sabato 25 aprile 2015

Vittima dell'errorismo

«La colpa della morte di Giovanni Lo Porto è dei terroristi». Penso e ripenso da due giorni a questa cosa. La notizia dell'uccisione del cooperante palermitano in Pakistan, durante un'azione armata degli Stati Uniti, mi ha provocato rabbia e disgusto. Senza anti-americanismi di maniera. Mi ha fatto rabbia sapere che un nostro connazionale, e pure uno dei migliori, rapito tre anni fa da al Qaeda, sia morto per colpa di un bombardamento alla cieca, per una prova di forza fine a se stessa, un atto di machismo, l'idea che si debba parlare solo il linguaggio delle armi. Rabbia e disgusto, perché la notizia l'abbiamo saputa, noi italiani, in ritardo e con la solita impotenza: il presidente americano Obama ce l'ha comunicato a fatto avvenuto, eravamo all'oscuro di tutto. Come quando nel 2012 Franco Lamolinara, ostaggio in Nigeria, morì in un blitz sproporzionato degli incursori britannici: l'Italia non ne sapeva nulla. E non parliamo di Nicola Calipari...
Ma, ripeto, lasciamo da parte ogni facile e fuorviante sentimento anti-americano. Il problema è un altro, o meglio sono tanti altri i problemi. Giovanni "Giancarlo" Lo Porto non era un volontario, non era uno sprovveduto, non era un avventuriero. Si mettano il cuore in pace quelli che hanno questa opinione di chi fa cooperazione internazionale e non indossa una divisa. Lo Porto è stato ammazzato da uomo inerme, perché il suo lavoro non prevede armi o uso della forza, nemmeno quella "istituzionalizzata" dietro il paravento dell'uniforme.
E qui arriviamo al punto di partenza. Quel virgolettato ("la colpa è di al Qaeda") è del presidente del Consiglio Matteo Renzi. Che si è accontentato naturalmente delle condoglianze americane di rito, dell'ammissione di responsabilità di Obama ed evidentemente dell'ineluttabilità della morte di un italiano perbene in un teatro di guerra, violenza e povertà. Lo stesso premier, però, ha ritenuto di dover sottolineare che la vera colpa ce l'hanno i terroristi che tenevano in ostaggio Giancarlo Lo Porto. Un sofisma totalmente inutile, del quale suppongo che la famiglia del cooperante possa fare benissimo a meno. Alla madre, che dignitosamente chiede di essere lasciata in pace con il suo dolore, non cambia nulla, immagino: suo figlio era sotto sequestro, lei è perfettamente consapevole delle colpe dei qaedisti.
Io mi faccio solo una domanda: Renzi intende dire che Giancarlo è da considerare "vittima del terrorismo", dunque destinatario dei benefici di legge e pensionistici? Domanda provocatoria, cinica e maliziosa, volutamente. Ma il rispetto dovuto a Lo Porto impone chiarezza, non parole gettate al vento come un drone, magari nel vuoto di un'aula parlamentare sorda, cieca, ipocrita.

