giovedì 11 giugno 2015

Si Salvini chi può

Ricapitolando. I Paesi Ue che affossano il piano delle quote per la ripartizione dei migranti fanno schifo. Le regioni del Nord Italia che si rifiutano di accogliere i profughi invece fanno bene. Punti di vista, o di svista. La posizione della Lega Nord sul tema immigrazione, negli ultimi giorni, è di una chiarezza lampante, quasi imbarazzante. Se si tratta di attaccare la solita Europa dei finti buonisti che poi in realtà sono egoisti, allora giù con gli insulti ai nostri partner che lasciano sola l'Italia a gestire "l'invasione". Se invece si deve speculare per qualche voto in più (la campagna elettorale non finisce mai, neanche a urne chiuse), tutto sommato è comodo rinverdire i vecchi fasti dei tempi in cui il nemico era quello che viveva da Roma in giù.
Quindi Maroni e Zaia, con la partecipazione straordinaria di Toti e Forza Italia, tornano a recitare la parte dei nordisti preoccupati per il loro giusto benessere, con buona pace dei terroni. Perché, da come la Lega e il centrodestra stanno raccontando la vicenda Maroni vs. prefetti, sta passando il messaggio, strumentale, che le regioni del Nord stiano scoppiando. Il che può anche essere vero, se però si spolvera anche un briciolo di buonsenso e si ricorda che in valore assoluto il 34% (statisticamente più di un terzo) dei migranti accolti in Italia si trovano in Sicilia (22%) e Lazio (12%; cioè Roma, con tutto ciò che purtroppo ne consegue, vista Mafia Capitale...). Nella Lombardia di Maroni, terza, sono il 9%. Proporzionalmente alla loro popolazione, Lombardia, Veneto e Liguria scivolano nelle ultime posizioni della graduatoria, invece. Ma lasciamo perdere i numeri e parliamo di altri fatti – oltre che di qualche opinione.
Che fine ha fatto la campagna di conquista di Matteo Salvini al Sud? Non doveva prendersi anche le desolate lande meridionali per appropriarsi della leadership del centrodestra? Così diceva e così pareva. E invece, quasi per una specie di infantile ripicca (non dichiarata), Salvini ha reagito alla netta sconfitta in regioni e comuni del Sud abbandonando quelle stesse zone al proprio destino, rispetto alla questione immigrazione. Per poi cavalcare le provocazioni anticostituzionali dei suoi sodali settentrionali.
La Sicilia continua a essere solidale e accogliente, come più o meno avviene da secoli. Ma pure noi sotto sotto abbiamo un nostro razzismo, chiaro. E tutti i bluff politici prima o poi attecchiscono. Nel referendum del 1946 vinse la monarchia. Salvini può sperare di fare il viceré.

martedì 2 giugno 2015

Lillo e il vago biondo

Sembra un nome da cartone animato o da sketch comico, Lillo. O un vezzeggiativo infantile. Invece no. Ad Agrigento è diffusissimo: è il diminutivo di Calogero, terzo nome maschile più gettonato a Girgenti. E Lillo, cioè Calogero, si chiama anche il nuovo sindaco all'ombra della Valle dei Templi. In questa tornata di elezioni amministrative in giro per l'Italia, infatti, c'erano anche delle comunali in Sicilia. Gli occhi erano puntati su Enna, patria indiscussa del "rosso" Mirello Crisafulli (che a sorpresa va al ballottaggio), o sulla Gela del governatore Crocetta (il suo fedelissimo Fasulo se la vedrà al secondo turno con il grillino Messinese), ma anche sulla città che probabilmente più di tutte rappresenta i paradossi, le contraddizioni e le ipocrisie della Sicilia. Appunto Agrigento, che respira arie pirandelliane, echi del Gattopardo e ironie sciasciane, per non dire degli intrighi à la Camilleri.
E allora partiamo proprio dal papà del commissario Montalbano, per spiegare chi è il nuovo sindaco di Agrigento. Calogero Firetto, detto Lillo, classe 1965, era fino a una trentina di giorni fa il sindaco di Porto Empedocle, appunto patria del suo amico Camilleri (che di secondo nome, en passant, fa Calogero), nonché deputato regionale dell'Udc. Nel 2011, da uscente di centrodestra, era stato rieletto primo cittadino con il 93,31% (sic!), sconfiggendo il povero Paolo Ferrara dell'Italia dei Valori. Ed è forse proprio da lì, da quel trionfo bulgaro, che parte la rincorsa al comune di Agrigento, perlomeno nelle forme politiche. Infatti nel 2011 lo sostenevano (in ordine di voti): la lista civica Città Nuova, Udc, Mpa, Forza del Sud, Fli, Pd, le civiche Lista Sole e Sicilia Vera. Anticipatore delle larghe intese in stile montiano: un debole centrosinistra insieme all'effimero Terzo Polo. Nel 2015, per correre ad Agrigento, Firetto si è dimesso da sindaco di Porto Empedocle il 30 aprile, per poi ribadire ancora l'alleanza tra Pd e partiti di centro (in primis l'Ncd del compaesano Angelino Alfano). Ha vinto con il 59% dei voti.
Ma il bello viene prima, in realtà. Perché Firetto ha costruito la sua vittoria in appena un mese, chiamato in extremis dal Pd a guidare una coalizione di centrosinistra che con un tafazzismo di livello superiore aveva deciso di farsi guidare da un uomo di Forza Italia, Silvio Alessi. Poi Alessi è stato scaricato: l'atto di trasformismo era troppo pure per gli standard siciliani. Alla fine è spuntato il nome vincente di Lillo. Che ha sconfitto, guarda caso, proprio Alessi (oltre a un leghista veneto, tale Marcolin), finito alla testa di liste civiche chiaramente di centrodestra. Non è il caso di chiamarne una "Forza Silvio" e poi negare la vicinanza al mondo berlusconiano... Insomma, ricapitolando: Alessi aveva stravinto le contestate primarie di centrosinistra pur venendo da destra, poi il Pd lo ha gentilmente messo alla porta, dunque è stato arruolato il democristiano Firetto per portare voti moderati e utilissimi a spazzare l'ipotesi Alessi sindaco.
Lillo Firetto, laurea in economia e commercio, "quadro multinazionale" (come recita la sua scheda sul sito dell'Ars), più che vaga somiglianza con Gianni Cuperlo, amministrerà per i prossimi cinque anni la città dei Templi, ennesimo sindaco centrista a siglare una scomoda pax democratica. Di lui l'empedoclino Camilleri dice: «È un innovatore intelligente». Quando la realtà supera la letteratura.