovano salomonicamente entrambe le diciture, ma forse è solo un caso...), gli amici palermitani e della Sicilia occidentale diranno arancine. Tant'è. Non ci metteremo mai d'accordo, perché un accordo non bisogna trovarlo. Purché non diventi una guerra di religione!
Però, c'è un però. Se già i dizionari di lingua siciliana parlano perlopiù di arancini masculi, è notizia di questi giorni che anche gli Oxford Dictionaries, la versione più moderna dei prestigiosi vocabolari editi dall'università di Oxford, hanno introdotto nella lingua inglese (britannica e americana) la parola "arancini". Al maschile, plurale. La definizione è "An Italian dish consisting of small balls of rice stuffed with a savoury filling, coated in breadcrumbs, and fried". Un piatto italiano che consiste in polpette di riso con un ripieno saporito, coperte di pangrattato, e fritte.
Oltre agli arancini, entrano nei dizionari Oxford anche i cappellacci, le trofie, il guanciale, e parm, un termine americano informale per indicare piatti a base di parmigiano. Insomma, la gastronomia italiana trionfa non solo sulle tavole ma anche nelle culture di altre nazioni.
Io, a questo punto, seguirei il consiglio degli studiosi di Oxford e mangerei volentieri un arancino. Tanto si può mangiarlo/a sia in piedi che seduti. Almeno su una cosa non litighiamo...

martedì 2 dicembre 2014

Saro Tommasi

Non ricordo bene, era il 2005 oppure il 2006. A Firenze, nel polo scientifico universitario di Santa Marta, vidi per la prima volta Rosario Crocetta. Era ancora sindaco di Gela e in quell'occasione parlava, in un'auletta poco affollata ma con un pubblico giovane e molto interessato, di mafia e antimafia. L'incontro era organizzato con la Fondazione Caponnetto e c'era anche Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell'Associazione familiari vittime della strage di via dei Georgofili. Io andai con mia sorella. Eravamo in pochi, in effetti.
A un certo punto, un ragazzo chiese a Crocetta quanto fosse difficile vivere sotto scorta, e soprattutto quanto questo influisse sulla sua vita familiare. Insomma, Crocetta, ma non si rende conto che con le sue battaglie mette in difficoltà anche i suoi cari? Sì, Crocetta ne era e ne è profondamente consapevole. Saro parlò però di sua mamma, i suoi affetti erano lei. Lo sapevamo benissimo tutti che Crocetta è omosessuale, io sinceramente non mi aspettavo che dicesse qualcosa tipo "eh sì, mi spiace per il mio fidanzato". No, non lo disse. E non dovrebbe dirlo, in un mondo normale. Fatti suoi.
Ecco, ho sempre trovato viscido e squallido che si facesse ricorso alle scelte private di Crocetta per screditarne l'azione politica e sociale. Di difetti l'uomo ne ha tanti, politicamente parlando, a partire da una certa voglia di esercitare e mantenere il potere nonostante tutto. E a me – che non l'ho votato – interessa questo, casomai.
Invece vedo che ultimamente l'orientamento sessuale di Crocetta è entrato di diritto nel novero dei motivi per cui criticarlo. Ricordo solo Beppe Grillo che l'ha definito «uno che ormai non si sa cosa sia, da tutti i punti di vista». Chissà quali punti di vista stesse esaurendo Grillo nella sua veloce disamina... E poi ci sono le ultime esternazioni mediatiche. Prima quella dell'assessore all'Urbanistica della Regione Lombardia, Viviana Beccalossi di Fratelli d'Italia. «Frocetta, prendi del Valium! Ma vuoi stare zitto? Hai queste crisi isteriche un po' femminili». Non c'è peggior maschilista di certe donne. La signora Beccalossi, poi, alle cronache politiche è nota perché nel 2003, in campagna elettorale a Brescia, il suo allora leader Silvio Berlusconi disse «Forza Viviana! Fagliela vedere». Lei disse di non essersene accorta "lì per lì".
Ma al di là del sessismo omofobico di una donna di destra tutta d'un pezzo, ieri si è fatta segnalare un'altra perla. L'autrice – perché anche in questo caso si tratta di una donna, guarda un po' – è Sara Tommasi. Purtroppo sì. Ecco la lezioncina di una donna che ha avuto qualche problema anche con la sua sessualità:
Eh vabbè, le cose dunque stanno così. C'era più coerenza nel sentirsi rappresentati da presidenti di Regione indagati o condannati per reati di mafia? Nulla contro Sara Tommasi – che pure ha continuato a ribadire che stava solo scherzando e non c'è nulla di male a dire certe cose. Semplicemente mi diverte, paradossalmente, la bassezza del livello dialettico, retorico e propagandistico cui siamo arrivati. Soprattutto mi fa sorridere amaramente che la ragazza di Terni è la naturale evoluzione di un pensiero lungo secoli, da D. H. Lawrence agli altri scrittori del Grand Tour, da Vitaliano Brancati a Lando Buzzanca, dalla commedia sexy al delitto d'onore, dall'omofobia di paese agli stereotipi sessuali di una bassissima antropologia d'accatto, dall'alta letteratura alle battute da terza elementare. Povera Sara, povero Saro. Poveri noi.