mercoledì 15 aprile 2015

A19. Colpita e affondata

Risale a molti anni fa l'ultima volta che ho percorso la A19, l'autostrada che collega Palermo e Catania, dunque potrei avere dei ricordi appannati e inesatti, ma per quel che mi riguarda l'ho sempre considerata una strada decisamente inadeguata. E sono sempre stato convinto che non costituisse quell'asse strategico che ci si potrebbe immaginare. Poco trafficata, pochissimo curata, quasi priva di servizi (soprattutto in direzione Catania-Palermo), una lunga sequela di bassi viadotti e piloni a cavallo di letti perlopiù asciutti di fiumi in un paesaggio siciliano da stereotipo, svincoli praticamente nel nulla. Insomma, una strada alla quale difficilmente si potrebbe dare il titolo di "autostrada". Ma tant'è, assomiglia alla vecchia A3 (anche se, paradossalmente, checché se ne dica, la Salerno-Reggio è migliorata: ciò non toglie che sia nuovamente bloccata per il crollo, tragico e mortale, di un viadotto...).
Proprio il crollo di un viadotto, l'Himera, vicino a Scillato nel Palermitano, ha fatto scoprire più o meno l'esistenza di quell'autostrada nata male. Quei trecento metri di strada travolta da una frana hanno portato la A19 sotto i riflettori. E si è parlato di "Sicilia divisa in due". Io ho parecchi dubbi. Dubbi, non certezze. Sensazioni, non prove. Però, percorrendo più spesso la A18 (Messina-Catania-Siracusa, prossimamente estesa fino a Gela) e la A20 (Messina-Palermo), ho un'idea mia della differenza tra le tre principali arterie autostradali della Sicilia. Rispetto alle altre due, la A19 non ha pedaggio, è gratis (e questa è spesso la scusa per lasciare le infrastrutture semi-abbandonate...), e non è gestita dal Consorzio per le Autostrade Siciliane, il Cas, bensì dall'Anas. Proprio come la famigerata autostrada dall'altra parte dello Stretto. E infatti se ne sta parlando per gli scandali legati alle gestioni dell'Anas di Pietro Ciucci, lo stesso uomo che Berlusconi volle alla guida della società Stretto di Messina Spa. I piloni di Scillato sono il pretesto. Ciucci si dimetterà ma non ne uscirà con le ossa rotte.
Di rotto c'è invece molto in Sicilia, proprio su quell'asse Palermo-Catania. Perché quello che fa amaramente sorridere, rispetto agli allarmi sulla "Sicilia divisa in due", è che per l'Isola questa situazione contingente è solo un peggioramento di una realtà già consolidata. Le truffe, pubbliche e private, sulle costruzioni e le infrastrutture tutto sono tranne che nuove. I crolli idem. Le frane e gli smottamenti, figurarsi. Ci vorranno, pare, due anni per ricostruire tutto il ponte crollato a Scillato, e tre mesi almeno per la bretella d'emergenza. Per costi milionari. Dunque, nel frattempo, si ipotizzano altri modi per ripristinare minimi collegamenti tra i due capoluoghi.
Il sindaco di Catania, Enzo Bianco, e la società di gestione dell'aeroporto di Palermo, Gesap, hanno fatto appello alle compagnie aeree per istituire "al volo" collegamenti tra Punta Raisi e Fontanarossa. Interessante che il primo interlocutore preso in considerazione sia stato Ryanair. Soluzioni low cost? Eppure ora anche Alitalia si è detta disponibile. Negli anni '60-'70, per la cronaca, con l'autostrada ancora in costruzione, Palermo e Catania erano unite dai Fokker turboelica dell'Itavia (antenata della compagnia di bandiera): il volo durava mezzora.
E queste sono le "fantasie". Finiamo con la cruda realtà, che cancella le ipocrisie. Qualcosa di concreto è stato fatto: un treno in più PA-CT (orario: 17.29-20.30) e un altro CT-PA (orario: 5.28-8.39). Un intervento di emergenza che ha a malapena raddoppiato i servizi – diretti – precedenti. Sì, perché in ogni caso, prima del crollo di Scillato, c'era un solo treno da Palermo a Catania (orario: 6.33-9.51) e uno da Catania a Palermo (orario: 15.21-18.40). Adesso sono due e due... Come due sono le considerazioni, a uso e consumo delle prefiche della "Sicilia divisa in due": ci vogliono più di tre ore sui 240 chilometri della linea, elettrificata dagli anni Novanta; i treni non diretti, con cambio a Messina, ci mettono 5 (cinque) ore e 20 (venti) minuti. Se questi sono i treni, peccato che non c'è un traghetto...

domenica 12 aprile 2015

Esattori di volo

"Al mondo di sicuro ci sono solo la morte e le tasse", diceva Benjamin Franklin. In Italia è un po' diverso: sicuramente ci sono le tasse, ma non si sa mai quali... Così, mentre una certa propaganda governativa, para-governativa, filo-governativa, racconta di una manovra finanziaria senza tasse, in realtà si scopre che il Def 2015 potrebbe prevedere l'introduzione di una nuova tassa di transito negli aeroporti e nei porti (a carico dei passeggeri non residenti, fino a 4 euro per andata e ritorno) per coprire i tagli – quelli sì sicuri – del governo ai Comuni.
Il discorso, pare graditissimo al sindaco di Roma Ignazio Marino, si applicherebbe nei territori delle nuove città metropolitane. Sulla carta (costituzionale) sarebbero dieci, tutte nelle regioni ordinarie. Ma ce ne dovrebbero essere anche tre nella mia Sicilia, stando alle ultime mosse legislative della Regione. Palermo, Catania e Messina, dunque. Prima, in teoria, ciascuna città metropolitana sicula coincideva solo con il territorio comunale dei rispettivi capoluoghi, mentre le recenti modifiche hanno fatto sì che si sovrapporranno completamente "metropoli" e vecchie province. Così, la nuova Sicilia non avrà più nove province, bensì – probabilmente – sei liberi consorzi di Comuni e tre città metropolitane. Il paradosso, per esempio, è che alcuni comuni (non catanesi) avevano scelto di aderire al libero consorzio di Catania anziché alla città metropolitana etnea – nella sua forma originaria, mentre adesso sembrano costretti a farsi inglobare nella macro-area.
La tassa di cui si vocifera dunque riguarderebbe anche scali aerei e marittimi delle tre metropoli siciliane. Aeroporto di Palermo (Punta Raisi), aeroporto di Catania (Fontanarossa), porto di Palermo, porto di Catania e porto di Messina. Quello che mi sembra curioso e che potrebbe portare ai soliti paradossi siculo-italiani, è che l'aeroporto di Palermo ricade tecnicamente nel territorio comunale di Cinisi (il paese di Peppino Impastato) e solo grazie alle recenti modifiche di legge è ufficialmente "palermitano". Così come, e qui andiamo proprio su terreni ancora più scivolosi e singolari, sarebbe interessante capire se realmente Reggio Calabria e Messina hanno intenzione di proseguire sulla strada, ipotizzata già da qualche anno, di integrarsi in un'unica città metropolitana a cavallo dello Stretto. In quel caso, immagino che un messinese che sbarca all'aeroporto dello Stretto (sic) di Reggio non la paga la tassa sui viaggiatori, no?
Insomma, la solita situazione indefinita all'italiana – o alla siciliana. Mi aspetto a questo punto un ulteriore boom dei collegamenti delle compagnie low cost verso gli scali di Trapani (Birgi: in parte la pista ricade in territorio di Marsala, per la cronaca) e di Comiso. Il governo potrebbe chiamarla "tassa Ryanair". D'altra parte, anche i gufi volano.

sabato 11 aprile 2015

Il miracolo di De Gennaro


Non me ne voglia nessuno, ma da quando la sentenza della Corte di Strasburgo sulle torture della polizia alla scuola Diaz durante il G8 di Genova nel 2001 è diventata un pretesto politico (e non) per mettere sotto pressione l'attuale presidente di Finmeccanica, Gianni De Gennaro, ecco, da qualche giorno penso solo a quella striscia di Paperino uscita nel 1961.
Vado con ordine. Non che il calabrese De Gennaro, "super-poliziotto", uomo d'ordine e delle istituzioni, servitore dello Stato, mi appaia maldestro come Paperino. No. Il discorso è un altro.
Innanzitutto liquido in breve l'ipocrisia del grido "vergogna" lanciato ora da chi per calcolo politico-elettorale sembra essersi accorto d'improvviso del ruolo che oggi ricopre Gianni De Gennaro, come se nel frattempo avessero perso per strada il conto degli altri incarichi prestigiosi e delicati ricoperti anche dopo quella pagina nera e (sì) vergognosa delle violenze in divisa nel luglio genovese di 14 anni fa. Singolare che il senso di "vergogna" scatti solo adesso: ma è l'ennesimo colpo ad effetto (ritardato) di una classe politica, soprattutto nelle fila del Pd, totalmente lontana dal "Paese reale".
De Gennaro è stato assolto, è noto, per le vicende della Diaz. Ma resta, entro tutte le gabbie del garantismo, un senso di fastidio e dolore, soprattutto quando si tende, anche da parte dello stesso "Sbirro" o "Squalo" De Gennaro, ad attribuire le colpe a singoli agenti e invece continuare con la stucchevole difesa di corpo. La polizia è brava in genere, d'accordo, ma allora non lo fu affatto. E non per responsabilità individuali isolate. Però vale la pena riflettere, al contrario (e torno a Paperino, lo giuro...), sulle difese ad oltranza e i ripetuti attestati di stima a De Gennaro. Di cui si ricordano per esempio grandi meriti e intuizioni investigative nella lotta alla mafia, 11 anni al fianco di Giovanni Falcone. Si occupò lui dell'estradizione di Buscetta.
Ecco, tra le tante cose sottolineate dal riflesso pavloviano dei difensori d'ufficio, spicca la FBI's Medal of Meritorious Achievement, la massima onorificenza investigativa dell'agenzia Usa, che nel 2006 è stata conferita per la prima volta a un non americano, appunto Giovanni "Gianni" De Gennaro. Il merito è quasi esclusivamente legato alle azioni di contrasto a Cosa Nostra: il suo nome è stato in cima alla lista degli obiettivi dei mafiosi e molte delle persone con cui ha collaborato sono state uccise, spiegava l'Fbi con asciutta prosa anglo-burocratese.
F.B.I., dunque. Federal Bureau of Investigation, il top per un poliziotto. Oppure, "Fate i Bravi e Incassate", come pensava Paperino davanti all'insegna distorta dell'E.B.L., ("Esattoria Bollette Luce"). In quel caso Paperino era eroico nel far rispettare gli obblighi fiscali dei suoi compaesani. Una missione forse più modesta di quella/e di De Gennaro; di sicuro, pur facendo il bravo, ha incassato molto meno...

sabato 4 aprile 2015

La Ṣiqilliyya

Anche se siamo solo a inizio aprile, quella che sto per segnalare "rischia" di essere davvero la più bella pagina di giornale pubblicata in Italia nel 2015. Il catanese La Sicilia, uno dei due più importanti quotidiani dell'Isola (l'altro è il palermitano Giornale di Sicilia), che quest'anno celebra i suoi primi 70 anni, oggi ha pubblicato una doppia pagina, in italiano e in arabo, per ricordare, con testimonianze inedite, "la strage dei 500" migranti morti il 9 settembre 2014 nel Canale di Sicilia. Un reportage da Pozzallo «per dare un nome ai dispersi», a firma di Franca Antoci (sua l'idea: bravissima!) e la traduzione di Fethia Bouhajeb e Valentina Maci per ciò che rappresenta lo vero spirito di questo mestiere, il giornalismo, bistrattato spesso con piena ragione, ma che può offrire chiavi di lettura e riflessione. Anzi, deve, non può. E poi, a dirla tutta, le pagine sono pure belle dal punto di vista grafico. La stampa è a cura della tipografia Elle Due di Ragusa.